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Fassina: Nostro obiettivo etico e politico è la persona che lavora

Relazione introduttiva di Stefano Fassina Seconda conferenza Nazionale per il Lavoro. La nostra Seconda Conferenza Nazionale per il Lavoro cade in una fase difficilissima per l’Italia e per l’Europa. Il nostro pensiero e il nostro abbraccio va innanzitutto agli uomini e alle donne dell’Emilia colpiti da un terremoto infinito. Siamo con voi, vi siamo vicini con solidarietà fattiva. Per ricostruire. Per produrre speranza. Per riaprire il futuro, vostro e dell’Italia. È trascorso un anno esatto dalla nostra prima Conferenza Nazionale per il Lavoro a Genova. Il quadro europeo si è aggravato. Le scelte sbagliate dei conservatori tedeschi e francesi, sostenute da larga parte delle tecnocrazie di Bruxelles, Francoforte e Parigi, hanno acutizzato le tensioni finanziarie sulle economie periferiche dell’Eurozona. La Grecia è al collasso politico e economico perché il Memorandum è insostenibile. Sarebbe stato utile un segnale di disponibilità da parte dei leader dell’area euro per rivedere il Memorandum in vista delle elezioni di domenica prossima. Purtroppo, non e arrivato.

A metà Novembre scorso, grazie in particolare al Pd, è nato il Governo Monti.

L’Italia faticosamente ha riconquistato credibilità in Europa. Una credibilità dovuta al prestigio del Presidente del Consiglio, al senso di responsabilità nazionale del Pd e delle forze economiche e sociali. Una credibilità alimentata, non va dimenticato, dai sacrifici degli uomini e delle donne colpite dagli interventi sulle pensioni, dai tagli ai servizi sociali, dagli aumenti delle tasse, spesso realizzati senza la dovuta attenzione all’equità.

Le condizioni delle persone che lavorano sono difficili, ancora maggiore sofferenza segna la vita di chi ha perso il lavoro –in particolare, gli ultracinquantenni– o non riesce a trovarlo –le generazioni più giovani. Lavoro e impresa soffrono. Ricordo un solo indicatore, purtroppo un leading indicator, un indicatore di tendenza: il tasso di occupazione delle giovani donne nel mezzogiorno è al 30%. Il tasso di disoccupazione corrispondente supera il 50%.

Il lavoro continua a perdere dignità. Ultimo esempio è a Poste dove, in un contratto separato, la maternità equivale alla malattia. Chiediamo all’azienda pubblica di rivedere tale inaccettabile disposizione.

Ma, la recessione non è un evento naturale. Per affrontare i problemi dobbiamo decidere dove andare. È il tempo della politica. La funzione della tecnica è trovare soluzioni efficiente per raggiungere obiettivi dati. Gli obiettivi oggi non sono dati. Anche se come dati vengono presentati. Oggi, siamo ad un bivio storico. È in gioco, in Europa, la strategia dell’euro avviata all’inizio degli anni ’90 come grande disegno politico per riconquistare, nella condivisione europea la sovranità nazionale perduta nell’economia globale sregolata. Oggi, è in gioco la civiltà del lavoro, la democrazia fondata sul lavoro, secondo la formula insuperabile dell’art. 1 della nostra Costituzione.

La posta in gioco non potrebbe essere più alta. Da una parte, la sopravvivenza e il rilancio dell’eurozona e dell’Unione europea per ricostruire le condizioni della civiltà del lavoro e delle democrazie della classi medie, da una parte. Dall’altra, il ripiegamento populista e nazionalista e la condanna al lavoro senza qualità nel “secolo asiatico”.

Dovrebbe essere evidente che l’europeismo conservatore, anche nelle sue versioni tecnocratiche più o meno illuminate, aggrava i problemi e nutre l’antieuropeismo. Di fronte al bivio storico o si prende il sentiero dell’europeismo progressista, oppure l’onda sempre più alta e torbida della sofferenza economica e della rabbia sociale travolge l’europeismo e riporta indietro di quasi un secolo l’orologio della storia europea, ossia alla vigilia delle degenerazioni nazionaliste, populiste e autoritarie. Non è un caso che le varie opzioni centriste, ovunque presenti in Europa come attuazione moderata dell’europeismo conservatore, in versione politica o tecnocratica, siano esangui.

