«Tutte le riforme strutturali che stiamo adottando, tutte le misure per sanare il deficit di bilancio, non producono di per sé crescita: sono, semmai, deflazionistiche. Perché se un paese diventa (grazie a esse) produttivo e competitivo, e manca però la domanda dei suoi prodotti, la crescita non si materializzerà». Lo ha detto giovedì scorso a Bruxelles Mario Monti, ed è un segnale forte che viene dall´Europa, un primo momento di verità e ripensamento da quando, due anni fa, cominciò la crisi greca.
È come se il cardinale Bellarmino, incaricato dalla Chiesa di condannare Galileo, guardasse infine nel cannocchiale fabbricato dall´eccentrico scienziato, e vedesse che la terra effettivamente si muove, non è il centro dell´universo. I custodi della verità rivelata non usano guardare il mondo. Nel Galileo di Brecht dicono: “Non è necessario sapere come cade un sasso, ma quel che in proposito ha detto Aristotele. Gli occhi, li abbiamo solo per leggere”.
Di questi tempi è l´Europa a muoversi, turbando i sacerdoti dell´ortodossia economica. Domenica si vota in Francia, Grecia, Italia, fra poco si voterà in Olanda, e non si può restare appesi all´antico dogma come se nulla fosse, ignorando l´evidenza empirica. Gli artefici del Patto di bilancio (fiscal compact) – fra essi il presidente del Consiglio italiano – lo sentono, e imparano a dubitare di se stessi. Forse durerà lo spazio d´un mattino, ma la realtà che vedono col cannocchiale è ben diversa dalla fede che li ha abitati tanto tempo. Non solo si è aperto un fossato fra discipline decise dai governi e aspettative dei popoli. Anche tecnicamente, discipline e sacrifici hanno senso a certe condizioni, che però mancano: senza domanda e investimenti pubblici, il Patto firmato a marzo da 25 governi non si limita a frenare la crescita. Crea addirittura deflazione, dunque ancor più disoccupazione.
François Hollande, candidato socialista all´Eliseo, lo sostiene da mesi. È stato perfino boicottato dai demiurghi del fiscal compact, se è vero quello che Spiegel scrisse in marzo: ben tre capi europei – Merkel, Monti, Cameron – tifarono per Sarkozy, rifiutando ogni incontro con Hollande. La Grecia è il laboratorio di questa nuova paura delle elezioni, dell´alternanza. Senza dirlo, la democrazia è vista come parte del problema, non come soluzione. Senza dirlo, ci si prepara a sacrificare Atene, per meglio convincere il popolo tedesco a proteggere Italia e Spagna dal collasso. La logica del capro espiatorio diverrebbe il nuovo cardine dell´Unione europea.
Ma è una logica fallimentare, e il ritorno della questione sociale costringe i capi d´Europa a svegliarsi, almeno un poco, dall´apatia dogmatica in cui per anni erano immersi, alla stregua d´un seicentesco Santo Uffizio. Per l´Uffizio ogni dubbio è sospetto, e solo parlare di investimento pubblico e di eurobond equivale all´eretico “periculum magnum” paventato dal cardinale Bellarmino. Anche su questo Monti ha detto cose nuove a Bruxelles. La spesa pubblica continua a essere bandita. L´aggettivo keynesiano resta un marchio negativo (come l´aggettivo “protestante” ai tempi di Galileo). Ma l´idea del premier non è così lontana dal rilancio keynesiano: «L´investimento pubblico non è necessariamente peggiore del consumo privato, per l´economia europea, anche se l´attuale quadro politico vede le cose in questo modo».
Scosse simili sono benefiche per l´Europa, e tante ancora ce ne vorrebbero. Sono scosse dell´evidenza, del realismo. Kant le chiamerebbe scosse dei Lumi. Cos´altro è infatti il «quadro politico» indicato da Monti, se non l´anti-sperimentalismo di una chiesa che antepone al reale la Dottrina? Al posto del popolo sovrano viene intronizzata un´autorità superiore, il mercato: l´unica verso cui i governi sono responsabili. La necessità non si abbina alla libertà, ma la sopprime. È significativo quel che ha detto Merkel, prima di correggersi: «Saranno i mercati, in quattro settimane, a riportare Hollande sulla retta via». La politica è inutile, le Costituzioni pure. Il Mercato è la Bibbia, e protegge il potere di chi lo onora.
