La festa del lavoro nel tempo della crisi più profonda, e socialmente drammatica, del dopoguerra. Mentre si diffondono paure e sfiducia, le istituzioni democratiche paiono impotenti di fronte ai mercati, le speranze di cambiamento faticano a incarnarsi in comunità politiche.
Ma il 1° maggio è una festa speciale. Perché esprime innanzitutto una lotta comune. Una battaglia che non si fermerà, essendo parte della dignità dell’uomo. Una rete di solidarietà che viene prima e dà ragione ad ogni progetto di rinnovamento.
Il lavoro è il fondamento della Repubblica italiana. I costituenti potevano scrivere altrimenti l’articolo 1 della nostra Carta. Invece hanno deciso così. E ora il lavoro per noi è l’obiettivo primario, il volto umano di ogni programma di risanamento e di crescita, la priorità necessaria nella traversata di questa crisi. Purtroppo i numeri del lavoro in Italia sono drammatici. I tassi di occupazione sono sempre stati bassi. Ma oggi raggiungiamo cifre insostenibili: soprattutto per le donne e per i giovani. Siamo in coda alle classifiche dell’Unione europea. E le ricette rigoriste – che fino a ieri venivano presentate come indiscutibili e che ancora oggi, benché criticate, restano il paradigma delle politiche correnti – ci spingono ancora più a fondo.
L’Italia, anzi l’Europa – perché è questa la dimensione che può consentire una reazione adeguata alla crisi economica – deve rimettere al centro della propria azione e della stessa competizione politica il tema della crescita, dello sviluppo sostenibile. Non stiamo parlando di teorie economiche, benché i disastri del liberismo siano ormai evidenti. Stiamo parlando di persone in carne e ossa: di fabbriche che chiudono, di pensionati che non hanno soldi per mangiare, di famiglie che vivono nella povertà, di esodati senza lavoro e senza pensione, di giovani a cui viene rubato il futuro.La misura della crescita, come la misura dell’equità, è il lavoro. Il riconoscimento del diritto al lavoro delle persone. Il lavoro come piena cittadinanza. Si può dire ancora così? O dobbiamo rassegnarci all’idea che la disoccupazione sia una condizione ineliminabile, magari persino utile alla competitività del sistema?
La nostra Costituzione non è solo la cornice di un ordinamento. È un patrimonio di valori, che contiene tuttora linee guida a cui sarebbe bene ispirarsi. Sappiamo perché, negli anni dell’egemonia della destra, qualcuno ha cercato di snaturarla. Per fortuna l’attacco non è riuscito, anche se abbiamo perso molto sul terreno sociale e culturale. Ora il lavoro deve tornare al centro di un programma di riscatto e di cambiamento. Non si tratta di arroccarsi ai presidi rimasti, nella società o nei codici. La difesa è possibile solo dentro una sfida sulla qualità, la creatività, l’innovazione, dunque anche la competitività di sistema. Ma si tratta di intendersi: la qualità è figlia di un modello sociale e culturale, non è slegata al valore che si dà alla persona. Il fine della politica, come dell’azione sindacale, resta la persona. Dunque il lavoro, che ne garantisce la dignità di cittadino e che dà corpo al diritto.
Celebriamo questo 1° maggio in un passaggio importante. Nelle prossime settimane si voterà in molti Paesi europei. A partire dalla Francia domenica prossima. E dall’Italia, con il primo turno delle amministrative. Una svolta è possibile. Le politiche liberiste possono, debbono essere cambiate. Ovviamente bisognerà combattere. Per costruire, per rafforzare le reti unitarie e di solidarietà. Unità dei progressisti europei attorno a un programma comune. Unità d’azione dei sindacati confederali per smentire chi vuole fare a meno dei corpi intermedi. Unità tra le forze del lavoro, le imprese, la ricerca che vogliono tenere l’Italia in serie A.
Il governo dei tecnici è ora al lavoro sui tagli alla spesa pubblica e ha chiamato ieri altri «tecnici» all’opera. Ci sono tagli utili e buoni propositi, ma non tutti i tagli sono di per sè buoni. Ci vuole equità. E soprattutto una nuova idea di pubblico. Che condizionerà la prova decisiva: quella degli investimenti, senza i quali la crescita sarà impossibile.
Oggi comunque festeggiamo. L’Unità esce con la testata rossa, come in altri 1° maggio. Il rosso è il colore iscritto nella sua storia. Ma il rosso è anche uno dei colori della nostra bandiera, un tratto nazionale. Per noi, per il giornale, quest’anno la festa è ancora più speciale. Perché stiamo preparando un nuovo formato, una nuova versione grafica, che debutterà in edicola lunedì 7 maggio. Vogliamo «tornare grandi» per raccontare meglio la società e per essere uno strumento al servizio di chi vuole che in Italia e in Europa si cambi rotta. Nel senso del lavoro. Più lavoro, più qualità del lavoro. Ovviamente cercando di unire gli innovatori.
l’Unità 01.05.2012
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«Ora basta con i tagli. Intervento pubblico per la ripresa del Paese», di Rinaldo Gianola
Susanna Camusso non ha dubbi: «La politica dei tagli del governo Monti ci porterà altri guai, l’idea che le riforme strutturali suscitino automaticamente il risanamento e lo sviluppo non sta in piedi. Aiutiamo il Paese, salviamo il lavoro, le imprese, ridiamo dignità all’intervento pubblico in economia. Lo ha fatto Obama in America, perché non possiamo farlo noi?». Il Primo Maggio, una delle nostre belle feste civili, arriva in un momento difficile: siamo al quarto anno di crisi, la disoccupazione continua a crescere, la spesa familiare raggiunge livelli record, aumentano le bollette e presto c’è l’Imu da pagare. La festa del lavoro è l’occasione per riflettere con il segretario della Cgil sulle condizioni della nostra Italia, sulla qualità della democrazia, sui valori politici, culturali e sociali in cui ancora si riconoscono i lavoratori, i pensionati, le famiglie che sopportano con responsabilità il peso dei sacrifici per salvare il Paese.
