Più disoccupazione in America, meno manifatture in Europa, le industrie cinesi producono a rilento, l’India è a corto di investimenti e il Brasile lamenta il pil frenato dall’agricoltura: sul Pianeta incombe una fase di recessione globale ad appena due settimane dal summit del G20 che dovrebbe sancire il rilancio della crescita. Il motivo è che in ogni grande area economica le speranze di accelerazione lasciano il passo ai timori di consumatori e investitori.
Negli Stati Uniti le imprese che hanno accumulato profitti nel 2011 non hanno neanche ricostituito le scorte e, assieme alla diminuzione dei consumi, hanno innescato un vortice negativo che penalizza l’occupazione, tornata a scenderecome non avveniva da 11 mesi. In Europa la contrazione più visibile è quella delle manifatture, guidata dai dati peggiori degli ultimi tre anni in Germania, Francia e Gran Bretagna che suggeriscono come la crisi del debito sovrano abbia oramai ripercussioni negative che vanno ben oltre le economie più vulnerabili dei Paesi del Sud, superando anche i confini dell’Eurozona.
Ma a differenza di quanto avvenuto negli ultimi due anni non è solo l’Occidente in difficoltà: anche le economie dei Paesi emergenti sono in affanno. Le crescite record lasciano il posto a molteplici difficoltà. La Cina registra la peggiore produttività industriale accompagnata da timori di scontento nelle campagne, l’India che in autunno era la punta avanzata della crescita globale ora si interroga sulla carenza degli indispensabili investimenti stranieri e al Brasile i progetti di boom energetico non bastano a compensare l’indebolimento dell’industria alimentare che equivale alle materie prime. A mettere assieme i tasselli del mosaico è uno studio macroeconomico del Lloyd Banking Group paventando il rischio di una «recessione globale» che obbliga il summit del G20 in programma in Messico a rivedere in fretta la propria agenda: non si tratta di far convergere le economie emergenti sulla piattaforma pro crescita approvata dal G8 di Camp David bensì di fronteggiare con provvedimenti urgenti quella che un veterano americano dei vertici internazionali definisce la «tempesta perfetta dell’economia globale» ovvero quando tutti i maggiori motori, per un motivo o l’altro, rallentano o si fermano.
Se l’incubo è collettivo, l’urgenza di scongiurare tale scenario è anzitutto di Barack Obama perché il presidente americano che aveva scommesso la propria rielezione in settembre sulla ripresa dell’occupazione ora è obbligato a rivedere in fretta i piani di battaglia con i repubblicani. Obama assicura che «l’economia tornerà forte», imputa alla crisi dell’Europa le difficoltà della crescita e la Casa Bianca ripete che «una simile situazione non si supera in fretta». Ma in realtà da ieri il team del presidente si è reso conto che non potrà perseguire la rielezione sulla base delle aspettative di crescita, come riuscì a un debole Ronald Reagan nel 1984. Il Team Obama è obbligato a riscrivere in fretta il copione del gran finale elettorale e ciò promette sorprese.
La Stampa 02.06.12