Per le forze dell’europeismo progressista è decisivo rendere visibile e credibile una linea politica alternativa al liberismo mercantilista fondata sulla svalutazione del lavoro.

Una visione centrata sulla valorizzazione della persona che lavora: un neo-umanesimo laburista, sintesi originale della dottrina sociale della Chiesa e dell’attenzione all’asimmetria di potere nella dimensione della produzione propria del movimento socialista.

Dobbiamo respingere l’idea che l’alternativa sia tra resistere e cambiare. Il cambiamento va avanti anche senza il nostro consenso. Dobbiamo saper indicare che l’alternativa è tra cambiamento regressivo e cambiamento progressivo.

Il contributo della Seconda Conferenza Nazionale per il lavoro per una credibile proposta di governo orientata al cambiamento progressivo, è nel titolo del nostro appuntamento: “Sviluppo sostenibile per la buona e piena occupazione”. È un lessico impegnativo. Un lessico ancora poco familiare anche per le forze progressiste.

Per la buona e piena occupazione , l’attenzione dedicata alle regole del mercato del lavoro nell’agenda europea e italiana è stata eccessiva e fuorviante, frutto di una linea di politica economica sbagliata. Abbiamo fatto argine alla cancellazione dell’art.18 dello Statuto dei Lavoratori non per ragioni ideologiche. Al contrario, per ragioni concrete: l’intervento sull’art. 18 aveva l’obiettivo di indebolire ulteriormente il potere contrattuale dei lavoratori e delle lavoratrici per favorire la riduzione delle retribuzioni e del costo del lavoro. Insomma, la svalutazione del lavoro, in alternativa alla impossibile svalutazione della moneta, per tentare un illusorio recupero di competitività. Tale strada per noi è impercorribile. Ci stupisce che, ancora un paio di giorni fa, il Presidente del Consiglio insista a definire “ipergarantiti” o “eccessivamente protetti” i lavoratori e le lavoratrici oggetto dell’ art. 18.

Caro Presidente, non funziona l’utilizzo strumentale delle drammatiche condizioni delle giovani generazioni per continuare a svalutare l’universo del lavoro subordinato. Se proprio vuol colpire qualche garanzia eccessiva riduca i compensi e le buonuscite multi-milionarie dei manager pubblici o proponga in Italia un rapporto decente tra compensi al top e compensi medi nelle banche e nella altre istituzioni finanziarie.

Noi abbiamo proposte in senso opposto. Per la buona e piena occupazione, la priorità sono le politiche per lo sviluppo sostenibile da definire ed attuare contestualmente nell’area euro e in Italia. La priorità è il cambio di rotta nell’euro-zona. Insistere come ha fatto ancora ieri la Bce su austerità cieca e riforme strutturali porta a sbattere. Di quale ulteriore evidenza abbiamo bisogno? Abbiamo un drammatico ostacolo ideologico da rimuovere. Aveva ragione Keynes a scrivere che “presto o tardi sono le idee, non gli interessi costituiti, che sono pericolose, sia in bene che in male”.

La rotta da seguire è tracciata nella Dichiarazione di Parigi discussa a Marzo scorso da Hollande, Gabriel e Bersani, sulla quale ieri ieri si è registrata forte sintonia tra il Governo Monti e il presidente Hollande, una fatto politico di primaria rilevanza per noi e per l’euro zona: mutualizzazione dei debiti sovrani, investimenti finanziati da euro project bonds, tassa sulle transazioni finanziarie, golden rule, coordinamento delle politiche retributive e fiscali, funzioni adeguate della Banca Centrale Europea. Il vertice dei Capi di Stato e di Governo del 28 e 29 Giugno deve definire l’ambiziosa agenda e avviare le prime risposte. L’involuzione della situazione in Grecia e in Spagna porta l’urgenza dell’unione bancaria nell’euro area per garantire i depositi, ricapitalizzare e controllare le banche in difficoltà, regolare e supervisionare il sistema degli intermediari finanziari. La prospettiva di lungo periodo sono gli Stati Uniti d’Europa per ricostruire le condizioni della civiltà del lavoro. È l’obiettivo politico della nostra generazione e della generazione successiva alla nostra. Nell’immediato, passi avanti per un area euro dotata di una governance economica legittimata sul piano democratico: una fiscal union.

