Che fosse necessario andare al riordino di uno strumento importante quale è la protezione civile era consapevolezza di molti. Ciò non solo per recuperarne la funzione originaria, dopo i gravissimi snaturamenti introdotti dal Governo Berlusconi. Ma anche perché il nostro Paese, a grave rischio sismico e con un dissesto del suolo che ha pochi eguali, è caratterizzato dall’assenza di una pratica coerente di prevenzione e da un accavallarsi di norme in materia.
Tutto ciò rende necessario affrontare nuovamente i temi relativi alla funzione della Protezione civile. Al riguardo, stanno lavorando le Commissioni Affari Costituzionali ed Ambiente della Camera, in sede di conversione in legge di un Decreto dello scorso 15 maggio. Quel testo, che pure contiene alcuni punti sicuramente condivisibili (in particolare la conferma del superamento dei Grandi Eventi affidati al Dipartimento Protezione Civile), è informato da alcune scelte di fondo che noi consideriamo sbagliate e da un qualche vuoto da recuperare nel lavoro in Aula.
Per le scelte sbagliate mi riferisco a quelle parti nelle quali si sancisce la privatizzazione delle materie riguardanti la prevenzione e la gestione del territorio, in particolare sul versante dei costi. Infatti, si prevede che i costi del soccorso e del ripristino delle condizioni di normalità, a partire dalla ricostruzione di abitazioni e siti produttivi e industriali, vengano fatti gravare sui governi locali e sui cittadini. Così come è particolarmente insistito il ricorso a fondi straordinari, finanziati attraverso una tassazione aggiuntiva dei carburanti.
La previsione della possibilità di superare il blocco della spesa derivante dal patto di stabilità – che, insisto, non può sostituirsi alla necessità di alimentare strutturalmente lo specifico fondo – deve rappresentare, invece, la scelta in base alla quale si rafforza e qualifica ulteriormente l’impegno alla protezione e tutela della sicurezza dei propri cittadini, a partire da quelli socialmente più deboli.
Sempre sullo stesso tema, limitare la presenza dello Stato ad un massimo di 100 giorni nei territori colpiti da un grave evento è riduttivo ed è fortemente limitativo della necessità di operare, d’intesa e in sinergia con le istituzioni locali, per il ritorno alla «normalità».
È molto positivo che i lavori in Commissione abbiamo approvato la soppressione di un articolo con il quale, di fatto, si sarebbe individualizzato il rischio mediante la forte sollecitazione a ricorrere alle assicurazioni sugli immobili da parte dei proprietari.
È un risultato positivo che, comunque, ci consegna una questione sulla quale occorre decidere rapidamente. Infatti, in un Paese che ha circa ventisei milioni di case edificate antecedentemente all’approvazione della prima legge sulle costruzioni antisismiche occorre che si proceda rapidamente alla rilevazione degli interventi necessari prevedendo anche la concessione di prestiti a tasso zero per la messa in sicurezza delle stesse. Infine, c’è un tema dimenticato.
Mi riferisco alla necessità di incentivare gli interventi della Protezione Civile di tutela del territorio, previsione e prevenzione. Quasi 200 miliardi di euro sono stati spesi per intervenire a catastrofi accadute, senza contare le vite umane perse, proprio per la sottovalutazione di questi aspetti. Da ultimo serve un Testo Unico che rimetta ordine fra norme accumulate nel tempo.
*Enrico Panini-Segretario confederale Cgil
l’Unità 16.06.12