Il mio vecchio cuore di sinistra ha esultato per la vittoria dei socialisti in Francia. La coccarda dei giacobini sventola sul pennone dell’Eliseo. Poi questo fatto, unito a molti altri sommovimenti che sono in atto nei Paesi europei, ha suscitato in me altri pensieri. Parlerò più avanti delle amministrative italiane ma dico subito che il dato più duraturo su cui riflettere è il fatto che il campo storico della lotta tra progresso e reazione è cambiato. È diventato europeo, ed è sempre più parte di una rete mondiale. Politica interna e politica estera sono ormai la stessa cosa. «Noi» siamo in loro e «loro» stanno in noi. E se guardiamo le cose oltre la piccola cronaca è questo che ha sfidato il vecchio sistema politico italiano.
E HA TRAVOLTO I SUOI VECCHI AVANSPETTACOLI DA PERIFERIA: BOSSI E IL TROTA, BERLUSCONI IN FESTA ALLA DACIA DI PUTIN.
I vincoli e le contraddizioni che soffocano le potenzialità dell’Europa restano tenaci e profondi, non dimentichiamolo. Però finalmente si sta aprendo un varco. Possiamo cominciare a intravedere una via d’uscita per una crisi come quella italiana che sembra priva di sbocchi, avvitata, come è, in un circolo vizioso: austerità tagli ai consumi blocco dello sviluppo quindi nuovi debiti. Con la conseguenza che per sopravvivere stiamo bruciando la vita delle persone e i mobili di famiglia. Qui sta la novità della situazione. Non solo nei mutamenti dell’economia che saranno necessariamente lenti, ma nel fatto che con la rottura di quel varco si può tornare a pensare la politica. La politica coperta di fango ma che, dopotutto, è la sola cosa che può restituire un ruolo decisivo all’iniziativa umana, senza sottostare inesorabilmente alle decisioni dei cosiddetti «mercati».
Adesso tutti citano Einaudi. Ma che c’entra? Una cosa erano i mercati di cui parlava il vecchio professore liberale, quella straordinaria invenzione di regole che consentono lo scambio tra uguali, cioè la convivenza tra le persone e i loro legittimi interessi. Altra cosa è la potenza inaudita di una ristretta oligarchia che governa la ricchezza del mondo in un modo non solo ingiusto ma insensato. E dico insensato non perché ignori le ragioni anche razionali dell’economia finanziaria, ma perché si tratta di un potere che ormai minaccia anche il futuro dell’Europa. L’Europa non è solo un mercato più o meno «efficiente». È un problema non pronunciabile con la sola lingua degli economisti. È potenzialmente una profonda contraddizione per l’oligarchia che domina il mondo. E lo è, appunto, per ragioni non economiche ma perché è una alternativa possibile di valori, di bellezza, di «vivere meglio», di futuri diversi per le nuove generazioni altrimenti ridotte a vite precarie.
Occorre quindi davvero una svolta politica nel senso alto di questa parola, cioè di conoscenza della realtà, di pensiero, di fiducia nelle forze dell’uomo moderno. Di consapevolezza di questa grande novità, cioè del fatto che il luogo storico della politica è cambiato, nel senso che è veramente finito il Novecento ed è per questa ragione che l’attuale sistema politico italiano non regge più alla sfida delle cose.
Sono evidenti i segni di una grave crisi di sfiducia nelle istituzioni e nella politica e i rischi di sbandamento. So bene che il Pd non è fuori dalle difficoltà in questa sfida. Ma è vergognoso l’atteggiamento dei media verso il partito che sta per conquistare il sindaco di quasi tutte le città italiane. E che è il primo partito, il solo degno di questo nome. È grave. Mi fa pensare che di fronte al disfacimento delle forze politiche di destra (questo è il dato più impressionante) qualcuno pensa di cavalcare la protesta alla maniera di Beppe Grillo. Gramsci parlava di «sovversivismo delle classi dirigenti». Io non credo che siamo a questo. È vero però che le classi dirigenti sono sfidate dalla necessità di assumersi nuove responsabilità di governo e, quindi, di creare una loro degna rappresentanza nel quadro democratico e parlamentare. Il Corriere della Sera non ha capito che questa è la lezione del voto? Certo, anche noi siamo sfidati. L’Italia non si sente governata e quindi spetta a noi rappresentare l’alternativa democratica. E a me sembra che la Francia ci indica il modello. È quello di una sinistra che governa sulla base di una alleanza larga che comprende anche forze moderate le quali non possono non essere coinvolte in una operazione che non può essere solo di risanamento ma di ricostruzione.
È veramente finita la vecchia politica. Si ripropone in altri modi e a un livello più complesso il drammatico quesito che si pose alla civiltà europea dopo la grande crisi del ‘29. Il dilemma: uscire da sinistra dalla crisi grazie a un nuovo patto sociale (Roosevelt, il compromesso socialdemocratico, l’incontro tra sinistra e ceti laboriosi, (Hollande insomma) oppure uscire da destra con una svolta autoritaria. Allora le classi dirigenti italiane ci portarono al fascismo. Oggi qualcuno sta accarezzando l’idea di nuove forme di populismo?
È tempo quindi che il Pd alzi il tiro. Noi non siamo affatto pentiti di aver salvato l’Italia dalla catastrofe sostenendo il governo Monti. Anche oggi una crisi sarebbe il caos. È chiaro però che il nostro obiettivo è creare le condizioni per una grande riforma anche morale sulla cui base la sinistra e il centro democratico possano convergere. Non è una piccola cosa. Mi chiedo se sia solo un auspicio oppure se si intravede qualcosa. Io penso che questo «qualcosa» è il fatto che il Pd si colloca là dove si raccolgono in Europa le forze che possono cambiare davvero le cose. Ma se devo essere sincero, io credo che il Pd non ha abbastanza fiducia in se stesso. Non è abbastanza convinto che c’è un solo modo per difendere la democrazia, e questo consiste nel costruire gli strumenti per mezzo dei quali si può organizzare la volontà e si possono difendere gli interessi della gente comune. Altro che partito «liquido». È molto positivo che il Pd comincia ad esser quel partito della nazione di cui abbiamo tanto parlato. Ma troppi di noi sono ancora lontani da una visione delle cose capace di dare certezza a questo ruolo. Abbiamo un bisogno assoluto di giovani perché questo ruolo non può essere dedotto dal ricordo di vecchie passioni ma solo dal sentirsi attori di questo straordinario passaggio storico. La gente non è stupida. Sente, sia pure confusamente, che sono in gioco gli equilibri più di fondo, compreso quel minimo di solidarietà tra ricchi e poveri che consente la tenuta delle società umana.
Se non mostriamo questo che è il nostro vero volto, non lamentiamoci poi se si creano nuovi spazi al populismo.
l’Unità 09.05.12