La legge di bilancio di ciascuno Stato euro viene autorizzata alla presentazione al Parlamento nazionale dalla Commissione europea guidata da un Presidente eletto direttamente dai cittadini.

L’agenda italiana
Per lo sviluppo sostenibile per la buona e piena occupazione l’agenda è centrata sull’eurozona, come abbiamo ricordato prima. È un’agenda nota e largamente condivisa in Italia dal Governo Monti, dal Pd e dalle altre principali forze politiche. L’agenda domestica è meno condivisa.

È, per noi, un’agenda segnata da due driver sistemici e complementari, sollecitatori e bussola di tutte le riforme di settore:
• l’innalzamento del tasso di occupazione femminile fino a raggiungere nel 2020 il 60% (ossia circa 3 milioni di donne occupate in più rispetto ad oggi);
• l’innalzamento della specializzazione produttiva dell’Italia

Tali driver devono guidare gli investimenti sulla conoscenza, gli interventi di politica industriale e fiscale, le decisive politiche territoriali per lo sviluppo, le riforme strutturali, gli investimenti per la logistica.

Il governo Monti ha ricevuto un’eredità pesantissima. Innanzitutto, l’irresponsabile ed irrealistico impegno assunto dal governo Berlusconi al pareggio di bilancio nel 2013. Il governo Monti opera tra vincoli soffocanti. Va ricordato alla Lega e al PdL che, dopo tanti danni fatti all’Italia chiedono oggi a Monti quanto non hanno fatto in un decennio di Governo.

Tuttavia, il governo ha margini di miglioramento. Proprio perché abbiamo scelto di sostenere con lealtà il governo Monti fino alla fine della legislatura rileviamo con intento costruttivo che a volte il governo ha manifestato una cultura economica inadeguata alle sfide della fase.
Ha sottovalutato l’effetto recessivo dell’austerità; ha sopravvalutato la rilevanza delle riforme strutturali; ha trascurato la necessità delle politiche industriali; ha dato scarsa attenzione all’equità, principio decisivo anche per lo sviluppo; ha frainteso la funzione delle forze economiche e sociali, considerate pericoli corporativi da evitare, anziché soggetti di provata capacità di interpretare l’interesse generale.

Per la ripresa, oggi, la variabile chiave sulla quale intervenire è la domanda: non il suo generico aumento, ma la qualificata sollecitazione di innovazione produttiva. Insomma, Keynes al servizio di Schumpeter.

A tal fine, va urgentemente allentata la morsa dell’austerità auto-distruttiva. Dobbiamo dire la verità: gli obiettivi di finanza pubblica inseguiti dall’Italia sono irrealistici e insostenibili. Generano involuzione economica, sociale e democratica, oltre che instabilità di finanza pubblica. L’Italia come larga parte dell’euro zona è avvitata in una spirale di austerità-recessione-austerità. I famosi mercati, in realtà poteri sovrani nelle mani di pochi, sono preoccupati per la recessione non per l’andamento della spesa pubblica.

Proponiamo di definire, insieme alla Commissione europea, un allentamento del percorso di riduzione del deficit per consentire i seguenti interventi: una revisione selettiva del Patto di Stabilità Interno per il 2012 e 2013 per investimenti qualificati degli Enti Territoriali, in particolare dei Comuni; la cancellazione dell’aumento dell’Iva per il 2012; l’utilizzo delle risorse rinvenute dalla spending review per il pensionamento degli esodati, il finanziamento della scuola pubblica e del “Fondo per le politiche sociali” dei Comuni, svuotato dal governo Berlusconi, ma essenziale per promuovere la partecipazione femminile al lavoro.

Non è necessario seguire il paradigma keynesiano per riconoscere che l’innalzamento del deficit in valore assoluto verrebbe compensato dall’ampliamento del Pil.

Quindi, obiettivi sostanzialmente in linea con le previsioni, ma qualche decina di migliaia di imprese in più e qualche centinaio di migliaia di disoccupati in meno. Il Governo Monti deve discutere le correzioni indicate con la Commissione europea. Non c’è più tempo da perdere per allentare il soffocante cortocircuito in atto. L’Italia oggi ha le carte in regola per contrattare un percorso realistico di pareggio di bilancio: un saldo primario strutturale in attivo nel 2013. Il presidente Monti deve avere maggiore determinazione.