È questo stravolgimento della democrazia europea che vacilla, e non solo perché la sinistra non ci sta, neanche in Germania. Ovunque, sono le destre estreme a combattere il rigore: a opporre il popolo alle élite, il paese reale al paese legale, la democrazia diretta a quella rappresentativa, la nazione che fa da sé all´Europa. Sono tutti slogan degli anni ´30, e se il “quadro politico” rimane quello che è, se l´euro si sfascia, è quell´epoca che ritorna, quando la deflazione precipitò i popoli nella disperazione sociale, poi nelle dittature e nelle guerre. La pressione di Monti sulla Merkel, perché il fiscal compact non sia più solo un patto disciplinare, è frutto di questa consapevolezza. Alla lunga, il rigore tedesco è rigor mortis.
I tecnici stessi rischiano di divenire parte del problema, se non intuiscono che urge fare presto l´Europa politica, e affiancare ai fatui Stati-nazione un potere federale, simile a quello sorto in America contro l´idea d´una Confederazione di governi sovrani. Quando a comandare è un tecnico, il popolo si coalizza contro élite e partiti. È quando pacificamente si divide che la democrazia rinasce.
Anche l´unità del popolo può divenire un dogma. Il popolo si ricompatta in guerra. Si «fa grumo», dice Alberto Savinio. Se è democratico ha bisogno vitale di dividersi, lungo linee che mutano col tempo. Oggi la linea divisoria è tra chi vuole l´Europa politica e chi la rifiuta (ma non è stato sempre così, da quando De Gasperi difendeva la Federazione contro la Confederazione?). Ed è, nelle singole nazioni, tra chi cavalca le rivolte del popolo ricompattato e chi si rifiuta di farlo. La rabbia di Monti contro chi appoggia le rivolte fiscali pur sostenendo i tecnici è più che giustificata.
In questo terremoto barcollano in primis le destre classiche, conservatrici o liberali. Lo si vede in Francia, Grecia, Olanda: ovunque le destre estremiste conducono le danze, chiedendo l´uscita dall´euro. Davanti a loro si inginocchiano, tremebondi, ricattati, il presidente Sarkozy, l´olandese Rutte, il leader della destra greca Samaras. Quanto alle sinistre, si tratta di reinventare un riformismo che non scommetta tutto sulle superiori ragioni del mercato. È in pezzi la Terza Via, che Schröder riassunse così: «Non esiste una politica economica di destra o sinistra. Esiste una politica economica buona o cattiva». Ma buona o cattiva come? Per l´insieme della società o per pochi? Oggi i populismi antieuropei s´appropriano dello slogan: «C´è solo una politica giusta o cattiva, e giusto è il nazionalismo, è l´uscita dall´Unione».
Lo scontro non è necessariamente quello cui pensano Monti e la Merkel, nel patto d´alleanza descritto da Francesco Bei su Repubblica: non è tra keynesiani e non keynesiani. È fra una crescita che presuppone l´Europa politica, e la falsa crescita garantita da nazionalismi e xenofobie. Hollande non fa parte della seconda linea. Ma le nuove destre sì, e anche i movimenti che non sono di destra, come quello di Grillo. Gli elettori del Movimento 5 Stelle forse lo sanno, anche quando non l´ammettono: la fine dell´euro, i diritti di cittadinanza negati agli immigrati, sono parole d´ordine dell´estrema destra europea.
L´Europa non deve diventare, nella mente dei suoi cittadini, l´alter ego dei mercati: forza anonima che ci governa, spazio globale sul quale non abbiamo influenza e che ha un´unica politica, sacralizzata. È ora che l´Unione si veda attribuite le caratteristiche del sovrano democratico, e sappia dire la sua sull´economia, la giustizia sociale, la politica estera, scegliendo tra varie opzioni e non esaltandone una soltanto. È questa la terra promessa che i padri dell´Europa hanno indicato, per uscire dai nazionalismi, dalle loro guerre, dalle loro menzogne, dalle loro ideologie del grumo.
La Repubblica 03.05.12