L’emergenza educativa è un grande tema nazionale che il programma per il 2013 deve affrontare con forza. Non si tratta solo dei fondi da destinare alla ricerca ma di assumere impegni sul profilo culturale del Paese. Le turbolenze dell’economia mondiale e l’incertezza sul se e quali riforme si potranno varare in questo scorcio di legislatura fanno pensare che l’emergenza nazionale, da cui ha avuto inizio il governo Monti, non sarà superata con le elezioni del 2013. Tralascio gli aspetti internazionali, sui quali l’Italia può influire in misura limitata: la molteplicità dei fenomeni che sinteticamente chiamiamo crisi, origina, in ultima analisi, dalla insostenibilità per l’Occidente del dualismo competitivo fra euro e dollaro. Ma, quanto alla politica italiana, che situazione si profila sei mesi dopo la nascita dell’attuale governo?
Mi pare che i risultati delle elezioni amministrative rivelino la profondità della crisi del centrodestra: la rivelano, non la generano, e fanno comprendere meglio perché si sia giunti a un governo di emergenza nazionale. Tutti sembrano riconoscere che il Partito democratico sia il solo partito rimasto in piedi. Ma perché? Una prima risposta è nella centralità conquistata dal Pd nel gioco politico fin dall’estate del 2010: una centralità che continua e lo ha portato a essere il principale sostegno del governo attuale. Quando, nel 2010, il Popolo della libertà perse le elezioni regionali a vantaggio della Lega, originando una crisi d’egemonia di Berlusconi nella sua stessa coalizione, fu a mio avviso determinante che il Pd, appena uscito dal travaglio della successione dei suoi due primi segretari, si proponesse come forza politica essenziale per qualunque soluzione della crisi della Seconda Repubblica: fossero le elezioni anticipate, ovvero un governo di Grande coalizione senza Berlusconi, come poi sarebbe avvenuto.
Questa sommaria ricapitolazione mostra anche quale sia oggi la sua missione: quella di indicare un cammino che, attraversando le elezioni del 2013, consenta innanzitutto alle forze che sostengono il governo Monti, comunque riconfigurate dal passaggio elettorale, di condividere chi dal governo, chi dall’opposizione gli oneri di una situazione di emergenza di cui nessuno può prevedere la fine.
Naturalmente la sorte della prossima legislatura non dipende solo dal Partito democratico, ma qui mi preme porre l’accento su quanto esso può contribuire a determinarla. La sfida chiama in causa la sua ispirazione originaria, ovvero le ragioni per cui è riuscito ad operare come un partito nazionale e popolare. Io credo che fra queste abbia un ruolo determinante la sua matrice di partito laico fondato sulla collaborazione di credenti e non credenti. Il paesaggio politico e culturale della Seconda Repubblica appare sempre più simile a un territorio devastato da una guerra. Non può sorprendere, quindi, che il mondo cattolico sia riemerso come grande riserva intellettuale e morale della vita del Paese. Ma se la Chiesa italiana ha potuto assumere con rinnovata energia una funzione nazionale, se ha potuto essere un fattore determinante della fine di Berlusconi, a me pare che la sua azione sia stata favorita dalla presenza di un nuovo partito riformista, in cui il riformismo cattolico ha un ruolo significativo e che, nel suo insieme, è orientato a valorizzare il contributo del cattolicesimo politico alle sorti dell’Italia.
Nella messa a punto della proposta politica per la prossima legislatura a me pare che questo elemento fondamentale della figura del Pd debba esprimersi con ricchezza. Un primo tema riguarda la possibilità che sia una legislatura costituente, ma di questo mi propongo di parlare in un’altra occasione. Qui vorrei soffermarmi, invece, su un tema sensibile della ricostruzione culturale e morale della vita nazionale: il tema dell’«emergenza educativa». È auspicabile che sia un tema centrale nella messa a punto del programma annunciato da Bersani per l’autunno. Credo che sia il tema che meglio di qualunque altro può manifestare quale sia la nostra visione della società italiana e la nostra capacità di renderla concreta.
In estrema sintesi, non si tratta solo delle risorse che ci proponiamo di destinare alla ricerca e alla formazione, né delle priorità che scandiranno la nostra agenda della spesa. Si tratta di assumere impegni chiari sul profilo culturale della nazione italiana, che potrebbero riassumersi in un progetto per una società educante. Istruzione e educazione non si possono separare. La formazione della persona è una combinazione di conoscenze e motivazioni dipendenti dall’equilibrio fra autorità e libertà nel processo educativo. La concezione e il ruolo della famiglia è quindi centrale, ma dipende a sua volta dalla sintonia o dalla disarmonia morale che determina i rapporti fra tutte le «agenzie» educative e formative.
Un progetto di «società educante» esige, quindi, una nuova alleanza tra la famiglia, la scuola, le confessioni religiose, i mezzi di comunicazione sociale, le organizzazioni del tempo libero. Ne abbiamo parlato, giorni fa, in un incontro dedicato ai temi dell’emergenza antropologica, sui quali suscitò una certa attenzione la lettera aperta sottoscritta da Pietro Barcellona, Paolo Sorbi, Mario Tronti e da me lo scorso ottobre. Mi auguro che la discussione possa proseguire in pubblico.
l’Unità 17.05.12