La discussione sui tagli alla spesa corrente rischia di fare danni molto seri. Attenzione. Spesa corrente non è uguale a sprechi. I tagli orizzontali alla spesa corrente hanno effetti redistributivi pesantemente regressivi.

Colpiscono i più deboli. Qualche settimana fa, in un’assemblea a Terni, una giovane maestra di scuola elementare ha segnalato che verso la fine del mese uno stesso gruppo di bambini fa regolarmente assenze. La ragione è nell’impossibilità delle loro famiglie di pagare la quarta settimana di buoni pasto. È una realtà inaccettabile per la nostra Costituzione. La spesa pubblica va radicalmente riqualificata non tagliata, attraverso una profonda ristrutturazione industriale delle amministrazioni pubbliche. Invece, di fronte ad obiettivi di bilancio impossibili e conseguenti insostenibili aumenti di tasse, si propone di tagliare la spesa come se fosse tutta sprechi e come se la riduzione di spesa non avesse impatto macroeconomico negativo tanto quanto l’aumento delle imposte. No, non ci siamo. Attenzione. Senza riorganizzazione industriale delle macchine amministrative e senza scelte di altre priorità, tagliamo le condizioni di vita delle persone, in particolare delle persone con minori opportunità.

Contestualmente agli interventi di finanza pubblica, va reso effettivo lo schema di anticipo bancario dei pagamenti delle pubbliche amministrazioni verso le imprese, in particolare quelle di dimensioni minori. Vanno rafforzati gli strumenti di accesso al credito delle micro e piccole imprese. Va utilizzato il potenziale di Cassa Depositi e Prestiti anche per attrarre risorse private nel finanziamento di investimenti infrastrutturali pubblico e di interesse pubblico.

Per lo sviluppo sostenibile, per la riconversione ecologica dell’economia e della società, la politica industriale deve tornare ad essere, a tutti gli effetti, una delle componenti della più generale strategia di politica economica. L’assenza del Ministero dello Sviluppo Economico è preoccupante.

Quanta sarebbe stata più utile all’Italia una discussione di 4 mesi sulle politiche industriali invece che sull’art. 18? Da Finmeccanica a Fincantieri, dall’auto, all’acciaio, alla chimica di base, all’energia è necessario correggere errori e esercitare interventi di orientamento. Le risorse finanziarie sono un elemento chiave. Consapevoli dello spettro della Gepi, dovremmo valutare la possibilità di estendere lo spazio di intervento del Fondo Italiano per gli Investimenti Strategici attivato da CDP per investimenti su imprese di grande potenzialità ma a rischio di acquisizione esterna o di ridimensionamento per errori del management o per assenza di risorse finanziarie della holding pubblica.

Per capirci: Ansaldo Energia e Ansaldo Breda possono rimanere nel perimetro di una Finmeccanica dotata di un programma industriale ambizioso e credibile? Va recuperata ed aggiornata l’impostazione del programma Industria 2015: Industria, Agricoltura e Servizi 2020, perché da tempo la distinzione manichea ha perso senso. Ad esempio, è largamente sottostimato il contenuto industriale nell’ambito agricolo o dei servizi.

Prioritaria almeno quanto le politiche industriali per lo sviluppo sostenibile è una meno sperequata distribuzione del reddito e della ricchezza. Oggi, l’equità non è soltanto un principio etico per noi fondativo.

È variabile macroeconomica decisiva. Correggere in senso progressivo l’Imu attraverso l’ampliamento delle prime abitazioni esentate e maggior coinvolgimento dei patrimoni immobiliari di elevato valore è utile allo sviluppo.

Il Mezzogiorno come “questione nazionale”
La recessione ha mostrato i suoi effetti più pesanti nelle regioni del Mezzogiorno. Tuttavia, Nord e Sud presentano differenze di livelli, non di tendenze di fondo. Le due aree restano profondamente integrate dal punto di vista economico. Il Mezzogiorno è questione nazionale in quanto richiede, in termini ancora più urgenti e in forme specifiche, la medesima agenda di riforme necessaria al resto di Italia. Se ne facciano una ragione i teorici delle “due Italie”.

Il Piano di azione e coesione predisposto dal Ministro Barca va nella giusta direzione e lo sosteniamo con convinzione.

