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"I maschi padroni delle nostre vite" di Natalia Aspesi

E va bene, aderiamo all´appello; e poi? Siamo d´accordo, lo sono tutti, chissà, anche quell´uomo sconosciuto e adesso certo del suo equilibrio che magari tra mesi o anni strangolerà furibondo una moglie disubbidiente e in fuga. Ascoltate le donne di “Se non ora quando”. E su Twitter una valanga di femmine e maschi, il femminicidio riguarda la politica, è la politica che deve intervenire. Per impedire che in Italia le donne continuino a crepare per il solo fatto di essere donne: nel 2006 gli uomini ne hanno uccise 101, nel 2007 107, nel 2008 112, nel 2009 119, nel 2010 120, nel 2011 137; e nel 2012 le donne ammazzate sono già 54. Ammazzate soprattutto da mariti o ex mariti, da conviventi o ex conviventi, da innamorati respinti: il 70 % delle assassinate erano italiane, il 76 % degli assassini sono italiani.
Ma quanti articoli arrabbiati abbiamo scritto, quanti appelli sdegnati abbiamo firmato, ad ogni efferata, cieca, mortale vendetta di un uomo che ammazza la sua donna “per troppo amore”, negli ultimi decenni? Quante volte il cronista, preso dall´idea che la passione giustifica tutto, ammanta le coltellate, le randellate, come sì certo era meglio che no, ma si sa, un uomo innamorato poverino, si acceca e chissà quanto era stato provocato. E giù il passato della morta, a scovarne, storie e possibili deviazioni, in più, meticolosa descrizione del povero cadavere, possibilmente con foto dei poveri resti. C´è una misteriosa, segreta abitudine italiana di considerare le donne come gran brave persone certo, con gli stessi diritti certo, ma diverse, nel senso di un po´ ambigue, e sempre un po´ colpevoli: dall´aver lasciato scuocere la pasta a volersene andare, sfuggendo, meglio tentando di sfuggire a un ordine, a una consuetudine, a una sudditanza, in qualche modo disubbidendo a un uomo che, proprio perché sempre più fragile e insicuro, spaventato da quella persona che lo giudica e gli si oppone o addirittura non ne vuole più sapere, sente il bisogno di prevaricare, di essere riconosciuto come maschio, quindi come padrone.
Guai a dirlo, ma è così: del resto il famoso delitto d´onore, pare impossibile, è stato cancellato dalla nostra legislazione solo nel 1981. E la legge che condannava alla galera la traditrice (ma non il traditore), è stata abrogata del tutto nel 1969. Quando, alla fine degli anni ´60, cominciarono i processi per stupro, perché finalmente le ragazze superando la vergogna personale e il disprezzo popolare, osavano denunciare il loro stupratore, bisognava sentire gli avvocati in difesa del ragazzone stupratore, come infierivano sulla “colpevole”, chiedendo conto del passato della sua verginità, e che mutande portava, e perché non si era comportata come Maria Goretti, per non parlare delle mamme dei maschi “vittime” di quella sporcacciona, a lacrimare, a raccontarne l´indole pia e innocente. Certo il paese è cambiato, la giustizia pure, ma gli uomini e la loro idea di potere legata al sesso, meno: in guerra lo stupro di massa fa parte del conflitto, in pace la donna continua ad essere una preda: la ventenne rapita e torturata da omacci l´altra sera a Voghera, gli episodi milanesi di una madre violentata in un parco in pieno giorno, di ragazze palpeggiate in metropolitana, continuano la storia del corpo della donna disponibile al desiderio di qualunque maschio, come un oggetto tra l´altro senza valore, usabile, deteriorabile.
Anche qui, siamo nella tradizione: da ragazze, noi vecchiette di oggi, sapevamo che in tram saremmo state palpate, pizzicate, che una mano, ed altro, si sarebbero appiccicati al nostro sedere. Si diventava rosse e si stava zitte, e ci si rassegnava all´odiosa imposizione. E quando adolescenti tornando in pieno giorno da scuola, c´era sempre in un angolo un signore con la patta aperta, tanto così per mostrare con orgoglio le sue virtù virili? Anche lì zitte, come se in qualche modo fosse colpa nostra. Sono storie lontane, ormai ridicole, e fortunatamente oggi una palpata non richiesta viene denunciata, suscita l´indignazione di massa e uno stupratore rischia anni e anni di galera. A beccarlo naturalmente. Perché ciò che indigna di più della violenza misogina, e ovviamente ancor più della vita strappata a tante donne, è che troppo spesso non si trova il colpevole: il fidanzato? Forse. Il compagno? Potrebbe essere. L´ex marito? Chissà. Ci sono ammazzamenti di donne che rendono furibonda la televisione che mette in piedi a ogni ora dibattiti infuocati, presente anche il sospettato autore del delitto. Poi ci si stufa e non se ne parla più, né interessa sapere se poi il delinquente è stato trovato o se invece si è condannato un innocente.
Ai processi qualche volta ci si arriva, ma poi, come nel “delitto di via Poma”, la condanna era ingiusta, il condannato innocente viene giustamente liberato, e intanto, ancora una volta resta impunito l´omicidio di una povera giovane bella ragazza di cui a fatica ormai ci ricordiamo il nome. Le donne ammazzate, diventando una notizia troppo frequente, finiscono col meritarsi ormai poche righe frettolose, oppure ne scrivono solo i giornali di provincia, a meno che la storia sia particolarmente efferata o se appunto qualcuno, donne, si stufa e si ribella. E propone un appello: certo che in tanti si aderisce all´appello affinché la strage finisca. Ma la domanda che per ora non ha risposta è: perché questa strage? Perché ancora è così difficile per un uomo, non necessariamente un criminale, sarebbero troppi, accettare la libertà della donna, l´integrità del suo corpo, la sua volontà, le sue scelte? Perché la sua difesa troppo spesso è solo la violenza? Perché? Ma se lo chiedono gli uomini, tutti quanti, anche i più irreprensibili, e generosi, e ahi! innamorati?

