Bombe all’ingresso di una scuola. Non era mai accaduto nel nostro pur tormentato Paese. Melissa, sedici anni, è morta. Veronica lotta disperatamente per la vita. La città di Brindisi per un giorno è diventata casa nostra, offrendoci il turbine di sentimenti strazianti e la leva di una insopprimibile ribellione civile. Brindisi, non resterai sola. La nostra coscienza di donne e uomini, prima ancora che di popolo, non può accettare che un simile attentato venga lasciato impunito, né che generi paure o consenta ricatti. Uccidere ragazzi indifesi è l’atto più vile, la ferita più profonda al senso di umanità, la minaccia più esplicita alla coesione sociale. Sotto attacco è l’Italia, il nostro essere nazione, certamente non meno di quando si parla di euro o di debito pubblico.
La matrice dell’attentato non è ancora chiara. Ma non si va molto lontani dal vero parlando di un atto terroristico-mafioso. Ciò non vuol dire che siamo necessariamente di fronte alla riedizione delle stragi del ’93, quando la cupola mafiosa si inserì nella crisi della Prima Repubblica, attuando la sua strategia di destabilizzazione e portando la sfida direttamente allo Stato. Tuttavia la nostra storia è così piena di ombre, di oscurità, di contiguità da consigliare la massima allerta e la massima vigilanza.
Del resto, tra le piste investigative quella più credibile conduce proprio alla criminalità organizzata, legata alla Sacra corona unita. Di recente ci sono stati arresti, lo Stato ha inflitto colpi pesanti ai mafiosi pugliesi. E tra Mesagne e Brindisi il movimento per la legalità si stava rafforzando, proprio tra i giovani delle scuole. Può darsi che gli attentatori non avessero l’ambizione di un attacco al cuore dello Stato, ma «soltanto» un regolamento di conti, per quanto spietato e sanguinario. Quelle bombe però hanno varcato la soglia simbolica, oltre la quale viene colpito un popolo intero. Melissa siamo tutti noi. Melissa è nostra figlia. Sarebbe finita l’Italia se consentisse di archiviare, o anche solo di sottovalutare, una bomba in una scuola che si chiama Falcone-Morvillo, in una scuola che ha vinto il concorso della legalità, in un giorno in cui passava da Brindisi la carovana di Libera.
Ma l’Italia è viva. Lo hanno dimostrato le migliaia e migliaia di cittadini, che in cento città ieri sono scese spontaneamente in piazza. Lo dimostreranno lunedì gli studenti, i loro genitori, i professori in tutte le scuole del Paese. La mafia, la criminalità, il terrorismo non passeranno. Non piegheremo la testa alla strategia della paura. Magari scopriremo nei prossimi giorni altri lati oscuri di questa vicenda: ma il terrore «puro» di queste bombe in una scuola si può sconfiggere solo tenendosi da subito per mano, uscendo per strada, costruendo solidarietà, rompendo il guscio della solitudine.
Il cittadino solo davanti al marcato e alle proprie paure: è purtroppo il paradigma di questo tempo. La strategia della paura può trasformarsi con forme nuove in una strategia della tensione. Ma dobbiamo batterla. Ricostruendo le reti di solidarietà di cui furono capaci i nostri padri. I violenti, i mafiosi, i terroristi possono essere sconfitti. Come diceva il procuratore Antonino Caponnetto: temono più le scuole che le aule di giustizia. È un dovere che abbiamo davanti ai nostri figli, insieme ai nostri figli.
L’Unità 20.05.12
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Quei quaderni sull’asfalto e noi di fronte all’indicibile. Il futuro tolto a una sedicenne”, di Francesco Piccolo
Qualcuno può piazzare tre bombole a gas nei pressi di una scuola. Esiste nel mondo qualcuno che ha agito così. Sia che si tratti di un attentato strategico, sia che si tratti di un atto dimostrativo sfuggito di mano, quello che sappiamo è che c’entra con noi. Perché questo Paese è indebolito, impaurito, scosso; allo stesso tempo è urlante, facinoroso. E tra le falde della confusione e della complessità, in coincidenza con gli allarmi che si cominciano a percepire, si cerca di approfittare; oppure, si costringe tutti noi ad avere paura di trame peggiori. Oltre ai danni irreversibili che ha creato, questo ordigno strano fa spavento, perché appare in un momento delicato, difficilissimo.
Il futuro, nel mondo dove viviamo noi, non lo puoi strappare via a nessuno. E se lo strappi via a una ragazza di sedici anni, non basta più nemmeno chiamarla efferatezza. Diventa l’indicibile, e fa una gran fatica scrivere dopo qualche ora dall’indicibile. Provare a comprendere ciò che non si può comprendere. Ciò che quelli di un altro mondo fanno finta di non sapere, e che invece la Storia ha insegnato, nonostante tutto, è che ogni gesto indicibile induce a un sentimento produttore di enormi quantitativi di umanità: si chiama dolore, e lo provano tutti in vari gradi, dai genitori e dagli amici di Melissa (e di Veronica in fin di vita, e di tutti gli altri feriti), per arrivare a noi che non sapevamo che esistesse questa ragazza fino a quando abbiamo scoperto che non c’era più. Si va da un dolore gigantesco perché specifico, a un dolore tenuto a bada perché generico. Ma questi due dolori sono legati — dall’empatia, dai quaderni e libri e zaini sull’asfalto, dalla solidarietà, dall’inaccettabile. E producono una enorme quantità di dignità umana che si oppone, che si è sempre opposta e si opporrà sempre, al Male e all’indicibile.