Gli interventi sul mercato del lavoro
Il disegno di legge per il mercato del lavoro approvato al Senato e ora alla Camera, ha, oltre a rilevanti limiti, misure positive. È positiva la centralità prevista per il contratto di apprendistato. Sono positivi i filtri inseriti all’utilizzo dei contratti a progetto e dei rapporti a Partita Iva. Tra questi, l’introduzione del compenso minimo legato ai minimi dei contratti nazionali di lavoro. È positiva la reintroduzione del contrasto delle dimissioni in bianco e la identificazione dei voucher nel settore agricolo.

Tuttavia, il disegno di legge del governo segue una strada opposta alla nostra per contrastare i vantaggi di costo dei contratti precari: invece di puntare a ridurre gli oneri sociali del contratto di lavoro a tempo indeterminato, aumenta anche pesantemente, come nel caso dei co.co.pro. e delle partite Iva iscritte alla gestione separata Inps il costo del lavoro delle forme contrattuali “flessibili”. Il lavoro emendativo svolto alla Commissione Lavoro del Senato, sostenuto dal concorso dei nostri deputati della Commissione Lavoro della Camera, ha portato significativi miglioramenti al testo presentato dal Governo. Ringrazio Tiziano Treu per il prezioso impegno dei Senatori e delle Senatrici e ringrazio Cesare Damiano per l’aiuto venuto dalla Camera ora alle prese con un difficilissimo esercizio di responsabilità politica a causa della confusione e delle contraddizioni del PdL.

Nel disegno di legge vi sono limiti importanti da affrontare: gli oneri sociali sul variegato universo dei contratti di lavoro, per evitare che l’aumento delle aliquote contributive per i lavoratori a progetto e con partita Iva si traduca in una riduzione del loro reddito netto; la ridefinita indennità di disoccupazione (“Assicurazione sociale per l’impiego”, Aspi) per coprire l’insieme dei lavoratori, compresi i parasubordinati; il buco di copertura reddituale per i lavoratori e lavoratrici 60-enni dopo l’eliminazione dell’indennità di mobilità, data la durata massima dell’Aspi di 18 mesi, la cancellazione delle pensioni di anzianità e l’innalzamento brutale dell’età di pensionamento; la contribuzione figurativa dei contratti stagionali; la durata del contratto a tempo determinato senza causali; le politiche attive del lavoro, dei servizi per l’impiego e della formazione, affidate ad una delega scomparsa.

I punti di criticità indicati difficilmente possono essere risolti nel passaggio alla Camera.

In assenza di soluzioni positive, saranno misure prioritarie per il nostro impegno nella prossima legislatura.

Come è nostro impegno la correzione degli errori compiuti nell’intervento sul sistema pensionistico attuato nel decreto “Salva-Italia”. Da subito, per risolvere le insostenibili condizioni dei cosiddetti “esodati” e dei lavoratori e lavoratrici in contribuzione volontaria. Auspichiamo che la settimana prossima il Ministro Fornero indichi al Parlamento le tipologie di situazioni da salvaguardare e il piano finanziario per salvaguardarle. Noi abbiamo presentato una proposta di legge. È inaccettabile l’approssimazione e il rimpallo di responsabilità tra Inps e Ministero del Lavoro. La dimensione del problema va riconosciuta ufficialmente da chi ha commesso l’errore. Non può essere scaricata sulla prossima legislatura.

Non verremmo trovare i Ministri di oggi editorialisti domani a bacchettarci sui quotidiani per l’innalzamento della spesa pensionistica necessario ad aggiustare gli errori da essi compiuti.

Entro Giugno il Ministro Fornero deve anche adempiere all’impegno da lei assunto prima del voto sul Presidente dell’Inail: il Parlamento attende il disegno di legge per la riforma della governance degli enti previdenziali. È insostenibile sul piano democratico e sul piano della funzionalità operativa la conservazione di organi monocratici sostanzialmente privi di controllo. Una governance democratica all’Inps avrebbe probabilmente contribuito ad evitare il caos esodati.

Nella prossima legislatura, va anche affrontata la differenziazione dei requisiti di accesso al pensionamento per lavoratori e lavoratrici impegnate in attività usuranti.

Chi ha svolto per 40 anni lavoro d’ufficio non può essere trattato come chi è stato per un lungo periodo sulla catena di montaggio o sui ponteggi.

Subito, invece, va corretto il provvedimento di detassazione della retribuzione di secondo livello che aumenta il carico fiscale sul lavoro dipendente.

