Pressing di Franceschini (Pd): “Poi potremo approvare la riforma sul lavoro”
«Parto con un animo più sereno», aveva detto Mario Monti alla vigilia del vertice dei G-20 in Messico.
Sereno ma non troppo. Mentre l’attenzione dei leader del Pianeta è rivolta alle elezioni in Grecia, il premier non perde di vista la situazione interna.
Nella mente del professore c’è una data precisa, il 28 giugno: in agenda il prossimo Consiglio europeo. Monti lo ha detto, vuole sbarcare a Bruxelles con la riforma del lavoro in tasca, altrimenti il rischio è «perdere punti» in termini di credibilità. Rischio che cresce, stando agli ultimi sviluppi. Nella fase attuale la questione è prettamente politica, avverte Gianfranco Fini, visto che «non ci sono ostacoli procedurali o regolamentari».
Secondo il presidente della Camera è necessario «contrariamente a quanto accaduto fino ad oggi, che Pdl e Pd, condividano la necessità» della riforma. Condivisione che appare assai incerta. Per il capogruppo del Pd in commissione Lavoro alla Camera, Cesare Damiano, devono essere sciolti due nodi cruciali quello degli ammortizzatori e degli esodati.
Gli fa eco Dario Franceschini, presidente dei deputati del Pd, secondo cui «per un iter più veloce, il ddl potrebbe essere aiutato non da un impegno ma da un decreto per risolvere la questione esodati».
Dall’altra parte a farsi sentire è Fabrizio Cicchitto che puntella l’esecutivo sulla scelta del veicolo usato per varare la riforma. «Se Monti avesse avuto una grande urgenza, avrebbe potuto e dovuto presentare il progetto sotto forma di decreto legge».
Già, il decreto legge. Via non scelta per il tema lavoro, ma che potrebbe tornare utile per sanare la questione degli esodati. Strada, probabilmente, non a caso battuta ieri proprio dal capogruppo a Montecitorio del Pd.
Settimane, quindi, «cruciali» per il governo, sia in campo nazionale che continentale.. Con un test intermedio rappresentato dal vertice a quattro di venerdì prossimo con Angela Merkel, Francois Hollande, e il premier spagnolo, Mariano Rajoy.
Incontro al quale Monti arriva con un risultato al suo attivo, il «decreto sviluppo» per far ripartire la locomotiva economica nazionale. Ma date le incertezze sul nodo lavoro, non è abbastanza per il premier, che cerca rassicurazioni altrove. Così il governo tenta di accelerare sul capitolo «spending review», l’altro grande obiettivo della «road map» di Monti.
Il premier punta a varare il riordino della pubblica amministrazione in tempi brevi, e le sue speranze si riflettono nelle rassicurazioni del ministro per la Funzione pubblica, Filippo Patroni Griffi, secondo cui il via libera al provvedimento sarà ultimato a fine mese. L’obiettivo è reperire circa 13 miliardi di euro nel biennio 2012-2013 per evitare l’aumento di due punti delle aliquote Iva del 10 e 20 per cento.
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“I partiti non riescono a parlare ai cittadini”, di Fabio Martini
Barca: noi ci assumiamo la responsabilità delle scelte difficili
Nel rapporto tormentato tra il governo dei tecnici e la sua maggioranza, la richiesta da parte del Pd di un decreto legge a brevissima scadenza sulla questione esodati, di uno scambio secco con la questione del mercato del lavoro, non spiazza il ministro alla Coesione sociale Fabrizio Barca, una delle personalità più apprezzate dal presidente del Consiglio: «Proporre un accordo di questo tipo è una richiesta legittima.
Naturalmente fare le cose male non è mai produttivo e dunque un eventuale decreto si potrà fare quando tutte le informazioni saranno disponibili. Diverso il caso della riforma del mercato del lavoro: il governo ha fatto una scelta sacrosanta e ora chiede che i tempi di attuazione siano rapidi».
Il leader del Pdl Alfano ha quasi deriso il provvedimento sulla crescita, sostenendo che la disponibilità reale è di un miliardo: quello tra governo e maggioranza le pare un rapporto esemplare?
«È un rapporto comprensibile, che si spiega anche con la straordinaria difficoltà che i partiti hanno nell’intrattenere un rapporto diretto con i cittadini: nel corso del tempo le loro organizzazioni si sono fatte liquide. Talora le forze politiche hanno la tendenza ad accomodare la critica generale, ad assecondarla secondo una modalità semplice, a volte anche scontata. Ma di questo non dobbiamo stupirci».
È la vostra missione?
«Siamo stati messi lì proprio perché sul governo si scaricassero le responsabilità, finendo per accreditarci tutte le cose che non vanno e in qualche modo non riconoscendoci quelle positive. Mi preoccupa molto invece un’altra questione: lo scarso livello di comprensione di alcuni provvedimenti, per la verità molto incisivi».
Quando le cose non andavano bene i governi dei partiti dicevano che c’era un problema di comunicazione, ultimamente lo diceva persino un mago del ramo come Berlusconi…
«E allora faccio un esempio. Nel pacchetto sviluppo c’è un provvedimento che è una sorta di rivoluzione: abbiamo stabilito che di ogni transazione che lo Stato fa con qualunque soggetto – sia esso un consulente, un acquisto o un progetto infrastrutturale – se dopo il primo gennaio non sarà dato conto del beneficiario, della motivazione del trasferimento e delle modalità contrattuali, quella transazione non sarà valida. Questo potrà incidere in maniera radicale sulla degenerazione tra Stato e privati per la grande trasparenza che consentirà».
Certo, i mass media saranno superficiali ma a comunicar bene non deve pensare anche il governo? Non pensa che per farlo ci vorrebbe più fatica e più umiltà nel ritenere che farsi capire è altrettanto importante che decidere?
«Sui giornali è stata introdotta la modalità delle schede riassuntive degli interventi che spesso hanno un tono un po’ apodittico, come se il mondo fosse cambiato da quelle norme e non dai comportamenti delle persone e dunque dalla attuazione delle leggi. Dopodiché, certo, anche il governo deve sapere comunicare».
Il governo lavora, ma senza un svolta in Europa, quasi tutto rischia di vanificarsi: Monti cosa dovrà contribuire a far accadere a fine mese a Bruxelles?
«Due cose molto importanti: misure che abbiano effetti immediati sulla crescita ed è possibile, ma anche dare una svolta al processo di unificazione delle politiche comunitarie».
Ministro, lei è spesso all’Aquila, dove è in corso un’esperienza originale di ricostruzione, che mette assieme forte impulso pragmatico e partecipazione popolare: un modello?
«Quando siamo stati incaricati di occuparci di questa questione, in febbraio, ci siamo subito resi conto che lo scoramento della popolazione era superiore rispetto alla situazione obiettiva. E abbiamo compreso che una percezione così negativa e una sfiducia così forte nello Stato traevano origine essenzialmente da un deficit di democrazia partecipativa. In altre parole, la gente non sentiva come proprio tutto ciò che accadeva».
“Complici” i mass media?
«In qualche modo sì: le immagini che rilanciavano i mass media diventavano per loro stessi la verità, quasi più della verità stessa. Col pericolo che su una popolazione sfortunata ed esclusa potesse determinarsi una sorta di ignavia. Abbiamo invertito questo processo e anche non si riguadagna in poco tempo la fiducia persa, diciamo che da parte dei cittadini c’è una apertura vigilata di credito».
da www.lastampa.it
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