Scarsa trasparenza dei costi «effettivamente e globalmente sostenuti e dei risultati realmente conseguiti». Così si esprime la Corte dei Conti in un’audizione sulle cartolarizzazioni di immobili varate dal governo Berlusconi all’inizio degli anni 2000.
Sui risultati realmente conseguiti si è fatta piena luce subito dopo il ritorno al governo del duo Berlusconi-Tremonti nel 2008. A qualche mese dal ritorno in via Venti Settembre del ministro «creativo» la Ragioneria ha contabilizzato una perdita di un miliardo e 700 milioni che metteva la parola fine all’avventura sciagurata delle Scip, le società veicolo di quelle che furono annunciate come le più grandi operazioni di cartolarizzazioni mai viste in Europa.
Un «buco» miliardario, rimasto per lo più nascosto nelle carte impolverate dei contabili, mentre le cronache cominciavano a parlare di rigore e sacrifici. Alla fine della fiera di sofisticate operazioni finanziarie, ha pagato Pantalone. Forse oggi, in tempi di spending review, varrebbe la pena inserire nella lista degli sprechi anche quei «buchi» nascosti lasciati in eredità dal centrodestra.
Con gli stessi toni altisonanti che annunciavano la vendita «virtuale» degli immobili, qualche anno più tardi il superministro dell’Economia si scagliava contro la speculazione e i rischi che le banche avevano scaricato sui consumatori. Tacendo che proprio con le Scip il rischio finale era rimasto in capo allo Stato, ovvero a tutti i contribuenti onesti.
Quel miliardo e 700 milioni sono stati certamente una parte minuscola rispetto ai 100 miliardi di manovre fatte sulle spalle degli italiani dal 2008 a oggi. Ma pensare che quella somma equivale a circa la metà dell’Imu sulla prima casa (per l’appunto la casa che il Pdl considera «sacra), oggi fa tremare i polsi. Così come leggere i rilievi della Corte dei Conti. La scarsa trasparenza si riscontra anche negli immobili oggetto di cartolarizzazione, di cui compaiono ben quattro liste non completamente coincidenti.
«Il secondo ordine di osservazioni conclusive – prosegue la Corte – attiene al completo affidamento della gestione dei contratti a fornitori esterni di servizi, con effetti di carenze nei monitoraggi dei costi e dei benefici pubblici e di limitato effetto di internalizzazione di buone pratiche in tema di pianificazione e gestione strategica degli attivi pubblici».
Insomma, lo Stato ha abdicato al suo ruolo, consegnando «chiavi in mano» al privato asset importanti del suo patrimonio. Il risultato è stato disastroso. A proposito di chi chiede l’arretramento della cosa pubblica. I magistrati contabili bocciano senza appello anche la cartolarizzazione dei giochi, anche quella finita nel dimenticatoio della politica.
«L’operazione è risultata chiaramente costosa ed inidonea – scrivono – a dare un contributo positivo al miglioramento dei conti pubblici. Infatti non ha avuto nessun effetto positivo sull’indebitamento netto ed ha, per converso, fatto aumentare il debito per 3 miliardi di euro nel 2001». Se si sommano questi risultati a quelli delle Scip, si arriva a quasi 5 miliardi andati in fumo per via delle scelte «creative» di Giulio Tremonti. Ma soldi a parte (che pure pesano eccome), il limite maggiore dell’operazione è stato quello di aver mantenuto il rischio in capo al «cedente», ovvero lo Stato e gli enti di previdenza già proprietari degli immobili.
«Un esempio estremo sotto questo profilo – continuano i giudici – è quello della cartolarizzazione dei proventi futuri del lotto e del superenalotto, per la quale si è registrata a consuntivo la cessione di un importo di future entrate (oltre 27 miliardi) superiore 9 volte il corrispettivo iniziale corrisposto dalla società veicolo allo Stato italiano (3 miliardi)».
Insomma, lo Stato ha incassato subito 3, i privati 27. Così come lo Stato centrale si è accollato il rischio delle perdite sulle cartolarizzazioni, è toccato agli enti locali assumersi quello relativo agli strumenti derivati, l’altra partita giocata dall’ex ministro dell’Economia nella fase in cui credeva (ancora) nelle magie della finanza.
Fu lui infatti ad aprire la strada all’acquisto di prodotti finanziari opachi e ad alto rischio da aperte delle amministrazioni locali, con una disposizione inserita nella Finanziaria relativa al 2002. Salvo poi inserire nella Finanziaria per il 2009 un divieto esplicito a sottoscrivere nuovi contratti: evidentemente in quell’anno il ministro si era già convertito a nemico dei mercatisti.
La scommessa
Quanto è costata al Paese quella scommessa ad alto rischio? Le cifre circolate l’anno scorso parlavano di perdite tra i 6 e gli 8 miliardi, a fronte di un’esposizione complessiva degli enti locali di circa 40 miliardi. Le operazioni sono state effettuate da 18 Regioni, 58 province, 54 capoluoghi e circa 700 Comuni. Molti amministratori hanno denunciato vere e proprie truffe da parte degli intermediari.
Molti di loro erano stranieri, e grazie a questo sfuggivano ai controlli nazionali. Insomma la penisola è stata terra di conquista. E tra cartolarizzazioni e derivati, l’Italia governata dal centrodestra ha perso quasi un punto di Pil.
l’Unità 08.05.12