«È ineludibile». Così il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, definisce la riforma della legge elettorale. Ma tra i partiti è stallo. Il Pd: disposti a mediare sul doppio turno. Il Pdl è diviso. Poche, maledette e subito. Le riforme ferme sul tavolo dei partiti vanno approvate senza perdere ancora tempo prezioso, prima che cali il sipario sulla legislatura. Lo vuole Giorgio Napolitano. A cominciare dalla legge elettorale, «nodo essenziale da sciogliere, e mi pare da tutti considerato assolutamente ineludibile», e dalla modifica del finanziamento pubblico. E sul fronte istituzionale il presidente della Repubblica chiede che vada in porto «il pacchetto limitato ma significativo già presentato in Senato», rispetto al quale «non c´è che da auspicare un sollecito svolgimento dell´iter parlamentare». Il capo dello Stato, in un altro lunedì nero per la borsa, va a Milano alla Consob ad ascoltare la relazione annuale e a raccogliere da vicino gli umori del gotha economico-finanziario che lo accoglie al gran completo in piazza Affari. Il presidente della Consob Vegas attacca «la dittatura dello spread», che vanifica «nei fatti» il principio del suffragio universale. Echi “tremontiani”, ma Napolitano ridimensiona l´uscita di Vegas: «E´un modo di dire, non una lettura catastrofista». Annus horribilis per i nostri mercati, come dice ancora il capo della Consob? «Ce ne sono stati tanti per la mia generazione di anni orribili, anche peggio di questo. Che certo è stato brutto, ma ci sono le condizioni per venirne fuori. Occorre fiducia».
Servirebbe anche sul versante politico che, dopo il vertice al Colle con Monti, il presidente Napolitano prova ancora una volta a scuotere. Facendo sue le parole del costituzionalista Michele Anais che, sul Corriere della Sera, dice: meglio poche riforme che un altro rinvio. La prospettiva che resti in piedi il Porcellum è considerata disastrosa dal presidente della Repubblica. Tanto più inammissibile quanto più tutti i partiti hanno appunto «riconosciuto come ineludibile, essenziale» la modifica dell´attuale meccanismo elettorale che sottrae agli elettori la scelta dei propri parlamentari. E infatti, anche ieri, il suo richiamo-ultimatum è stato subito accolto da un coro di sì, dal Pd, al Fli, al Terzo Polo, e qualche distinguo dal centrodestra. Insieme al capitolo costi della politica, «che in queste ore è arrivato in discussione» sottolinea Napolitano, possono fornire la scossa per ridare credibilità ai partiti. Per rimettere la politica, come chiede il ministro Riccardi che accoglie nel pomeriggio il capo dello Stato alla Cattolica, al centro di «una visione del futuro».
Bersani commenta: «Siamo assolutamente d´accordo con il capo dello Stato, l´attuale legge elettorale va superata, ad essa risale per larga parte il distacco dei cittadini dalla politica». Il Pd ha rilanciato il doppio turno. Dopo il monito di Napolitano, però, il segretario democratico assicura: «Siamo disponibili a una mediazione, purché garantisca un chiaro indirizzo per il governo». Tuttavia non ci sono passi avanti. Oggi riprendono i contatti tra i tecnici. «Noi sherpa – dice Violante – dopo i ballottaggi consegneremo un nuovo testo ai leader». Alfano, Bersani e Casini a quel punto dovranno decidere. Stamani c´è poi la prova del nove delle riforme istituzionali al Senato. Vizzini, il presidente della commissione, si sfoga: «I partiti sappiano che se non cambiano il Porcellum e non votano l´accordo sulle riforme, gli converrà fare campagna elettorale per corrispondenza. Perché perdono la faccia. Per guadagnare tempo noi possiamo lavorare anche in notturna». Il Pdl però è diviso. Quagliariello, il più possibilista sul doppio turno, se la deve vedere con Gasparri ma anche con Verdini che fanno muro. Il pessimismo è forte. «Non si capisce il gioco del Pdl – dicono nel Pd – ci dicono che prima ci vuole l´accordo sulla legge elettorale e poi si andrà spediti sulle riforme, ma ufficialmente hanno posto la questione al contrario». E poi c´è il taglio dei parlamentari. Tutti lo vogliono, nessuno lo fa.
La Repubblica 15.05.12
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“Votare con il Porcellum sarebbe un suicidio nazionale”,
di Cristoforo Boni
Non si può tornare a votare con il porcellum. La riforma elettorale è necessaria. E il pressing sulle forze politiche e sul Parlamento è un’azione patriottica del presidente della Repubblica. I tempi sono drammaticamente stretti. E sulle spalle abbiamo tanti, troppi fallimenti: si può dire che l’intera Seconda Repubblica sia stata una transizione incompiuta.
Anche oggi gli interessi divergenti dei partiti e la crescente frammentazione spingono verso il nulla di fatto. Ma non ci si può arrendere. Votare con il Porcellum vuol dire minare alle fondamenta anche la prossima legislatura. Vuol dire che la politica italiana continuerà a essere malata: e se la delegittimazione è già arrivata fino a questo punto, figuriamoci se anche le prossime elezioni non dovessero produrre un esito chiaro e un governo stabile! Purtroppo, al di là delle dichiarazioni di principio, molti puntano a far fallire le riforme. I sostenitori del Porcellum sono più di quelli che lo dichiarano apertamente. Tra loro ci sono quelli che gridano all’inciucio non appena qualcuno si mette a cercare un compromesso. E ci sono coloro che, pur di far saltare il modello del governo parlamentare (indicato dalla nostra Costituzione), riciclano i miti berlusconiani del premier eletto direttamente dal popolo e del maggioritario di coalizione.
Per cambiare la legge elettorale in tempi rapidi è necessaria una larga intesa. Per tornare finalmente in Europa sono anche necessarie alcune riforme costituzionali, tali da stabilizzare i governi. Il sistema perfetto non esiste. Tuttavia, con la buona volontà il traguardo è raggiungibile. La bozza Violante è già una soluzione mille volte migliore della legge attuale. Si può ancora migliorare, ma non si prendano pretesti per far saltare il tavolo. È una buona notizia che Udc e Pdl stiano in queste ore esaminando la proposta iniziale del Pd sul cosiddetto «modello ungherese». Lo schema di base resta quello tedesco (con circa metà dei seggi attribuiti con riparto proporzionale e metà attraverso collegi uninominali maggioritari): la diversità sta nel fatto che i collegi uninominali verrebbero assegnati con il doppio turno, in modo da favorire e premiare le coalizioni preelettorali. Quel testo può ancora essere migliorato. Ma sarebbe un antidoto alla frammentazione della rappresentanza, senza tuttavia annullare l’autonomia delle forze intermedie.
In ogni caso la riforma deve, senza forzature e senza coalizioni coatte, portare l’Italia alla condizione delle principali democrazie europee: dove i candidati nei collegi uninominali sono di partito e dove la sera del voto sono chiari il nome del futuro premier e la coalizione che formerà in Parlamento.
Se la legislatura dovesse concludersi senza riforme (compresa la riforma del finanziamento dei partiti), anche il giudizio futuro sul governo Monti volgerà al negativo. Il successo del governo tecnico sta nella normalità che consegnerà all’Italia alla fine del mandato. Se ci fosse ancora bisogno di tecnici e di grandi coalizioni, vuol dire che il Paese sarà più malato. E più vicino alla Grecia.
l’Unità 15.05.12