Com’era prevedibile, passate le amministrative, è iniziato il secondo tempo di una partita il cui fischio finale coinciderà con le elezioni politiche della prossima primavera. Nei prossimi mesi, tutto può ancora accadere e gli scenari sono molto diversi tra loro. E l’evoluzione potrà essere in meglio o in peggio: iniziamo dal quadro peggiore, cercando in questo modo quasi di esorcizzarlo. Esso è rappresentato da un arroccamento istituzionale delle forze politiche, con la grande maggioranza dell’opinione pubblica schierata da una parte – quella del non voto o del voto di protesta e i partiti dall’altra. Sarebbe un autogol incredibile da parte di questi ultimi, segno della mancata percezione ed elaborazione dei segnali provenienti dagli elettori.
La prospettiva positiva, invece, propria di chi fa del bene comune la mission indiscussa, è sicuramente rappresentata, da un lato dal rientro in campo delle forze politiche, rinnovate nelle persone, nelle forme e nei modi, e, dall’altro, dagli elettori consapevoli che possono tornare a scegliere rispetto a offerte politiche chiare e praticabili.
Naturalmente in all’interno di questi scenari, non bisogna sottovalutare l’istinto di conservazione, che traspare anche dalla vischiosità che segna il dibattito intorno alla riforma del sistema elettorale. Se ne parla da ogni parte, innalzando sempre più l’asticella del grado di difficoltà, fino a proporre modifiche degli assetti che richiedono iter costituzionali talmente difficoltosi e lunghi da renderli di fatto irrealizzabili, mentre il tempo a disposizione diminuisce con l’inesorabilità di un conto alla rovescia.Il rischio concreto è che il tempo scada senza che alcuna decisione sia stata presa, dando così forma a
un «meglio virtuale», nemico reale del bene comune.
Certo è, però, che gli elettori non sembrano propensi a proseguire nell’accanimento terapeutico per mantenere in vita un sistema che non ha più nulla da offrire. I dati della ricerca Tecné sui flussi di consenso, in questo senso, sono eloquenti nel momento in cui evidenziano che gli «zoccoli duri» del consenso ai partiti é ormai talmente assottigliato da intaccare la carne viva della democrazia. Nel contempo, una buona parte di quell’area potenziale che ruota intorno alle forze politiche sarebbe comunque pronta a recarsi alle urne, purché motivata a farlo da buone ragioni. I numeri, infatti, evidenziano il sentimento di attesa da parte degli elettori rispetto alla possibilità di poter scegliere; un atteggiamento, quindi, proattivo e non di allontanamento dalla politica come, troppo spesso e in maniera impropria, è stato interpretato l’astensionismo crescente degli ultimi anni.
INCIDERE NEGLI INDIRIZZI DI GOVERNO
Un desiderio di politica e una volontà di incidere negli indirizzi di governo che ha, però, bisogno di nuove modalità attraverso cui esprimersi. Ed è questo ciò che ci si attende dalle forze politiche: un atto di responsabilità, che definisca le regole per dare avvio a una riforma del sistema di rappresentanza.
Un avviare il processo di cambiamento dalle fondamenta, quindi, non una realizzazione troppo rapida che rischierebbe di diventare più simile a un prefabbricato troppo debole per sorreggere il Paese. Per una riforma profonda, com’è quella di cui ha necessità L’Italia, c’è bisogno di tempo, e i pochi mesi che ci separano dalle elezioni non sono sufficienti. Ciò che si può fare, in un così breve periodo, è dare corpo e sostanza a quegli strumenti che consentano ai cittadini di scegliere, com’è appunto la legge elettorale.
È qui che occorrono fatti concreti e reali più che soluzioni ipotetiche e ideali. Sempre che non si voglia lasciare al governo Monti l’onere di trovare una soluzione alla questione. Nel qual caso, i partiti si dovrebbero limitare ad adottarla, anche se sarebbe singolare che un governo tecnico si faccia promotore e creatore della legge più politica che ci sia.
In ogni caso, tra le soluzioni prospettate, sembra molto difficile un ritorno al sistema uninominale, considerati i tempi tecnici necessari al disegno dei collegi; né sembra probabile e auspicabile il ritorno a un sistema proporzionale, che significherebbe mettere indietro le lancette dell’orologio, alzare il rischio d’ingovernabilità del Paese e abbandonare il bipolarismo che ormaifapartepersinodellinguaggiopoliticocomune, tanto che i cittadini ormai dividono i partiti secondo la collocazione nel centrosinistra o nel centrodestra.