La Repubblica 29.04.12

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“Fermiamo il massacro delle donne”, di Maria Novella De Luca

Da Saviano alla Camusso, boom di adesioni all´appello di “Se non ora quando”. Già 54 vittime dall´inizio dell´anno. “Ora chiamiamoli femminicidi”. Centinaia di adesioni all´appello lanciato dal movimento “Se non ora quando” contro la violenza nei confronti delle donne. Dall´inizio dell´anno sono 54 le vittime in Italia, donne morte sotto i colpi di compagni, mariti, parenti. «È una mattanza» ha scritto su Twitter lo scrittore Roberto Saviano. Tra gli altri firmatari, la Camusso, la Polverini, la Finocchiaro. E intanto a Milano sei casi negli ultimi tre giorni: ieri due ragazze molestate in metropolitana.
ROMA – Centinaia e centinaia di adesioni. Perché a volte basta utilizzare le parole giuste, obbligare all´attenzione, costringere al pensiero, per spingere a dire basta. Basta al “femminicidio”, parola dura che ci ricorda che dall´inizio dell´anno 54 donne sono state massacrate in Italia da mariti, padri, amanti, fratelli, sconosciuti, omicidi seriali, uno più efferato dell´altro, l´ultima delle vittime si chiamava Vanessa e aveva, soltanto, 20 anni. Per Vanessa appunto, e per tutte le altre, “Se non ora quando”, la rete delle donne, ha lanciato venerdì un appello dal titolo “Mai più complici”, perché la tragedia del femminicidio scuota le coscienze, impegni la politica, imponga ai media di non relegare in poche righe “l´ennesimo” assassinio di una donna. E le adesioni, in poche ore, sono diventate moltissime. Da Susanna Camusso a Livia Turco, da Renata Polverini ad Anna Finocchiaro, dalla scrittrice Rosetta Loy a Roberto Saviano, che scrive su Twitter: «È una mattanza: 54 donne uccise dall´inizio dell´anno per mano di mariti, fidanzati, ex. È ora di chiamare questa barbarie femminicidio». E il segretario del Pd Bersani: «Si uccidono le donne, le uccidono i maschi. È ora di dirlo, di vergognarcene. Dobbiamo fare qualcosa».
Ricorda che quasi tutti gli assassini erano ben conosciuti alle loro vittime il presidente della Provincia Nicola Zingaretti, che accoglie l´invito alla mobilitazione anche maschile di “Se non ora quando”: «Come uomo penso sia necessario impegnarmi affinché questa violenza persecutoria possa arrestarsi». Si legge nell´appello “Mai più complici”: «È ora invece di dire basta e chiamare le cose con il loro nome, di registrare, riconoscere e misurarsi con l´orrore di bambine, ragazze, donne uccise nell´indifferenza. Queste violenze sono crimini, omicidi, anzi femminicidi. È tempo che i media cambino il segno dei racconti e restituiscano tutti interi i volti, le parole e le storie di queste donne e soprattutto la responsabilità di chi le uccide perché incapace di accettare la loro libertà. E ancora una volta chiediamo agli uomini di camminare e mobilitarsi con noi. Le ragazze sulla rete scrivono: con il sorriso di Vanessa viene meno un pezzo d´Italia. Un paese che consente la morte delle donne è un paese che si allontana dalla civiltà».
«La violenza sulle donne è un fenomeno che non può lasciare indifferenti e su cui occorre sempre tenere alta l´attenzione», dice la presidente della Regione Lazio Renata Polverini, «aderisco dunque all´appello “Mai più complici”». Perché c´è qualcosa che in Italia sta succedendo, e che forse queste aggressioni, a torto definite omicidi passionali, amori sbagliati, raptus, dimostrano: e cioè che in Italia è in atto un attacco al cuore dei diritti delle ragazze, delle bambine, delle donne, che sono le prime vittime della crisi, le prime vittime delle violenze domestiche. E aderendo all´appello, Nichi Vendola, presidente di Sinistra, Ecologia e Libertà, propone di «costruire da subito una forte reazione culturale, sociale e politica contro l´insopportabile sequenza di violenza, sopraffazione, morte nei confronti delle donne nel nostro Paese».

La Repubblica 29.04.12

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