Raccontare e comprendere è il compito che ci dobbiamo dare. Dalle pagine di un giornale alle coscienze di tutto il Paese. Raccontare perfino ciò che non si capisce. Perché la linea di resistenza — lo dice la Storia, a proposito degli anni terribili di mafia, a proposito degli anni terribili di terrorismo — sta in quel Paese che si commuove, si arrabbia, si compatta, e poi cerca di sapere. Sta in quel Paese che rispetta il lutto, che vuole conoscere la storia di Melissa Bassi e degli altri che avranno la vita deviata da quella frazione di secondo. Casomai questo Paese è silenzioso, scettico qualche volta, impaurito ancora più che moderato. Ma nonostante tutto, non cede all’irrazionalità, alla furia. Sa mantenersi saldo davanti ai continui ritorni delle mafie, che se sono forti sono spietate, e se sono deboli lo sono ancora di più. E si sforza di comprendere fino in fondo di cosa si sia trattato, per prendere le misure. Anche se vive nel timore di non saperlo mai, perché è già accaduto troppe volte di non sapere.
Quel Paese c’è. Siamo noi. Noi ieri eravamo come parenti e amici di Melissa e dei ragazzi feriti. Oggi, invece, ci tocca già un altro compito: cercare di capire cosa è successo davvero davanti a quella scuola, chi è stato, per lavorare con accanimento sugli anticorpi che l’intero Paese deve produrre contro qualsiasi intenzione ci sia dietro. E contro la paura, soprattutto.
Sappiamo essere tristi per quello che succede, sappiamo pilotare la nostra rabbia per non cedere. E sappiamo, in qualche modo, far muovere, bene o male, verso il futuro prossimo, quel pachiderma nevrotico che è l’Italia — anche se da quel futuro mancherà, senza che possiamo accettarlo, Melissa Bassi.
Il Corriere della Sera 20.05.12
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“Cari ragazzi vi scrivo”, di Reginaldo Palermo
Il testo della lettera che nelle scuole primarie del circolo didattico di Pavone verrà letta e discussa con gli alunni. Quello di Brindisi è un attentato che mira al cuore e ai fondamenti della vita associata.
Questa volta ho preso “carta e matita” non per scrivere un commento all’ultima circolare del Ministro o per dare notizia sull’andamento di una qualche contrattazione integrativa nazionale, ma per rivolgermi agli alunni della scuola che dirigo da più di 30 anni.
E così, nella mattinata di lunedì 21 maggio, in tutte le classi IV e V (ma anche in altre i cui insegnanti lo vorranno) delle scuole primarie del circolo didattico di Pavone verrà letta questa lettera.
Il senso è chiaro, ma forse un concetto è bene ribadirlo: i luoghi degli attentanti hanno sempre un significato simbolico; “attaccare” una scuola significa in qualche
modo attentare a un luogo che, per elezione, è destinato a trasmettere ai giovani il senso profondo della comunità locale e nazionale e del “patto sociale” che ne sta alla base.
Un attentato commesso in una scuola significa una cosa sola: tentare in qualche modo di limitare questa funzione sociale e culturale; è questo è inaccettabile perchè mina alle radici (in modo –mi si passi l’espressione – quasi ontologico) il fondamento della nostra società, anzi di ogni società.
Questo è il testo della lettera che verrà letto e discusso con i ragazzi e che è già stato pubblicato sugli organi di informazione locali.
Cari ragazzi,
vi scrivo queste righe poche ore dopo aver appreso del terribile attentato di Brindisi, dove sono esplose alcune “bombe” che hanno causato un morto e diversi feriti fra gli studenti di una scuola.
Non sappiamo ancora chi e perché abbia compiuto un gesto così tremendo.
Carabinieri, polizia e magistratura dovranno accertare la verità.
Ma un fatto è certo: chi lo ha commesso non ha alcun rispetto per la scuola e non capisce il valore straordinario che l’istruzione ha per lo sviluppo di una nazione.
Proprio nei giorni scorsi abbiamo distribuito a molti di voi il libro della Costituzione della Repubblica e tutti i giorni gli insegnanti si impegnano per insegnarvi l’importanza del rispetto delle regole e delle leggi.
Andare a scuola significa proprio questo: imparare a diventare cittadini che conoscono e rispettano le leggi e che amano il proprio Paese.
E’ per questo motivo che un attentato davanti ad una scuola è una cosa terribile: forse c’è chi pensa che insegnare ai bambini e ai ragazzi a diventare cittadini onesti sia una cosa sbagliata.
Ma voi sapete bene che non è così.
Imparare a diventare bravi cittadini è importantissimo: solo in questo modo il nostro Paese, la nostra splendida Italia, potrà cresce e migliorare.
Nelle scuole, nelle aule, nelle palestre, nei cortili dove voi trascorrete le vostre giornate devono esplodere solamente la conoscenza, la cultura, il rispetto, l’amicizia, la solidarietà e la pace.
Il direttore didattico
Reginaldo Palermo
La Tecnica della scuola 20.05.12