L´ondata dell´antipolitica si sta ingrossando e proviene da destra, da sinistra e anche dal profondo della società, indipendentemente dalle etichette politiche di originaria appartenenza. L´ondata ricorda lo “tsunami”, si verifica a lunghi intervalli, è capace di produrre distruzioni e danni enormi ma con la stessa velocità con cui arriva si placa lasciando tuttavia dietro di sé un cumulo di rovine.
L´onda lunga è invece quella degli oceani, un moto naturale delle acque che alimenta la vita del mondo marino e terrestre e dell´atmosfera che ci circonda e ci sovrasta. Se vogliamo utilizzare questi fenomeni per meglio comprendere quanto sta accadendo da qualche anno nelle economie dell´Occidente, possiamo dire che allo “tsunami” dell´antipolitica fa riscontro l´onda lunga della politica. Ma dobbiamo anche aggiungere che in alcuni paesi l´ondata antipolitica è più frequente che in altri. L´Italia è uno di questi; l´antipolitica da noi è quasi un fatto permanente e minaccioso d´una società che ha conosciuto assai tardivamente lo Stato e lo ha visto sempre come una potenza ostile da combattere e da frodare.
I democratici di buona volontà dovrebbero dunque sforzarsi di rinnovare e rafforzare l´onda lunga della politica, cioè di una consapevole visione del bene comune da opporre allo “tsunami” dell´antipolitica. Accade invece che la politica galleggi su acque stagnanti e paludose, infestate da miasmi e malarie.
I democratici di buona volontà si trovano insomma a dover combattere l´ondata dell´antipolitica e la palude della politica. In Italia la situazione è questa e se guardiamo all´Europa come al progetto di un futuro Stato federale, le cose stanno più o meno allo stesso modo. Anche la politica europea galleggia infatti su acque stagnanti e paludose. Non c´è un´opinione pubblica seriamente europeista, non ci sono interessi forti che spingano verso la federazione e tanto meno valori egemoni che servano da punti di riferimento. Ci sono soltanto minoranze elitarie, non sufficienti a mutare l´acqua stagnante in onda lunga e vitale.
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Ho più volte ricordato in questi mesi che c´è un punto preliminare da cui dobbiamo prender le mosse: l´economia globale ha messo in contatto tra loro le masse di persone che vivono in paesi di antica opulenza e le masse che abitano paesi di antica povertà.
Questi due campi di forze così diversi e finora refrattari tra loro sono entrati in comunicazione ormai permanente e crescente e questa comunicazione ha creato un improvviso squilibrio nell´uno e nell´altro campo. La tendenza ad un nuovo equilibrio crea un trasferimento inevitabile di benessere dai paesi ricchi a quelli poveri o meno ricchi e quel trasferimento è destinato a continuare fino a quando l´equilibrio tra i due campi non sarà stato raggiunto.
Ci sono molti strumenti economici e politici per ridurre i costi sociali di questo percorso che tuttavia resta un dato di fondo al quale è del tutto inutile ribellarsi.
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Ribadita questa premessa, veniamo ai fatti rilevanti di questa fase. L´evento principale è la vittoria del socialista Hollande al primo turno delle presidenziali francesi, la forte probabilità della sua elezione al secondo turno e la contemporanea comparsa del neo-lepenismo di massa (18 per cento dei voti espressi) che potrà notevolmente influire sul formarsi d´una nuova destra populista e anti-europea.
Se Hollande sarà proclamato Presidente della Repubblica domenica prossima, sappiamo già che il suo primo incontro dopo la formazione del governo sarà quello con Angela Merkel con l´obiettivo di costruire su nuove basi il patto di amicizia che lega le due maggiori nazioni europee.
Hollande punta sulla crescita dell´economia europea, ma anche la Merkel punta sulla crescita. Prima lo diceva con voce sommessa, ora lo dice con voce alta e sicura. Con la stessa voce alta e sicura lo dice anche Mario Draghi e anche il nostro Mario Monti, sostenuto in questa sua linea da tutti e tre i partiti che appoggiano il suo governo. E perciò crescita crescita crescita. Ma con quali strumenti per ottenerla? E con quali tempi necessari a vederne gli effetti?
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Gli strumenti proposti da Hollande sono di ottenere l´esenzione delle spese per investimenti dal patto di stabilità fiscale voluto dalla Germania e approvato dalle Autorità europee; ottenere l´emissione di “project bond” per finanziare infrastrutture europee; accrescere le risorse del bilancio europeo amministrato dalla Commissione di Bruxelles e aumentare le risorse della Banca d´investimento (Bei) destinate anch´esse a specifici progetti di infrastrutture inter-frontaliere.
Le richieste francesi sono in larga misura condivise dalle Autorità di Bruxelles. La Germania – e la Bce di Draghi – ne condividono alcune ma escludono i “project bond” e sono molto caute sugli investimenti della Bei. Mario Monti si colloca a metà strada tra le richieste di Hollande e le probabili risposte negative della Merkel ad alcune di esse. In più Monti aggiunge la richiesta dei diciotto paesi dell´Unione di aumentare l´intensità delle liberalizzazioni sul mercato dei servizi in tutta l´area dell´Unione.
