Un posto di prestigio fuori da Viale Mazzini o la direzione di Raifiction, la struttura che si occupa delle serie tv. Il direttore generale uscente Lorenza Lei cerca una “buonuscita” sotto forma di poltrona. Ieri ne ha fatto cenno durante la visita al presidente del Consiglio. Monti l’ha ricevuta con un certo fastidio, sia per la pubblicità data all’incontro dalla stessa Lei sia per i contenuti del colloquio. MA QUALCOSA di buono è venuto: il governo ha avuto la conferma che il meccanismo per insediare i tre dirigenti scelti da Monti è definitivamente avviato. Il Pdl è pronto a votare un nuovo Cda e la resa della Lei n’è la plastica dimostrazione. Adesso occorre rompere il muro alzato da Pier Luigi Bersani. Noi non indichiamo nomi, non lottizziamo, insiste il segretario. Una posizione isolata ormai, tutto il Pd gli chiede una marcia indietro. «Non lo capite che io sono già in corsa per le primarie, che ci metto la faccia? Non lo sapete che Renzi e Vendola mi aspettano al varco?», è la reazione stizzita di Bersani al pressing.
Il muro però deve crollare. Monti sta perdendo la pazienza. Pensa di aver fatto il massimo, persino con una forzatura delle regole. Presidente e direttore generale decisi fuori dal perimetro dei partiti. «Più di questo non si poteva», ripete il premier a Bersani, «La faccia l’ho messa anch’io».
Nel Pd si apre così uno scontro a tutto campo. Walter Veltroni, Enrico Letta, Dario Franceschini, Beppe Fioroni, Paolo Gentiloni, dirigenti più o meno vicini al leader, premono per un’apertura. Il presidente della commissione di Vigilanza Sergio Zavoli pensa di convincere Bersani mettendogli a disposizione i curriculum dei candidati. Il Quirinale si tiene fuori, ma non nasconde il disappunto per quello che viene considerato uno strappo alle regole. C’è una settimana di tempo per trovare un’onorevole via d’uscita. Quella proposta da Fioroni e sostenuta da Casini è già fallita. Non ci saranno sette nomi indipendenti del governo da affiancare ad Anna Maria Tarantola, Luigi Gubitosi e Marco Pinto, come aveva immaginato l’ex ministro
dell’Istruzione. L’opposizione del Pdl è netta. Bisogna inventarsi altro.
Il centrodestra ha cominciato la selezione dei suoi nomi. Vuole tre consiglieri, come nel Cda uscente. Una poltrona andrà ad Antonio Verro che ha sacrificato il seggio parlamentare per votare la conferma del direttore del Tg1 Maccari e difendere la Lei. L’altro candidato forte è Guido Paglia, oggi responsabile della comunicazione di Viale Mazzini. È un dirigente gradito alla cerchia stretta di Berlusconi, meno a Maurizio
Gasparri e a Gianni Alemanno, anche se il primo rappresenta ormai il vecchio potere Rai sconvolto dal blitz di Monti. I due ex An preferirebbero Rubens Esposito, già ufficio legale Rai. L’Udc voterà il bis del suo attuale consigliere Rodolfo De Laurentiis. E il Pd? Senza i voti democratici il consiglio non decolla e la terna scelta da Monti resta a bagnomaria. Uno scenario impensabile.
Il guaio è che da venerdì scorso, giorno della direzione, Bersani si muove non più solo da segretario
del Pd, ma anche da candidato premier
in pectore
e da concorrente delle primarie di ottobre. «Se torno indietro, Renzi e Vendola non mi risparmieranno un colpo», ha spiegato Bersani ai dirigenti che lo tormentano per un ripensamento. È il problema di fondo che rende complicato il cambio di strategia. Massimo D’Alema lo aveva avvertito: «Se lanci subito le primarie, avrei meno margini di manovra politica». Sta succedendo puntualmente questo.
Il Pd si arrovella per trovare la soluzione. Matteo Orfini, Stefano Fassina e Stefano Di Traglia, tre bersaniani doc, consigliano al segretario di resistere. Ma il segretario mette in conto un cedimento. A patto di trovare una strada che non lo esponga al fuoco di Renzi e Vendola. Forse chiederà aiuto a Monti. Dopo il voto sui membri Pdl e Udc, potrebbe essere il governo a indicare per il Cda Rai due “tecnici” sul modello di Pinto: dirigenti del ministero del Tesoro o nomi reclutati nelle università, ovviamente graditi al Pd. Prima avrebbe luogo una consultazione “riservata”. Ma l’indicazione di Palazzo Chigi sarebbe pubblica e toglierebbe dall’imbarazzo Bersani. Che nel pressing dei suoi compagni di partito vede anche tanti appetiti per le poltrone. «Poi però alle primarie corro io e non
voglio perdere».
La Repubblica 12.06.12