È davvero assurda l’idea che se le banche spagnole hanno avuto bisogno di soccorso, qualcosa debba accadere anche alle banche italiane. In Spagna pesano i resti di un mostruoso boom immobiliare, almeno 700.000 appartamenti invenduti; nulla di simile c’è in Italia. Tanto i problemi sono stati lasciati degenerare, nell’area euro, che riesce troppo bene alla malafede degli speculatori al ribasso confondersi con i timori di tutti.
Era una buona notizia, quella dell’intervento a favore della Spagna. L’irrazionalità dei mercati sembra essere riuscita, nel seguito della giornata, a trasformarla in cattiva. E questo accade proprio in una fase in cui il governo Monti pare perdere la spinta. Dopo averlo esaltato fin troppo all’inizio, ora i mass media internazionali si disamorano di lui.
Nulla nei dati giustifica preoccupazioni aggravate verso il nostro Paese, se non l’accresciuta confusione nella sua politica. La recessione italiana dipende innanzitutto da una manovra di bilancio obbligatoriamente brusca perché attuata troppo tardi. Ad ostacolare le misure di riforma strutturale e di rilancio sono problemi pratici di decidere, e di attuare ciò che si decide, che qualsiasi maggioranza incontrerebbe, nel triangolo oscuro tra alta burocrazia, poteri lobbistici, classe politica.
Scrive il New York Times che il governo Monti è ostacolato dall’eredità di decenni di riluttanza politica verso cambiamenti dolorosi. Chi si prepara alle prossime elezioni, invece di mischiare parole d’ordine altisonanti e contentini per tutti, farebbe bene a mettere nei programmi come si fa a risolvere questioni terra terra, tipo far pagare le tasse senza che i funzionari di Equitalia debbano aver paura quando camminano per strada.
Un’altra causa della nostra recessione sta nel credito scarso e caro che arriva alle imprese. In questo senso esiste un problema delle nostre banche: solo l’85% dei finanziamenti è coperto dalla raccolta tra i risparmiatori italiani, occorre finanziarsi fuori dai confini, cosa ardua e costosa con lo spread alto, che il caos della politica fa risalire. Anche a noi gioveranno rapide e più ampie decisioni collettive che sottraggano le banche all’abbraccio letale con il debito pubblico del proprio Paese.
L’Europa pare finalmente risolversi ad alcuni passi in avanti politici e istituzionali, nel vertice di fine giugno. Dato che non è bastato aiutare la Spagna, servono mosse straordinarie per consolidare e insieme vigilare con più severe regole comuni tutte le aziende di credito. Recalcitrano soprattutto le banche tedesche, ingrassate in questo periodo di tensioni. Furono gli affari spericolati di alcune di loro, ha detto il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, a portarci il contagio della finanza Usa; ora guadagnano sulle paure che spingono i capitali a cercare rifugio in Germania.
Occorre essere chiarissimi nello spiegare ai cittadini che cosa si fa, o gli equivoci si moltiplicheranno. In ogni Paese circola sfiducia verso gli altri e in tutti ha una cattiva immagine la finanza. Se oggi sul salvataggio delle banche spagnole si chiede un commento ai passanti in Germania, si ascolterà protestare perché il denaro tedesco viene usato per aiutare le banche di un altro Paese. Se si fa la stessa domanda nelle strade di Madrid o di Siviglia, qualcuno obietterà che sarebbe meglio darli ai cittadini, quei soldi. Invece la Spagna riceverà prestiti al 3-4% di interesse con capitali che la Germania può procurarsi sul mercato al 2%. E le famiglie spagnole sono già indebitate troppo. Ma lo si spieghi, lo si dimostri, che non stiamo salvando i banchieri.
La Stampa 12.06.12