Il negoziato – sempre che Hollande vinca il secondo turno delle presidenziali – avverrà tra l´8 maggio e le riunioni dei vertici europei di fine giugno. Un compromesso positivo è molto probabile. Per quanto riguarda l´Italia l´esito del negoziato ha grande importanza ma non esaurisce i nostri problemi politici, economici e sociali. Restano infatti da risolvere le maggiori tutele sociali (esodati), la tenuta dei partiti della “strana maggioranza” e i loro reciproci conflitti; l´esito politico delle amministrative del 6 e 7 maggio; la riforma della legge elettorale; gli strumenti da adottare nella lotta contro la recessione; l´approvazione della riforma del lavoro; la “governance” della Rai. E scusate se è poco.
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Tralascio di approfondire i temi di questo lungo elenco che sono stati già ampiamente esaminati su queste pagine nei giorni scorsi. Ma ce n´è uno che tutti li contiene e può determinarne l´esito; riguarda l´atteggiamento dei partiti che appoggiano l´attuale governo. Essi temono che l´ondata antipolitica, già prossima ad intercettare il 20 per cento dei voti stando ai sondaggi, possa ulteriormente crescere fino a rappresentare un quarto dei voti espressi e a creare anche una diffusa astensione, tale da ridurre fino al 60 per cento il numero degli elettori che andranno alle urne. Il combinato disposto tra astensioni e voti antipolitici produrrebbe un colpo estremamente grave per i partiti “costituzionali” (chiamiamoli impropriamente così) e metterebbe in serio periglio la stessa sopravvivenza della democrazia parlamentare.
La tentazione di anticipare il voto al prossimo ottobre traluce ormai da ripetute sortite e rende più incerta l´azione del governo e l´andamento dei mercati. D´altra parte la preoccupazione dei partiti è comprensibile. L´”impasse” in cui si trovano è di difficilissima soluzione: anticipare il voto rischia di squalificarli ancora di più e getterebbe il paese in una fase d´insicurezza assai grave; aspettare ancora un anno fino alla scadenza naturale della legislatura prolungherebbe però la loro cottura a fuoco lento. Qual è dunque la soluzione del rebus?
Una soltanto: i partiti che chiamiamo costituzionali votino intanto una legge elettorale che abolisca il premio di maggioranza o lo faccia scattare soltanto per chi superi il 40 per cento dei voti, ponga una soglia alta (5 per cento) per entrare in Parlamento, vieti le coalizioni elettorali, abolisca dalla scheda elettorale il nome del leader, prenda a modello la legge elettorale tedesca applicata a collegi di piccole dimensioni come previsto dalla legge spagnola.
Nel frattempo il governo, ricevuta l´assicurazione formale e solenne della sua permanenza in carica fino al termine della legislatura, adotti una serie di provvedimenti capaci di accrescere le tutele sociali estendendone la durata e ampliandone la sfera d´applicazione, tagli le spese improduttive e persegua – come sta già energicamente facendo – il recupero dell´evasione fiscale; cartolarizzi una parte del patrimonio pubblico vendibile e mandi avanti il pagamento del debito pregresso verso le imprese fornitrici.
Con le risorse prodotte con questi interventi, diminuisca le imposte sul lavoro, aumenti i crediti d´imposta per investimenti destinati a innovazioni e ricerca, rilanci l´apertura dei cantieri edilizi e introduca sgravi d´imposta sui redditi medio-bassi del lavoro dipendente.
Le risorse recuperabili dalle fonti sopra indicate possono arrivare sicuramente a 80 miliardi, forse a cento e quindi sono in grado di produrre un allentamento della tensione sociale in attesa che le liberalizzazioni e la riforma pensionistica producano gli attesi effetti sul gettito delle entrate.
Questi interventi-ponte sono oltremodo necessari e urgenti per diminuire o almeno non far aumentare il tasso di rabbia sociale che, se lasciato alla deriva, può creare uno sconvolgimento economico con i relativi effetti sui mercati finanziari.
Chi si preoccupa soltanto dello “spread” e considera la rabbia sociale come un fenomeno marginale e sopportabile, non coglie un aspetto fondamentale del problema. La “polis” deve tenere nello stesso conto le leggi economiche e le dinamiche sociali da esse provocate; non a caso i classici della scienza economica, a cominciare da Adam Smith, insegnavano filosofia morale. Chi si proclama “smithiano” dovrebbe almeno studiare il pensiero e la formazione culturale del suo autore di riferimento prima d´impegnarsi sui precetti del liberismo senza se e senza ma.
Un´ultima osservazione: il presidente Monti punta giustamente sull´aumento della produttività delle imprese e sulla loro competitività. Mi auguro che non cada nell´errore di far coincidere l´aumento della produttività con la diminuzione del costo del lavoro. Quest´ultimo è soltanto uno dei componenti d´una maggiore produttività e neppure il più importante. I più importanti sono l´innovazione dei prodotti e dei processi di produzione e dipendono sia l´uno che l´altro dagli imprenditori e non dai lavoratori. Quanto al costo del lavoro dipendente esso deriva in buona parte dalla differenza tra salario lordo e salario netto. In questo caso la sua diminuzione si verifica con un taglio del cosiddetto cuneo fiscale e cioè con la fiscalizzazione dei contributi. Sono sicuro che il professor Monti queste cose le conosce molto meglio di me e agirà quindi di conseguenza.
La Repubblica 29.04.12