Licenziato in commissione il testo che dimezza i soldi ai partiti. Salvo sorprese, la legge sui partiti arriverà in aula la prossima settimana, come da calendario. Con Grillo che tallona, il secondo turno delle amministrative alle porte e il Dottor Sottile che incombe con il suo Libro Bianco sull’attuazione dell’articolo 49 della Costituzione, le forze di maggioranza hanno probabilmente messo la parola fine al tormentone sulla riduzione (anche se non all’azzeramento) del finanziamento pubblico. E a un percorso che si è andato dipanando in questi mesi fra titubanze e intoppi.
Intoppi perché il primo testo ABC ha dovuto affrontare autorevoli rilievi (l’ufficio studi della camera, il presidente della Cassazione Lupo) nonché lo stop leghista al binario iperveloce del vaglio in sede legislativa. Titubanze, perché, anche se dopo il caso Lusi, Bersani e Casini sono partiti velocemente a chiedere una legge che puntasse alla trasparenza dei bilanci e a un sistema di controlli molto più stringente, c’è voluta l’onda lunga dell’affaire Belsito per convincerli (portandosi dietro anche Alfano) che, pur senza cedere a facili populismi, un segnale di dimagrimento al paese piegato dalla crisi andava dato.
Il passo decisivo l’ha fatto Bersani mettendo sul piatto il dimezzamento secco (da 182 milioni di euro a 90), e a partire da subito, dalla tranche di luglio. Il Pdl (nonostante le dichiarazioni di Alfano sul finanziamento all’americana e sul nuovo partito senza fondi pubblici) non era dell’idea, la trattativa è stata serrata, ma alla fine si è convinto. E, sia pur con fatica, il segnale – su cui comunque le polemiche non mancheranno – è finalmente arrivato.
Dunque ieri la commissione affari costituzionali ha licenziato il testo. I finanziamenti non vengono azzerati, come avrebbero voluto con sfumature diverse Italia dei valori e Lega. Perché la politica e la democrazia hanno un costo. Ma se ne prevede la sostanziale decurtazione, per l’esattezza il dimezzamento, da subito. La proposta di legge prevede poi, fra l’altro, che i finanziamenti vadano solo a chi ha uno statuto pubblico e ha ottenuto almeno un eletto (parlamento nazionale, europeo o consiglio regionale), ma – su proposta di Vassallo – per evitare i cambi di casacca, solo se si è stati eletti sotto il proprio simbolo.
Stretta sulle sanzioni, che includeranno la decurtazione dei fondi anche per le donazioni. E via libera alla commissione di controllo sui bilanci che sarà composta da cinque magistrati, tre della Corte dei conti, uno della Cassazione e uno del Consiglio di stato. Mentre per le donazioni (dai 50 ai 10mila euro) è prevista una detrazione fiscale pari al 38%. Idv e Lega già annunciano battaglia, mentre il Carroccio chiede che Amato riferisca del suo lavoro a Montecitorio.
Ma ieri i partiti hanno fatto argine a qualcosa che, nel clima lacrime e sangue e a pochi giorni dal secondo turno, avrebbe scatenato una nuova ondata di indignazione. Anche se il ministro Giarda ha smentito, il governo ha sondato in commissione finanze della camera (dove si discute il decreto sulle comissioni bancarie) la possibilità di reinserire nel testo l’emedamento bocciato al senato sulle cosiddette pensioni d’oro per i manager pubblici (calcolo delle pensioni in base allo stipendio percepito prima dell’entrata in vigore del tetto degli stipendi). Allora il Pd aveva votato a favore, in nome della lealtà al governo e anche perché, disse, la cosa non avrebbe comportato un aggravio di spesa, anzi avrebbe provocato problemi per i probabili ricorsi.
Ma aveva avvisato: qualora la camera lo avesse ritenuto un errore, pronti a cambiare. È andata così. Niente pensioni d’oro.
da Europa Quotidiano 10.05.12