Se si vuole essere realisti e raggiungere un risultato, lasciare a tempi migliori le grandi riforme, e rimanere su una formula proporzionale corretta, che garantisca un premio di maggioranza, assegnando, però, i seggi all’interno di circoscrizioni elettorali di dimensioni minori rispetto a quelle attuali. Ciò permetterebbe di abbassare il numero di parlamentari da eleggere in ciascuna circoscrizione, riducendo, di fatto, il numero di candidati di ciascuna lista.
ELETTORI ED ELETTI
Circoscrizioni più piccole e meno candidati vuol dire ridurre la distanza tra elettori ed eletti, con il duplice vantaggio di dare peso alle forze politiche maggiori, senza disporre però il sistema verso forme bipartitiche che non appartengono alla storia e alla cultura del nostro Paese, e conservare quote di rappresentanza anche per i partiti minori. Altro elemento da non sottovalutare è che la riduzione della dimensione territoriale delle circoscrizioni, sulle quali agirebbero meno candidati, significherebbe altresì tagliare anche i costi delle campagne elettorali.
C’è poi il tema della scelta dei parlamentari. È inaccettabile il ritorno alle urne con le liste bloccate previste dalla legge in vigore. Di per sé, le liste bloccate non sono un’assurdità se contemplano pochi candidati, ma diventano un ossimoro della democrazia se composte di 40 persone, dove l‘ordine all’interno della lista (primo, secondo, terzo, ecc.) corrisponde alle probabilità di diventare parlamentare. Un ordine definito dai partiti stessi. È’ evidente che questo modello distorto rappresenta solo una nomina dapartedelleleadershippolitiche, soltanto legittimata dal voto popolare. A questo si somma l’assurdità delle candidature in più circoscrizioni, sistema grazie al quale si correggono eventuali incidenti di percorso. Infatti, poiché i parlamentari eletti contemporaneamente in più circoscrizioni devono optare necessariamente per una soltanto, quando un candidato risulta escluso in quanto «primo dei non eletti», può essere fatto rientrare, in maniera del tutto discrezionale, se il pluricandidato opta per una circoscrizione elettorale diversa.
Ci sono casi di politici illustri usciti dalla porta principale e rientrati subito dalla finestra proprio grazie al sistema delle opzioni. Per ovviare a questi problemi, basterebbe eliminare la possibilità di candidarsi in più circoscrizioni e reintrodurre un sistema di selezione basato sulla preferenza.
PICCOLI AGGIUSTAMENTI
Osservati nel complesso, si tratta di piccoli aggiustamenti che, in attesa di una riforma più profonda del sistema politico, darebbero maggiore peso alla rappresentanza e una forza diversa al voto degli elettori. È evidente, però, che neppure il miglior sistema elettorale del mondo può migliorare un sistema politico affannato. Al massimo, può rendere più efficienti le assemblee elettive dando più slancio all’azione di governo. Ma ciò che fa la differenza rimangono le idee, i progetti e l’impegno per farle diventare realtà.
In questi giorni, mentre Mario Monti convocava un consiglio dei ministri per esprimersi sulla vicenda delle nomine che ha gonfiato le vele della politica di vento contrario, i partiti hanno iniziato a discutere sull’assetto che porterà alle elezioni. A pochi metri di distanza, a Roma, si è riunita la direzione del Pd e l’ufficio di presidenza del Pdl: Berlusconi e Bersani.
SEGNALI DI UNITÀ
Il primo ha lanciato segnali di unità per contrastare la sensazione crescente di un «rompete le righe» che aleggia in area Pdl e parla di riforme elettorali. Bersani fa di più: lancia le primarie per l’autunno, annunciando che si candiderà in una competizione aperta, puntando su un patto di legislatura che possa tenere insieme la sinistra e i moderati dell’Udc. E anche nel Pd le riforme tengono banco. Sempre a Roma, il giorno dopo, la Presidente della Regione Lazio, Renata Poverini, tiene a battesimo Città Nuove. Un discorso di oltre un’ora, denso di contenuti e di citazioni: da De Gasperi ad Al Gore, da Pericle al premio nobel per l’economia Amartya Sen. E lancia una raccolta di firme per reintrodurre le preferenze.
Tutti parlano di legge elettorale e sembra che i segnali della volontà di cambiamento stiano arrivando da più parti. Ora cambiarla è un dovere assoluto: per il bene comune. Speriamo.
di Carlo Buttaroni, Presidente Tecné
l’Unità 11.06.12