Guai a chi soffia sul fuoco. Ma qualcosa di sbagliato, e forse di guasto, tra i cittadini e il Fisco, deve pure esserci, se negli ultimi mesi Equitalia è diventata un nemico da colpire o addirittura una trincea dove immolarsi. Perché non c´è nesso politico né etico tra i gesti di terrorismo vigliacco (i pacchi bomba), il suicidio “esemplare” davanti all´esattoria di Bologna e la pazzesca irruzione di ieri a Romano di Lombardia, in punta di fucile. Sono atti diversi compiuti con intenzioni diverse da persone diversissime. Ma c´è un fin troppo evidente nesso simbolico, con l´agenzia di riscossione che campeggia sullo sfondo di troppe speculazioni elettorali, ma anche di troppe rovine personali.
Mai dimenticare che molti dei recenti suicidi di “imprenditori” (generica parola che comprende anche moltitudini di lavoratori in proprio) hanno la disperata qualità del disonore che il debitore sente gravare su di sé. Non riuscire più a pagare gli operai, non riuscire più a pagare le tasse è forse un vanto per i furbi e per i leggeri, ma è un peso tragico sulle spalle degli onesti.
Non si sa molto dello sciagurato che ha preso in ostaggio un ufficio di Equitalia, se non che la sua situazione economica è grave, così grave da avere scardinato le sue difese psicologiche. Una cartella esattoriale, magari per un tributo inatteso, per una mora imprevista, può essere, in qualche caso, la classica goccia che fa traboccare il vaso. E se da un sistema fiscale non si può esigere cura psicologica (è pur sempre una macchina burocratica), è arrivato il momento di chiedersi se è stato fatto abbastanza, o anche solo qualcosa, per distinguere tra l´evasore cosciente di esserlo, volontariamente fraudolento e dunque traditore della collettività, e il cittadino strozzato dalla crisi, che annaspa e non riesce a pagare non perché non vuole, ma perché non può.
La stretta fiscale di questi mesi, con una pressione che è quantitativamente enorme, non aiuta certo il fisco a essere meno impopolare. Ma neanche il fisco si aiuta. Ognuno di noi ha una sua storia di contribuente, un suo profilo di cittadinanza, ma troppe volte si ha l´impressione di dover certificare daccapo allo Stato, come per un esame dato cento volte e sempre riproposto, che non si è ladri, non si è felloni, non si è furbastri. Sappiamo bene che il fisco e lo Stato, nel nostro paese, sono abituati a trattare con cittadini in larga parte renitenti a regole e leggi. Ma la parte (altrettanto larga) di cittadini per bene è decisamente stanca di sottostare a un regime di eterna emergenza, pagando il prezzo di illegalità e morosità non sue. Le regole non possono essere solo a misura dei peggiori: è come concedere a loro l´onore di stabilire a che gioco si gioca. Se il gioco è tra guardie e ladri, chi non è nel ruolo rischia di esserne schiantato.
Almeno qualche regola, qualche deroga, qualche zona di tregua a vantaggio degli onesti, dei deboli, di quelli che stanno lottando a mani nude contro la crisi e si sentono soli, senza rete, senza soccorso, va pensata, e con urgenza. Un governo “tecnico” ne ha facoltà, se tecnicamente è in grado di stabilire che il farabutto e il disperato non sono uguali, e tecnicamente è in grado di dare al Fisco, e al suo braccio esecutivo Equitalia, qualche mezzo in più per capire con chi sta parlando, a chi sta chiedendo denaro, con chi sta trattando una transazione di denaro che per qualcuno può anche essere l´ultima, quella fatale.
La Repubblica 04.05.12