Nel primo trimestre del 2012, ben 2,5 milioni di ettari sono stati ceduti dalle comunità locali a grandi imprese multinazionali cinesi, brasiliane, francesi, inglesi, danesi, svedesi, nord americane, quatarine e thailandesi. Se si considera il periodo che va dal 2007 al 2011, nelle aree dell’Africa sub-sahariana, del Sud America, dell’Australia e dell’Oceania, le vendite o le espropriazioni sono avvenute per ragioni che le statistiche classificano come «alimentari» (il 52%), la coltivazione di colture per la produzione di bio-carburanti (20%) e, infine, l’allevamento (l’8%).
L’area sub-sahariana è quella più interessata da questo irrompere del mercato capitalistico: gli acquisti di terre sono stati il 54% di tutte le transazioni mondiali, connotando in modo esplicito il ruolo svolto in questo fenomeno dalla Cina, che mira chiaramente al dominio del continente africano. Segue a lunga distanza l’Oceania, con il 9,5% e l’America del Sud, con il 9,4%. Insomma, un fenomeno enorme, che per la prima volta nella storia la Fao (Organizzazione delle Nazioni unite per l’agricoltura e l’alimentazione) ha affrontato per le rilevanti implicazioni che esso ha sui regimi alimentari dei popoli più poveri del pianeta. I 124 Paesi che fanno parte del Comitato per la sicurezza mondiale alimentare hanno adottato all’unanimità una risoluzione che mira a raggiungere una sorta di «regolazione globale della globalizzazione» in merito alle transazioni fondiarie. L’accordo è stato firmato venerdì 11 maggio a Roma. Sono stati due anni di negoziazione e di discussione e di ricerca accanita. Il documento redatto dovrebbe regolare le transazioni non solo dei terreni coltivabili, ma altresì delle foreste e delle aree di pesca nel mondo.
Tutto ha avuto inizio dalle accese proteste delle popolazioni più povere del pianeta e di quelle più legate alla risorse naturali per il loro sostentamento. Esse da circa un decennio hanno visto via via aumentare a dismisura la pressione diretta a far sì ch’esse abbandonassero le loro terre per un misero compenso, oppure addirittura attraverso atti di vera e propria espropriazione, non potendo opporre resistenza legale agli espropriatori, non possedendo una documentazione scritta del possesso medesimo. Le regole di un diritto ancestrale, agnatico e secolare comunitario si scontravano e si scontrano con lo scambio mercantile tipico dell’economia monetaria capitalistica, che distrugge i diritti non scritti e consuetudinari con una violenza spesso inaudita. D’ora innanzi sia gli Stati sia le imprese che non rispetteranno tali diritti arcaici e non scritti, così come le consuetudini colturali delle popolazioni che sono confinanti con le terre espropriate, verranno sanzionati. Solo moralmente, tuttavia, perché le regole adottate sono volontarie e non compulsive. Non sono previste, infatti, sanzioni se non morali; ma questo è di già, nonostante tutte le limitazioni, un grande risultato perché per la prima volta 124 Stati hanno firmato un documento che auspica un corretto comportamento reputazionale degli attori economici grazie al rispetto del diritto consuetudinario, invitando a consultare e a informare e a negoziare con le popolazioni locali, con l’assistenza dei tecnici della Fao e dei suoi comitati. Si obietterà che molte nazioni hanno firmato l’accordo perché nessuna sanzione è prevista. Ma ciò è vero solo in parte: in giudizio l’accordo potrà essere fatto valere come un elemento di forte difesa dei diritti delle popolazioni offese. Certo esse dovranno organizzarsi e darsi una rappresentanza politico-giuridica. Si potranno in tal modo costruire dei catasti della proprietà fondiaria in ogni angolo della terra e creare in tal modo una società civile in grado di far valere le regole del commercio regolato dalla legge e non dalla violenza.
Termina l’epoca della brutalità senza freni che ha dominato le transazioni fondiarie sì in lontane parti del mondo, ma anche in aree a noi più vicine. Un lungo cammino vero il diritto scritto sta per concludersi. Per questo l’accordo di Roma è storico ed è simbolicamente rilevante ch’esso sia stato firmato nella patria di tutti i diritti di proprietà: quello romano.
Il Corriere della Sera 16.05.12