Cinquantaquattro. L’Italia rincorre primati: sono cinquantaquattro,
dall’inizio del 2012, le donne morte per mano di uomo. L’ultima si chiama Vanessa, 20 anni, siciliana, strangolata e ritrovata sotto il ponte di unastrada statale. I nomi, l’età, le città cambiano,
le storie invece si ripetono: sono gli uomini più vicini alle donne a ucciderle. Le notizie li segnalano come omicidi passionali, storie di raptus, amori sbagliati, gelosia. La cronaca li riduce a trafiletti marginali e il linguaggio le uccide due volte cancellando, con le parole, la responsabilità. È ora invece di dire basta e chiamare le cose con il loro nome, di registrare, riconoscere e misurarsi con l’orrore di bambine, ragazze, donne uccise nell’indifferenza. Questeviolenze sono crimini, omicidi,
anzi femminicidi. È tempo che i media cambino il segno dei racconti e restituiscano interi volti, parole e storie di queste
donne e soprattutto la responsabilità di chi le uccide perché incapace di accettare la loro libertà.
Così inizia il comunicato stampa che Se non Ora Quando insieme a noi del Corpo delle Donne, Loredana Lipperini e moltissime altre donne e uomini abbiamo firmato oggi. Ma si sa che nei comunicati non c’entra il dolore e la disperazione che molte donne sentono per non essere capaci di fermare questo massacro che pare non avere fine. Non basta scriverne, bisogna educare se si vuole agire
un cambiamento reale. Da tempo andiamo nelle scuole con il nostro progetto di educazione ai media, certi che solo attraverso una reale comprensione delle immagini si possa evitare quel processo di
oggettivizzazione e deumanizzazione a cui possono condurre le migliaia di immagini di corpi delle donne proposti senza tregua ogni giorno dalle tv.
«Perché scrivete su Fb che una ragazza è una troia se ha molti ragazzi e un ragazzo è un figo se ha molte ragazze?» chiedo a un
ragazzino di terza media. Il tredicenne ci pensa e risponde: «Perché se una chiave apre molte porte è una buona chiave. Se una serratura si fa aprire da tante chiavi non è una buona serratura… ». Gli stereotipi si formano già alla scuola materna e crescono senza programmi adeguati che aiutino a sradicarli. Servono corsi di educazione alla relazione nelle scuole, è urgente.
I ragazzi apprendono la sessualità online e dalla tv e sono lasciati soli con le mille domande a cui vorrebbero risposte.
Serve educare gli autori televisivi a un utilizzo delle donne in tv che non sia solo quello miserabile attuale. Serve educare i giornalisti a un linguaggio non sessista e non offensivo: spesso leggiamo di ragazze ammazzate «per passione»: è urgente spiegare a
chi legge che trattasi di morte e la passione invece onora la vita. Mesi fa una ragazza venne stuprata con un oggetto in ferro fuori da una discoteca a L’Aquila: la trovarono quasi morta assiderata e con la vagina squarciata. Riuscirono a salvarla, almeno fisicamente. L’avvocato dell’aggressore dichiarò che «la ragazza era consenziente». Successivamente si comprese che la ragazza era stata consenziente ad appartarsi con il ragazzo, non a farsi massacrare. Le parole hanno un peso e chiediamo che i giornalisti siano responsabilizzati sull’effetto che le parole hanno in particolare sui giovani. L’Italia, Paese tradizionalmente maschilista al 74˚ posto del gender gap, fatica a prendere atto del ruolo paritario delle donne: uomini terrorizzati di fronte alla partner che sceglie di andarsene, e la motivazione più ricorrente è: «L’ho uccisa perché voleva lasciarmi». L’ultima cosa che ci auguriamo è una battaglia tra i sessi. “Essere Due” come dice Luce Irigeray è credo l’ambizione di molte donne e molti uomini. Insieme. Ma Essere Due contempla che siano anche le donne a scegliere. Ed allora è urgente educare i ragazzi al rispetto delle loro compagne e al sapere stare nella coppia senza volere prevaricare come è stato per millenni. Ma perdere potere, dovere imparare ad accettare la libertà dell’altra rappresenta un’incognita e spaventa: per questo l’educazione è oggi l’urgenza maggiore.
L’Unità 28.04.12