“Fuori legge 36 università su 61”. E gli studenti ricorrono ai Tar
L’UNIONE universitari l’anno scorso, proprio su questo argomento, ha conseguito una vittoria “pesante” in Lombardia. Su ricorso dell’Udu, il Tar della Lombardia ha infatti condannato l’università di Pavia a restituire agli studenti quasi 2 milioni di euro non dovuti. Un precedente che rischia di mettere in ginocchio l’intero sistema di istruzione terziaria in Italia. Se infatti — come appare probabile — altri atenei dovessero essere condannati a restituire il maltolto agli studenti, gli stessi potrebbero avere difficoltà anche a pagare gli stipendi.
Il meccanismo è semplice: il Dpr numero 306 del 1997 stabilisce che l’ammontare complessivo delle tasse universitarie versate
da tutti gli studenti iscritti non può superare il 20 per cento del Fondo di finanziamento ordinario erogato dallo stato. Un assegno che, col passare degli anni, viene utilizzato quasi esclusivamente per pagare gli stipendi a professori, ricercatori e personale non docente. Ma, sia per effetto dei tagli al Ffo imposti negli ultimi tre anni dalla riforma Gelmini, sia per il continuo incrementare delle tasse universitarie, gli atenei pubblici “fuorilegge” oggi sono ben 36 sui 61 presi in considerazione: il 59 per cento. Nel 2010 erano la metà: 31 su 61.
E che il balzello universitario sia effettivamente aumentato lo dimostra il fatto che, a fronte di un calo della popolazione universitaria di quasi 20mila unità, la tassazione complessiva è cresciuta, passando dal miliardo e 505 milioni del 2010 al miliardo e 515 milioni dell’anno successivo, con un surplus di gettito — relativo ai soli corsi di laurea triennali, magistrale e del vecchio ordinamento — che da 214 passa a 248 milioni.
«Quello che denunciamo è un comportamento di estrema gravità — dichiara Michele Orezzi, coordinatore nazionale dell’Udu — Perché nonostante il ricorso al Tar vinto dall’Udu di Pavia, le università italiane hanno continuato ad aumentare le tasse studentesche oltre il limite previsto dalla legge». In cima alla classifica degli atenei più “esosi” c’è l’università di Bergamo, che nel 2011 ha ricevuto dallo stato quasi 35 milioni di Fondo di finanziamento ordinario. Ma lo stesso ateneo — anziché 7 milioni scarsi — ne ha chiesti agli studenti ben 14 e mezzo di tasse: il 41 per cento del fondo, più del doppio quindi di quanto previsto dal decreto del 1997. Nell’ateneo lombardo gli studenti pagano, in media, 993 euro a testa all’anno. Se la tassazione fosse rimasta entro il 20 per cento del Fondo di finanziamento ordinario, ogni studente, avrebbe dovuto sborsare 476 euro: 516 in meno per ogni anno.
Qualcosa come 2 mila e 500 euro, per un corso quinquenna-le, che salirebbero a 3 mila nel caso dell’università Cà Foscari di Venezia dove il risparmio si attesterebbe sui 602 euro a studente: cifra tutt’altro che trascurabile in tempi di crisi dappertutto. «Come Unione degli universitari riteniamo inaccettabile questa situazione — continua Orezzi — Soprattutto perché l’Italia è già ora il terzo paese europeo con le tasse più alte: in un momento di forte crisi si sta facendo pagare agli universitari e alle proprie famiglie
i tagli all’istruzione pubblica ».
Insomma, gli studenti non ci stanno a pagare più del dovuto. «Chiediamo che il governo Monti — conclude il coordinatore nazionale dell’Udu — faccia subito rispettare la legge e il ministro Profumo, invece di parlare in modo demagogico di merito, convochi immediatamente le rappresentanze studentesche per costruire insieme a loro un nuovo modello di contribuzione studentesca nazionale. Se la situazione resterà questa, continueremo ad appellarci ai Tar, ateneo dopo ateneo».
da La Repubblica