Caro direttore, i fatti di cronaca di queste settimane hanno riportato al centro dell´attenzione il tema della violenza sulle donne, tema che può essere analizzato da tanti punti di vista: sociologico, psicologico, pedagogico e statistico. In ciascuno di questi campi si possono fare analisi diverse anche tra specialisti di ciascuna di queste discipline. Ma ritengo importante che di tali problemi si possa discutere anche tra non specialisti. Ad esempio quando si legge che nel nostro Paese gli atti di violenza sulle donne sono drammaticamente aumentati, io mi chiedo se in termini statistici ciò non sia dovuto al fatto che le norme introdotte nel nostro ordinamento abbiano incoraggiato la denuncia da parte delle vittime di tali reati, tenuto conto che la maggior parte di essi vengono commessi nell´ambito familiare, il più difficile da penetrare.
Tenuto conto che già esistono nel nostro ordinamento leggi abbastanza severe in materia e che gli atti di violenza sulle donne assumono tante modalità diverse e vengono attuati i tanti diversi contesti, mi chiedo se sia necessario pensare a nuove fattispecie di reato o ad aggravanti.
A mio parere sarebbe forse più incisivo accelerare le procedure relative alla condanna del colpevole o dei colpevoli, una volta che la donna abbia trovato il coraggio di denunciare il reato e di affrontare il processo la cui lentezza è cosa nota.
Un´ultima considerazione: mi ha colpito sempre in relazione ai recenti fatti di cronaca l´uso della parola “femminicidio” per indicare una insana concezione del genere femminile come presupposto dell´atto di violenza, diverso dal reato di omicidio.
Non ho dubbi che questo tipo di violenza affondi le sue radici nella discriminazione di genere, in una concezione proprietaria della donna, in un certo maschilismo presente nella nostra società.
Tuttavia mi chiedo: le donne che tra tanti innumerevoli pregi hanno anche quello della fantasia, non potrebbero inventare un´altra parola, avendo istintivamente colto in “femminicidio” una intonazione di disprezzo? Oppure si tratta di una diversa sensibilità generazionale?
La Repubblica 09.05.12