La cena di ieri sera dei capi di governo dell´area euro avrebbe dovuto svolgersi su uno dei traghetti di Leonardo. Sfruttano ingegnosamente la corrente per trasportare persone e cose da una parte all´altra di un fiume. Ci si imbarca allegramente, in comitiva. Ma una volta in mezzo al guado, ci si accorge che non si può stare fermi in attesa magari di un raggio di sole, né si può tornare indietro. L´unica opzione possibile è passare all´altra riva, con una velocità commisurata alla forza della corrente. Poi, solo a quel punto, se proprio lo si desidera, si potrà tornare indietro.
L´unico modo per evitare una nuova pesante recessione a livello mondiale e di scongiurare il collasso dell´Unione monetaria europea, e forse della stessa Unione europea, è rafforzare la politica monetaria comune e garantire insieme, a livello europeo, la stabilità del sistema bancario. Superata la crisi, si potrà ridurre l´integrazione politica ed economica su altri fronti. Perché le istituzioni europee devono gestire le risorse comuni, a partire dalla moneta unica, e delegare ai singoli paesi le riforme strutturali. Oggi, invece, avviene esattamente il contrario: le politiche della Bce vengono dettate dai governi nazionali e condizionate dalle banche centrali dei singoli paesi (che errore non averle smantellate creando l´euro!) e l´agenda delle riforme microeconomiche viene stabilita a Berlino, Bruxelles e Francoforte tenendo pericolosamente i paesi sempre sull´orlo della bancarotta finanziaria per poter così influenzare le loro decisioni, senza spesso neanche conoscere le specificità istituzionali e gli equilibri socio-politici dei singoli paesi.
Un ruolo più forte della Bce nel gestire la crisi e l´introduzione di un´assicurazione europea sui conti bancari sono fondamentali per evitare il panico in caso di uscita della Grecia dall´euro e, in ogni caso, per dare una speranza, una prospettiva allo sforzo che i singoli paesi stanno facendo (per la verità non tutti con lo stesso impegno) per migliorare i loro conti pubblici. Oggi questi sforzi vengono vanificati dall´abbraccio mortale fra banche e ministeri del Tesoro, che la stessa Bce ha attivamente sostenuto in questi mesi. È un intreccio perverso anche perché opera in modo asimmetrico. Quando i titoli di Stato perdono valore come in questi giorni, le banche vedono pericolosamente svalutarsi il loro patrimonio e ciò diffonde il panico tra le famiglie che mettono altrove i loro risparmi. La fuga di capitali dai paesi del Sud Europa si legge nei 650 miliardi che le banche di questi paesi devono alla Bce. Ma anche quando gli spread si riducono, le cose non vanno molto meglio perché le banche sono indotte a comprare titoli di Stato anziché a dare liquidità e credito a famiglie e imprese. È il film visto nei primi tre mesi del 2012 quando qualcuno improvvidamente aveva decretato la fine della crisi.
L´Unione europea e non solo l´Unione monetaria rischia il naufragio perché oggi non dà alcuna speranza a chi vi appartiene ed è in condizioni di difficoltà. Per questo è un costrutto che non può reggere a lungo. Non c´è bisogno di pensare alla Grecia, basta guardare a quello che sta succedendo da noi. Stiamo vivendo una recessione disperante perché segue a ruota una grande crisi in cui famiglie e imprese avevano già raschiato il fondo del barile. Oggi non riescono più ad ammortizzare i costi della crisi, ad evitare che il calo dei redditi si trasformi in una riduzione altrettanto marcata dei consumi. Per questo la crisi – pur essendo meno forte della precedente, almeno a giudicare dai dati del Pil – si sente molto più di quella di tre anni fa. Scendono i consumi delle famiglie, mentre reggono le esportazioni, crollate nell´inverno 2008-9. Tutti gli indicatori reali (a partire dai consumi di vivande, anche a parità di traffico, sulla rete autostradale, per arrivare ai pasti offerti ai poveri dai centri di welfare) segnalano una crisi molto più forte che allora. Di più, famiglie e imprese non vedono vie d´uscita da questo disagio diffuso, almeno a giudicare da quanto dichiarano nelle indagini sul clima di fiducia. Del resto, c´è un miglioramento troppo modesto della nostra posizione verso l´estero, della nostra bilancia commerciale, mentre i rendimenti dei titoli di Stato a breve, e non solo gli spread a lunga monitorati dai media, sono tornati pericolosamente a salire nonostante un aggiustamento fiscale di 80 miliardi in tre anni. Quando non si vede la fine del tunnel, inevitabile chiedersi: perché fare tanti sacrifici se le cose non accennano comunque a migliorare? Purtroppo l´uscita dall´euro ci aprirebbe scenari ben peggiori, come documentato su queste colonne sabato scorso da Alberto Bisin. Ma è certo che la situazione è insostenibile: senza speranza e con un disagio diffuso non si può andare avanti a lungo, socialmente, ancora prima che economicamente.
