Campanili, chiese, torri. l’Emilia Romagna ne è costellata e le cittadine colpite duramente dal terremoto ne sono un esempio. Queste torri simbolo con gli orologi fermi all’ora delle scosse e questi monumenti rischiano di diventare un problema vero per la ricostruzione. Così, oltre al dolore nel vedere sbriciolarsi davanti a se’ la propria identità di cittadini, oggi queste stesse città trovano nei monumenti storici un ostacolo per la ripartenza.
Luisa Turci, sindaco di Novi, la cittadina che il 3 giugno ha perso la sua torre con l’orologio, lo dice chiaramente: «un esempio: una casa agibile non può essere abitata perché le pende sopra un campanile che sta per crollare; i proprietari sono arrabbiatissimi perché i giorni passano e nessuno sta facendo nulla». Le zone rosse della città colpite dal terremoto coincidono con i loro centri storici costellati di monumenti vincolati dalla soprintendenza per i beni culturali e paesaggistici dell’Emilia-Romagna. Zone che potrebbero e dovrebbero essere mano a mano ristrette per ripartire perché da un monumento vincolato dipende la rimessa in agibilità di molti altri edifici. «Ne ho parlato proprio qualche minuto fa con il presidente Vasco Errani – racconta il sindaco Turci, che con il sisma ha visto crollare la
sua abitazione – per porgli questo come prioritario tra i tanti temi». Lo stesso allarme viene lanciato anche dal collega di Cavezzo, Stefano Draghetti: «la gente vuole ripartire: se aspettiamo i tempi standard delle soprintendenze non usciamo più da questo circolo vizioso. Chiederò alla soprintendenza un progetto per poi avere dal dipartimento della protezione civile le autorizzazioni a procedere». La “velocità” di valutazioni tecniche e interventi è la richiesta che arriva anche dal sindaco di Mirandola Maino Benetti: «è evidente che la ricostruzione finirà tra qualche anno e noi abbiamo pensato di indire una gara di idee internazionale per cogliere nel dramma l’opportunità di fare qualcosa di innovativo. Ma adesso abbiamo bisogno che si sblocchino quei casi in cui il monumento costituisce un pericolo, dove impedisce di rientrare nelle abitazioni, nelle attività, e dove, come accade nel caso della nostra chiesa di san francesco,
addirittura siamo stati costretti a chiudere una strada provinciale creando difficoltà alla mobilità e ai soccorsi». Alberto Silvestri, primo cittadino di San Felice è preoccupato soprattutto per il susseguirsi delle scosse: «le operazioni di verifica ripartono in continuazione perché il terremoto non ci dà tregua». La Rocca crepata, simbolo di questo sisma, verrà messa in sicurezza nei prossimi giorni, perché se dovesse cadere sarebbe un vero disastro. La replica della soprintendenza Carla di Francesco, a capo della direzione regionale dei beni culturali e paesaggistici, tuttavia, non accetta proprio che le si dica che non si sta lavorando celermente. Il problema è un altro, avverte: «siamo di fronte ad una situazione mai vista in terremoti precedenti. In questo sisma è stata colpita una quantità inimmaginabile di campanili e chiese nelle cittadine, nelle frazioni: chi ha operato in Abruzzo mi dice che la situazione non è paragonabile». I campanili soprattutto, Di Francesco lo conferma, costituiscono la vera priorità: «almeno 40 sono “in crisi”, per una decina abbiamo trovato soluzioni, due sono stati abbattuti, uno di questi era recente,metà 900 e non sottoposto a vincoli». Cerchiature, bloccaggi sono gli interventi che vengono predisposti: «le celle campanarie sono state molto danneggiate ma sono certa che nei prossimi mesi si porrà il problema dei muri delle chiese, delle abitazioni: sono molte le case che dall’esterno sembravano intatte ma che abbiamo scoperto essere distrutte all’interno». Sono due le modalità attraverso cui la direzione regionale predispone gli interventi: «con l’aiuto e l’intervento dei vigili del fuoco, laddove è possibile».
Ma, proprio nell’ottica della velocità degli accertamenti tecnici, Di Francesco ha chiesto l’aiuto di “tre saggi”:Carlo Blasi dell’Università di Parma, Angelo Di Tommaso, professore emerito di Bologna, e Claudio Modena di Padova che stanno procedendo a fornire indicazioni di recupero o modalità di conservazione.
«Corriamo come dannati – sbotta Di Francesco – e bisogna rendersi conto che si tratta di un tema di grossa responsabilità e di una casistica enorme». In alcuni casi poi, racconta, «il campanile ci ha tolto ogni problema, come è accaduto nel caso di quello bellissimo di San Francesco a Mirandola che è proprio scomparso
del tutto. un dispiacere grande».
l’Unità 11.06.12