Berlusconi ha deciso di far saltare il tavolo delle riforme costituzionali proponendo addirittura l´abbandono della Repubblica parlamentare e il passaggio a quella presidenziale. Non è una mossa imprevista, perché da sempre ha considerato la Costituzione come un terreno di scorrerie, una merce di scambio, un oggetto odiato, dunque da aggredire tutte le volte che se ne presenta l´occasione. Ma questa volta vi è qualcosa di più. La proposta dell´elezione diretta del presidente della Repubblica è un evidente tentativo di uscire dalle difficoltà politiche nelle quali è piombato, cercando di volgere a suo favore l´onda populista che percorre l´Italia e rilanciando se stesso come protagonista di questa nuova fase, spostando così i termini della discussione interna al suo partito nella speranza di una rinnovata unificazione intorno alla sua persona.
È chiaro che questa trasformazione radicale della forma di governo non potrà essere approvata nel corso di questa legislatura, a meno che non vi sia un impazzimento delle altre forze politiche. Ma di questo credo che a Berlusconi importi assai poco. A lui basta aver ripreso il posto al proscenio di quel teatrino della politica che tante volte ha vituperato e aver individuato quello che, da oggi in poi, sarà il terreno della sua campagna elettorale in vista delle elezioni politiche del 2013. A un paese drammaticamente lacerato ripropone la ricetta dell´uomo solo al comando, della democrazia d´investitura, dell´accentramento dei poteri. Cerca di sfruttare, insieme, l´indicazione che viene dal successo del Movimento 5Stelle e la rapidità con la quale, in Francia, Hollande ha costituito il suo governo. Ma questo suo rifugiarsi nell´ingegneria costituzionale per sfuggire alle difficoltà politiche in cui è immerso, non tiene conto del fatto che la sua stagione politica è stata contrassegnata dall´intreccio vizioso tra pubblico e privato, dall´uso spregiudicato delle risorse pubbliche da parte dei suoi e dei suoi alleati, da una visibile incapacità di governare pur avendo una maggioranza parlamentare senza precedenti. Tutto questo si può cancellare con una mossa mediatica, fidando nella perdita di memoria dei cittadini? Berlusconi non è l´uomo nuovo del 1994, ma davvero impersona tutti i vizi, politici e no, della stagione che abbiamo alle spalle. La possibilità di un suo ritorno è davvero una minaccia, che esige adeguate contromosse politiche.
Alfano ha annunciato che la proposta del passaggio alla Repubblica presidenziale sarà presentata la prossima settimana al Senato, in occasione della ripresa della discussione del disegno di legge sulle riforme costituzionali. Basta questo annuncio per mostrare quanto sia stata sciagurata la scelta di imboccare questo cammino di riforma all´insegna dell´approssimazione, preparando così il clima propizio alle strumentalizzazioni e alle incursioni corsare. Dobbiamo, allora, guardare oltre l´ultima occasione, per cercare di vedere se sia possibile uscire dalla trappola in cui ci si è cacciati.
Stiamo vivendo una fase costituente senza averne adeguata consapevolezza, senza la necessaria discussione pubblica, senza la capacità di guardare oltre l´emergenza. Per comprendere quel che sta accadendo, è un intero contesto a dover essere considerato. È stato modificato l´articolo 81 della Costituzione, introducendo il pareggio di bilancio con pregiudizio grave per la tutela dei diritti sociali e per la stessa azione di governo. Un decreto legge dell´agosto dell´anno scorso e uno del gennaio di quest´anno hanno illegittimamente messo tra parentesi l´articolo 41. E il Senato sta discutendo una revisione costituzionale che incide profondamente su Parlamento, governo, ruolo del presidente della Repubblica. Non siamo di fronte alla buona “manutenzione” della Costituzione, ma a modifiche sostanziali della forma di Stato e di governo. Le poche voci critiche non sono ascoltate, vengono sopraffatte da richiami all´emergenza così perentori che ogni invito alla riflessione configura il delitto di lesa economia. In tutto questo non è arbitrario cogliere un altro segno della incapacità delle forze politiche di intrattenere un giusto rapporto con i cittadini che, negli ultimi tempi, sono tornati a guardare con fiducia alla Costituzione e non possono essere messi di fronte a fatti compiuti. Proprio perché s´invocano condivisione e coesione, non si può poi procedere come se la revisione costituzionale fosse affare di pochi, da chiudere negli spazi ristretti d´una commissione del Senato, senza che i partiti promuovano essi stessi quella indispensabile discussione pubblica che, finora, è mancata. E invece siamo di nuovo a un continuo cambiare le carte in tavola, ai segnali di fumo tra oligarchie, alla considerazione della Costituzione come oggetto manipolabile secondo le convenienze.
Oggi vi sono alcune domande più ineludibili di ieri. Può un Parlamento non di eletti, bensì di “nominati” in base ad una legge di cui tutti a parole dicono di volersi liberare per la distorsioni che ha prodotto, mettere profondamente le mani sulla Costituzione? Può l´obiettivo di arrivare alle elezioni con una prova di efficienza essere affidato ad una operazione frettolosa e ambigua? Può essere riproposta la linea seguita per la modifica dell´articolo 81, arrivando ad una votazione con la maggioranza dei due terzi che esclude la possibilità di un intervento dei cittadini? Quest´ultima non è una pretesa abusiva o eccessiva. Non dimentichiamo che la Costituzione è stata salvata dal voto di sedici milioni di cittadini che, con il referendum del 2006, dissero “no” alla riforma berlusconiana.
Il polverone sollevato dall´irruzione berlusconiana ha comunque un nefasto effetto immediato, poiché rende più ardua la via verso la riforma elettorale, unico punto ineludibile in questa fase. Ma solo un ceto politico percorso da pulsioni suicide può pensare di votare nel 2013 con la “porcata” Calderoli. Una intesa è difficile, le manovre dilatorie continuano? È tempo che le forze politiche consapevoli facciano la loro proposta alla luce del sole e ne chiedano la discussione in Parlamento. Solo così sarà possibile rendere chiaro all´opinione pubblica la differenza tra chi vuole davvero la riforma e la nuova razza padrona che intende continuare a tenere nelle proprie mani la scelta dei parlamentari. Se si vuole accompagnare la riforma elettorale con la riduzione del numero dei parlamentari, si scorpori questo tema dalla discussione generale e si vada avanti nel modo più rapido, perché la nuova, sperata legge elettorale ha bisogno di tempo per essere adeguata alle nuove dimensioni del Parlamento. Solo così potranno cadere molti alibi, e una flebile speranza di rinnovamento potrà rimanere viva.
La Repubblica 26.05.12