La scuola è tornata in prima pagina con un dibattito in campo aperto sul tema del merito. Di questo va dato atto
al ministro Francesco Profumo, che ha avviato questa importante .discussione.A maggior ragione perché non sono scese in campo le solite squadre del pro e del contro, ma tante interpretazioni della parola «merito» nel contesto della scuola. Il nostro faro è l’articolo 34 della Costituzione. La scuola è aperta a tutti. Questo è il grande auspicio dei costituenti. In parte avverato, in parte no. È avverato perché l’80% dei ragazzi finisce la scuola superiore, perché 184mila bambini e ragazzi disabili la frequentano, perché 710mila ragazzi e bambini di cittadinanza non italiana, spesso nati in Italia, vi hanno trovato il vero porto d’ingresso e la base di ogni futura e auspicata piena cittadinanza. Un sistema che fa questo è aperto a tutti. Siamo bravi. I docenti, in primo luogo, sono bravi. Ma al contempo quel sistema non può dirsi ancora abbastanza aperto perché il 20% degli alunni non finisce le scuole superiori o la formazione professionale e perché queste decine di migliaia di ragazzi vengono dalle aree e dalle famiglie più povere e più prive di istruzione del Paese. «Il principale problema della scuola italiana sono i ragazzi che perde», scrisse don Milani. Siamo ancora lì, la scuola perde quelli per la quale è nata. E non è aperta a tutti anche perché solo il 20 % dei giovani e pochissimi nati poveri raggiungono una laurea. Perciò le politiche italiane in materia devono innanzitutto portare il fallimento formativo sotto il 10% e i laureati sopra il 40%. Sul fronte del fallimento formativo il governo sta investendo un miliardo per le scuole nelle aree più escluse di cui 100 milioni per veri prototipi contro la dispersione in 100 diversi territori e altri 400 milioni per servizi alla prima infanzia, che sono, in tutto il mondo, i costruttori precoci di successo scolastico. Sono cose mai fatte prima. Ma va fatto anche altro. L’impostazione poco flessibile della didattica e dei percorsi formativi è spesso all’origine dei fallimenti, delle bocciature e anche degli abbandoni scolastici. In Italia la scuola aperta a tutti fatica ancora troppo a diventare la scuola di ciascuno. Perché tende a fornire le stesse risposte a bisogni individuali profondamente diversi. Lo ha spiegato egregiamente Luigi Berlinguer: valorizzare le diverse capacità è possibile attraverso una maggiore personalizzazione della didattica. Perché la scuola ha tre compiti nei confronti di ogni allievo: valorizzare i punti forti, rafforzare i punti deboli, far scoprire le parti nascoste. Soltanto la programmazione flessibile può consentire a queste tre missioni di andare a buon fine per la totalità degli studenti. E soltanto un sistema fondato su opportunità certe, fruibili rapidamente, per chi è davvero meritevole alle scuole superiori come all’università può riuscire ad eliminare quelle barriere di carattere economico e sociale che pesano ancora troppo sulle potenzialità di tanti. Anche per questo il nostro Paese fatica a costruire un merito che sia «per conquista e non per destino» come l’ha ben definito Andrea Canevaro. Ci vuole, poi, un’azione forte contro la dispersione anche nel Centro-Nord e una riflessione di tutti docenti, associazioni professionali, sindacati su come recuperare i debiti nelle scuole superiori, con un format chiaro e un lavoro costante. Il merito a scuola va pur detto è già un elemento quotidiano, presente da sempre. Che si esprime attraverso i voti e i giudizi, le riflessioni collegiali dei docenti anche in senso auto-valutativo. Quello che manca ancora, invece, è la capacità del sistema di rendere la valutazione a tutti i livelli un elemento normale. Non si tratta di pensare a strumenti punitivi o invasivi, ma a forme di accompagnamento e monitoraggio costanti, che riguardino tutti. Dal singolo ragazzo o il gruppo classe, alle scuole, i dirigenti, fino al sistema d’istruzione, sottosegretari e ministro compresi. Ci vogliono soldi? Sì. Sono soldi per la crescita. Lo dicono tutti. Dunque vanno trovati. Un sasso nello stagno però va lanciato: chi riconosce il merito dei ragazzi, una volta usciti da scuola? Cosa siamo disposti a sacrificare perché questo avvenga?
l’Unità 13.06.12