Segretario Camusso, parliamo tanto di lavoro ma c’è la netta sensazione che abbia perso valore e importanza nella nostra società. È così? «In questi anni è passato un messaggio tutto politico che solo il denaro dà forza, solo i soldi, l’arricchimento individuale garantiscono il successo e per raggiungere questo obiettivo vanno bene le scorciatoie, le furbizie, le protezioni dei potenti, l’evasione fiscale. Chi lavora onestamente, il disoccupato, le donne e i giovani in difficoltà sono colpevolizzati da una “cultura” aberrante che nega la solidarietà, la giustizia sociale, l’aspirazione a diritti fondamentali. Il disvalore del lavoro rende più grave la crisi e accentua drammaticamente le diseguaglianze tra chi sta meglio e chi sta peggio ».
Come ne usciamo? «La Cgil combatte una battaglia perché sia chiaro che il modello economico adottato in Europa e che fa proseliti in Italia è sbagliato e ha fallito. Il neoliberismo ha determinato la crisi in America e noi l’abbiamo copiato, ne abbiamo fatto una versione un po’ raffazzonata che mina le basi dell’Unione Europa. Oggi aumentano pericolosamente la distanze e i conflitti tra i Paesi europei, anziché procedere verso un processo integrativo viene alimentato un disegno disgregativo dell’Europa. La signora Merkel ragiona come se le stessero rubando la merenda. Speriamo nella svolta in Francia. È ora di riscoprire il valore della vecchia mediazione tra capitale e condizioni di vita delle persone che ha consentito al Vecchio Continente di crescere e di vivere in pace. Questo impegno è ancora più urgente per il nostro Paese che ha bisogno di una riscossa morale per fronteggiare un degrado anche civile ormai insopportabile».
In questo degrado inserisce anche la violenza sulle donne? «Certamente. La violenza che vediamo così chiaramente in questi giorni è il risultato di un deterioramento profondo della nostra convivenza, delle relazioni tra uomini e donne, in cui la stagione del berlusconismo ha avuto un ruolo decisivo. Il messaggio dell’egoismo individualista, del “liberi tutti”, che non ci sono regole da rispettare, è passato in profondità e non è casuale che le prime vittime siano le donne. Parallelamente a questi fenomeni drammatici c’è un’offensiva politica e sociale contro le donne, il diritto alla maternità e al lavoro ».
A che cosa si riferisce? «A interventi legislativi che danno il senso di una guerra alle donne. Siamo partiti dalle dimissioni “in bianco” e siamo arrivati a discutere dei costi della maternità responsabile, delle donne che non hanno la testa per il lavoro, che in un momento di crisi le donne possono stare a casa… Se rimetti in circolo queste idee crei le condizioni per avvelenare la società, per far vincere sempre il più furbo e il più forte. E le donne sono deboli, hanno bisogno della battaglia del movimento, del sindacato, della politica seria».
Non è arrivata l’ora di riscoprire l’intervento pubblico in economia? «In Europa si sono salvate le banche con i soldi pubblici che, però, non si possono usare per il lavoro, per mantenere il tessuto industriale, per difendere quote di sviluppo. C’è una patologia che impedisce l’indispensabile svolta: è la teoria che il privato sia sempre meglio del pubblico, che l’assicurazione e la sanità privata siano i modelli da perseguire così si può smantellare il welfare statale. Poi ci troviamo i buchi di don Verzè e le curiose vicende di Formigoni».
Dopo quattro anni di crisi che cosa la preoccupa di più? «La deriva sociale, il rischio che la rassegnazione e la paura spingano molti alla disperazione. Questi elementi, purtoppo, ci sono. Però vedo che la gente, i lavoratori, i disoccupati, gli esodati hanno voglia di lottare. Il sindacato mantiene la sua credibilità, la capacità di stare vicino alla gente che soffre. E la Cgil mantiene alta l’attenzione sui diritti, sulla condizioni di lavoro, sulla democrazia in fabbrica. Deve essere chiaro che non arretreremo sull’articolo 18».
Si nota una ripresa di collaborazione tra Cgil, Cisl e Uil. A che punto siamo? «Il movimento sindacale, pur con tutti i difetti, tiene un alto profilo di fronte all’emergenza. Con Cisl e Uil lavoriamo a livello nazionale e sul territorio per fronteggiare gli effetti della crisi. Penso che dovremo fare una proposta unitaria sul fisco al governo perché non è tollerabile che lavoratori e pensionati paghino il prezzo più alto. Noi della Cgil, poi, pensiamo che lo sciopero generale abbia ancora un valore».
Monti cambierà politica? «Non mi pare. Però le persone intelligenti possono capire i problemi e le ansie di tanta gente, e possono cambiare idea».
Segretario, il suo primo ricordo della festa del lavoro? «Il “mio” Primo Maggio nella memoria è Luciano Lama sul palco in piazza del Duomo a Milano che annuncia la liberazione di Saigon. Che felicità! Era il 1975, allora non c’era Internet ».
l’Unità 01.05.12