Resta, inoltre, fermo l’impegno del PD per l’approvazione di uno Statuto del lavoro autonomo e professionale rivolto alla promozione, alla valorizzazione e all’estensione delle tutele sociali di una realtà di grande rilievo per il sistema economico e l’occupazione.

Lo sviluppo sostenibile per la buona e piena occupazione richiede il miglioramento delle funzioni pubbliche. A tal fine, i lavoratori e le lavoratrici delle pubbliche amministrazioni non sono un nemico da combattere, ma risorse da valorizzare, dopo anni di mortificazioni morali e economiche. Il Protocollo sottoscritto da organizzazioni sindacali, ministro della funzione pubblica, regioni e enti locali rappresenta un passo importante verso l’innovazione.

Il PD chiede che il Protocollo venga licenziato al più presto dal Consiglio dei Ministri e rapidamente approdi in Parlamento per una rapida approvazione come legge delega.

I giovani e le donne
Nel quadro della politica europea per lo sviluppo sostenibile e la buona e piena occupazione, ribadiamo l’urgenza del Piano nazionale per il lavoro giovanile e femminile definito nelle sue linee di fondo alla Conferenza per il lavoro di Genova. Proponiamo l’avvio di progetti di lavoro per la tutela ambientale, la cura del territorio, la promozione di altre attività di pubblico interesse per impiegare giovani inoccupati e disoccupati per periodi limitati tempo, a rotazione, per un compenso mensile analogo al trattamento di disoccupazione. I progetti dovrebbero essere realizzati da soggetti, locali o nazionali, pubblici o dell’area del volontariato e del terzo settore.

Le risorse per questo piano straordinario per il lavoro giovanile potrebbero derivare dall’utilizzo di fondi strutturali europei.

Le relazioni industriali e la democrazia economica
Con l’accordo del 28 giugno del 2011, le parti sociali hanno compiuto un passo rilevante verso un “decentramento controllato” della contrattazione. E’ un accordo giustamente difeso dai firmatari di fronte allo stravolgimento tentato dal governo di centro-destra con l’art 8 della manovra finanziaria dell’agosto del 2011. Il Pd ha proposto in Parlamento l’abrogazione dell’art. 8.

Rimane, tuttavia, aperta, per quanto riguarda il livello nazionale, la questione della misurazione della rappresentatività delle organizzazioni, dei criteri della rappresentanza e dell’esercizio della democrazia sindacale. A nostro parere, il documento unitario di CGIL, CISL e UIL del maggio 2008 può ancora essere la base per un’intesa di carattere generale fondata sull’equilibrio tra la responsabilità negoziale dell’organizzazione sindacale e la partecipazione degli iscritti e di tutti i lavoratori e lavoratrici alla validazione degli accordi e dei contratti.

In questo contesto, la vicenda Fiat rappresenta un elemento di particolare gravità.

Non soltanto per i diretti interessati, ma per la Costituzione della Repubblica. La Fiat nega alla FIOM l’esercizio dell’attività sindacale all’interno dei luoghi di lavoro in conseguenza della mancata firma del contratto. La questione è arrivata alla Corte Costituzionale, dopo che vari tribunali hanno emesso sentenze di segno diverso. Indipendentemente dagli esiti giudiziari, l’incertezza legislativa va superata. Il PD in Parlamento ha preso l’iniziativa per modificare l’art 19 della Statuto dei Lavoratori per la piena agibilità sindacale nelle imprese di tutte le organizzazioni rappresentative senza esclusioni motivate dall’assenza di firma dei contratti.

Su un punto il sistema delle relazioni industriali del nostro paese è sicuramente in ritardo rispetto alla realtà europea: la democrazia economica. Un nostro emendamento al Disegno di Legge sul lavoro approvato al Senato delega il Governo ad applicare l’art 46 della Costituzione per la collaborazione dei lavoratori e delle lavoratrici alle scelte strategiche delle imprese. Vogliamo andare avanti.

Tanti dei punti qui richiamati sono presenti nella piattaforma della manifestazione di Cgil, Cisl e uil domani a Roma. Per questo, ci saremo anche noi domani.

