In attesa di verificare se Hollande entrerà all’Eliseo fra due settimane (probabile ma non del tutto scontato), i mercati finanziari gli hanno dato ieri il benvenuto. Crollo generale delle Borse, assai vistoso in Italia e un rapido peggioramento degli spread. Niente d’imprevisto, a dire la verità: anzi, sarebbe giusto rilevare che il sussulto non è stato provocato solo da un candidato-presidente non ancora eletto, bensì da una condizione di malessere che attraversa l’intera Europa e tocca Paesi che si ritenevano immuni dal “virus” che divora le capitali indebitate.
In Olanda si è dimesso il premier e si può credere che questa notizia abbia turbato gli operatori persino più del primo turno delle elezioni in Francia. In fondo gli olandesi sono tra i più fedeli alleati di Angela Merkel e del rigore tedesco condividono di solito fin le sfumature. Eppure anche loro sono in subbuglio.
E a Roma? La soddisfazione per il successo di Hollande è palpabile. A sinistra, certo, ma non solo. L’idea diffusa è che dopo il 6 maggio il “Mitterrand pallido”, una volta insediato, possa spezzare il vecchio patto di ferro con la Germania, indebolendo la posizione della cancelliera. È uno di quei casi in cui le differenze fra destra e sinistra si stemperano. Nessuno, s’intende, può rivaleggiare con Bersani, convinto che il vento di sinistra che soffia dalla Francia sia in grado di gonfiare le vele del Partito Democratico in Italia. Inutile obiettare che Hollande contesta proprio quelle linee di politica economica, ispirate alla Bce e all’ortodossia europea, che il Pd ha sostenuto fin qui votando i provvedimenti del governo Monti.
Ma è legittimo: non tanto cambiare idea, quanto augurarsi che d’ora in poi qualcosa muterà; e che Hollande si rivelerà un così abile politico da riuscire a tessere la tela degli scontenti e da presentarsi poi alla Merkel per rinegoziare i vincoli di bilancio. Quale sarà il prezzo da pagare a questa svolta, se mai ci sarà? Non si sa ancora, ma le spinte speculative sono già in atto.
Difficile credere che si fermeranno per incanto. Colpisce invece che anche a destra si guardi al nuovo possibile presidente con simpatia. Sarkozy aveva irritato tutto l’arco del centrodestra berlusconiano, lui che all’inizio sembrava in sintonia con quel mondo. Per cui la rottura si era consumata da tempo e adesso l’area Pdl e Lega non si rammarica di certo per l’eventuale uscita di scena dell’ex amico.
Giulio Tremonti si è espresso per Hollande in modo esplicito, ma anche chi non arriva a tanto ammette a denti stretti che un presidente socialista apre nuovi spazi, allarga i margini di chi deve fare politica in Europa contenendo lo strapotere tedesco e richiamando l’attenzione dei vari governi nazionali sul problema della crescita economica. È un’opportunità di cui anche il presidente del Consiglio è consapevole, benché la linea dell’Esecutivo contempli la più assoluta lealtà agli impegni presi. Ma quello che accade a Parigi è troppo importante per non interessare da vicino Palazzo Chigi.
Il punto semmai è un altro. È vero, la vittoria di Hollande è un sasso gettato nello stagno dell’Unione, sia pure a caro prezzo. Ma più che un successo del nebuloso programma socialista, il voto di domenica sembra una sconfitta di Sarkozy e della sua politica troppo filo-Markel.
Diciamo meglio: il voto è un messaggio contro l’Europa della moneta unica. Il punteggio di Marine Le Pen, lo si è già detto, ha del clamoroso. La leader del FN si prepara a egemonizzare buona parte della destra francese, superando di slancio la vecchia frattura fra gollisti e “petainisti”: temi che ai giovani d’oggi, che hanno votato in massa la figlia di Jean-Marie, non dicono granché.
Eppure l’area che un tempo era berlusconiana e che oggi Alfano prova a rigenerare rischia di trovarsi stretta in una morsa. Hollande forse farà una politica populista che potrebbe trovare estimatori anche a destra, ma il vantaggio politico sarà del centrosinistra bersaniano. Per il buon motivo che finalmente il Pd avrà in Europa (un’Europa fino a ieri tutta di destra dopo la caduta di Zapatero a Madrid) una sponda ragguardevole.
Viceversa la destra moderata dovrà maneggiare l’ingombrante presenza della Le Pen. La quale pronuncia parole di fuoco verso Bruxelles e Francoforte: proprio le parole che Berlusconi e i capi del Pdl, nel loro complesso, vorrebbero gridare anche loro.
Ma non possono, non è la loro parte in commedia. E tuttavia la sofferenza è grande. Fra Hollande e Marine Le Pen la scomposizione politica in Francia rischia di essere travolgente. Tanto da far apparire le manovre dei partiti italiani quello che sono: piccoli giochi tattici al riparo del governo “tecnico”.
Il Sole 24 Ore 24.03.12
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“Partiti di Francia e di governo”, di MARCELLO SORGI
L’ondata negativa per Borse e mercati, con spread di nuovo oltre quota 400, seguita ieri ai risultati del primo turno delle elezioni presidenziali francesi e al successo di Hollande contro Sarkozy, ha convinto Monti a ribadire la linea di equidistanza dell’Italia dai due candidati e a mantenere prudenza rispetto al tema della crescita, al centro di tutti i commenti al voto in Francia. Monti, si sa, è convinto che nel medio termine non esistano alternative alle politiche di contenimento dei conti pubblici, e in ogni caso non tocchi certo all’Italia, paese sotto osservazione all’interno dell’Unione, fare la prima mossa in questo campo.
Ma le reazioni politiche in Italia spingono in quella direzione, con la novità, prima annunciata dal solo Tremonti, di un Pdl freddo con il presidente sconfitto e attento, come ha sottolineato Cicchitto, alla contrarietà uscita dalle urne d’Oltralpe alla politica di esclusivo rigore portata avanti fin qui dall’asse Merkel-Sarkozy. Contro quest’ultimo, da parte del partito berlusconiano, pesa sicuramente l’atteggiamento avuto nei confronti del Cavaliere e gli indimenticabili sorrisini di sfottimento all’ultimo vertice europeo prima della caduta del governo. Ma non solo. L’ala ex An del Pdl celebra l’affermazione di Marine Le Pen con grande calore, ed anche questo è un segno dei cattivi rapporti tra la destra italiana e quella francese.
A sinistra i leader del Pd festeggiano come se si trattasse di una loro vittoria e come se a prescindere da quello che sarà il risultato finale delle presidenziali la svolta verso la crescita, per mitigare una politica di solo rigore sia da considerarsi irreversibile.
D’Alema in un’intervista al Tg3 ha sostenuto che anche la Merkel dovrà tenerne conto in futuro. Un modo di parlare a suocera perché nuora intenda, per spingere Monti a riflettere sulla necessità che in Italia si trovi la strada per allentare la stretta dei sacrifici. Su questo aspetto c’è una sostanziale convergenza tra i due maggiori partiti che appoggiano l’esecutivo tecnico e che considerano impossibile affrontare in queste condizioni l’anno che precede le elezioni del 2013.
Ieri sia la Corte dei conti, sia la Banca d’Italia sono nuovamente intervenute per ricordare che una pressione fiscale come quella raggiunta negli ultimi mesi in Italia dev’essere considerata eccezionale e temporanea, dunque non sopportabile a lungo, in vista di tornare a scadenza breve entro limiti più accettabili.
La Stampa 24.04.12