Anche in Germania per fortuna se ne sono resi conto. Lo si vede anche dalle reazioni all´accordo dei metalmeccanici tedeschi. In altri tempi, un aumento salariale del 4,3 per cento nei prossimi 14 mesi (dopo quelli del 6 per cento accordati negli ultimi mesi a bancari, dipendenti pubblici e impiegati Telekom) sarebbe stato accompagnato da messaggi d´allarme dalla Bundesbank e dallo stesso governo. Invece questi aumenti sono stati accolti con favore da Weidmann e da Schauble. Ma ci vuole ben altro per esportare crescita verso il Sud dell´Europa e per ridurre il divario di competitività fra la Germania e i paesi dell´Unione monetaria, al di fuori dall´ex area del marco. Anche in questo serve una Banca centrale europea più aggressiva nel reagire alla crisi. Dovrebbe abbassare i tassi di interesse e impegnarsi a mantenerli a zero nei prossimi due anni. Una forte svalutazione dell´euro verso il dollaro sarebbe molto utile. Avrebbe il vantaggio non solo di rafforzare la spinta che viene dalle esportazioni nei paesi del consolidamento fiscale, ma anche di generare inflazione in Germania, per via delle sue forti importazioni da paesi fuori dell´area euro, riducendo anche in questo modo gli squilibri nei livelli di competitività fra i paesi della moneta unica.
Lo scontro politico in vista del vertice europeo di giugno sembra tutto incentrato sugli eurobond e sui project bond che dovrebbero servire a finanziare imprecisati progetti infrastrutturali. I primi sono improponibili in situazioni in cui i premi di rischio tra paesi sono così diversificati, mentre i secondi rischiano di avere effetti troppo tardi, quando il naufragio sarà già avvenuto. Quello che conta ora è andare più rapidamente possibile sull´altra riva completando il costrutto dell´Unione monetaria europea. Ci vuole una Banca centrale europea in grado di intervenire, come la Fed nel 2008-9, per evitare il collasso della moneta che è chiamata a gestire, che è la sua ragion d´essere, comprando direttamente titoli di Stato dei paesi del contagio anziché delegare questo compito alle banche. E che sia in grado di comunicare ai mercati chiaramente le proprie intenzioni anziché lanciare il sasso e poi tirare indietro la mano. Ai politici europei sin qui sopravvissuti, quelli che si sono rivelati incapaci di circoscrivere una crisi che poteva benissimo essere locale, si chiede oggi di limitarsi a fare un passo indietro, dando modo alla Bce di attivare gli strumenti di cui sulla carta già dispone. Quanto ai nuovi leader, comprensibilmente ansiosi di protagonismo, forse meglio che si concentrino sui meccanismi per creare nel più breve tempo possibile un´assicurazione europea dei depositi bancari e per portare avanti le riforme nei loro paesi, piuttosto che utilizzare tutto il loro peso politico per inseguire delle chimere, come gli eurobond.
La Repubblica 24.05.12