Conclusione: la sfida da raccogliere
Lo scenario politico europeo è in evoluzione. Si affermano i socialisti in Francia. La Spd vince in decisivi lander. Il Pd, pur tra contraddizioni e difficoltà, conquista tanti Comuni nella recente tornata amministrativa. Tuttavia, i partiti sono in difficoltà, vittime, oltre che di casi di immoralità e incompetenza, dell’impotenza della democrazia. Senza ritrovare la capacità di rispondere efficacemente alle domande di benessere sociale della polis, i partiti e le istituzioni democratiche non si salvano. Crisi della democrazia e regressione del lavoro sono due facce della stessa medaglia. Soltanto soggetti politici europei, costruiti intorno a visioni alternative dell’interesse generale e riconoscibili negli insediamenti sociali possono rianimare la democrazia e i partiti come strumenti dei cittadini per concorrere con metodo democratico alla politica. Per il Pd il baricentro è il lavoro subordinato in tutte le sue forme. Il baricentro, non il recinto: la forza centripeta più intensa per attrarre una credibile alleanza di progresso.

La proposta avanzata al Paese da Bersani punta a costruire una Terza Repubblica fondata su partiti rigenerati sul piano morale ed intellettuale attraverso l’apertura alla partecipazione qualificata delle migliori energie sociali, economiche e culturali. Una democrazia articolata secondo i principi della sussidiarietà verticale e orizzontale. Dopo il fallimento del populismo caratterizzato dalla ricerca del consenso senza riforme, nel mezzo dell’illusoria scorciatoia tecnocratica dedicata alla ricerca delle riforme senza consenso, è l’ora di riprendere l’unica strada possibile: la via costituzionale della democrazia fondata su partiti rifondati per le riforme condivise.

Da noi, l’aggravamento della malattia economica e democratica rende ancora più visibile il conformismo culturale di tanti intellettuali progressisti stagionati, columinist dei più importanti quotidiani nazionali “indipendenti”. Scriveva nel Febbraio 1981 Federico Caffè, ricordato in queste settimane nel 25-esimo anniversario della sua scomparsa: “Uno degli indici più preoccupanti dell’accrescersi, nel nostro Paese, della situazione di ‘regime’ è costituito dall’aggravarsi del conformismo nella informazione: con riguardo particolare a quella economica”. Aveva ragione allora. Ha ragione ancora di più oggi. Un conformismo asfissiante che mette alla gogna come “guastatore”, “irresponsabile”, quasi un black block chi segnala l’ampliamento dello spread sociale e dello spread democratico e indica con preoccupazione la faglia tra istituzioni della democrazia e società.

Nonostante i potenti conformisti, il dibattito di policy inizia ad essere partecipato da tante energie intellettuali fresche. Sono preziosissime. Senza combattere la battaglia delle idee non si vince la battaglia politica.

Il 24 febbraio scorso, in una intervista al Wall Street Journal, Mario Draghi, Presidente della Banca Centrale Europea, alla domanda “quale indicatore guarda per primo al mattino?” rispondeva: “gli indici di borsa”. Risposta dovuta. Mario Draghi “governa” la politica monetaria. È il capo di una banca centrale impegnata, con misure straordinarie, a spegnere l’incendio finanziario e a contenere i danni causati dalla linea di politica economica imposta dalle destre europee.

La domanda a Mario Draghi evoca la domanda cardinale per le democrazie fondate sul lavoro, quindi per i progressisti: chi è il policy maker che da qualche parte, a Bruxelles, a Francoforte, nelle altre capitali dell’Unione europea, la mattina quando arriva in ufficio legge, come primo indicatore, lo spread sociale e lo spread democratico? Tutti qui conosciamo il livello raggiunto ieri dallo spread sui Btp.

Quanti, qui, conoscono l’aumento del numero dei disoccupati dalla primavera del 2008?
Si può affrontare la sfida del lavoro e della sua qualità senza riordinare le priorità del discorso pubblico?
Possiamo uscire dal tunnel senza incardinare l’agenda della politica alla buona e piena occupazione?
Senza riconquistare centralità per la persona che lavora?
Si può ricostruire fiducia nella politica come forza di cambiamento progressivo, si può parlare alle generazioni più giovani con il lessico broker della City?
Tassi di interesse e pareggio di bilancio sono variabili strumentali. Il nostro obiettivo etico e politico è, deve essere, la persona che lavora.

Lo dobbiamo dire forte e chiaro.

Soltanto così possiamo animare la fiducia in un’agenda di speranza.

Stefano Fassina – Responsabile Nazionale Economia e Lavoro PD