Donne che lavorano in un mondo di uomini è il quadro che emerge dalla ricerca commissionata dalla Flai-Cgil (federazione del lavoro agro-alimentare) alla fondazione Metes per l’ Assemblea annuale delledonne in agricoltura che si è svolta ieri negli Studios di Cinecittà, ricerca coordinata da Irene Figà Talamanca (Roma-La Sapienza). È un segmento piccolo del mondo del lavoro, circa il 5 per cento con 250mila addette su nove milioni di donne che lavorano. Dove si concentrano, però, molti problemi: dal fenomeno del caporalato, alla condizione delle donne spesso invisibili e sottoposte allo stress del doppio lavoro. È la fotografia di un mondo rurale in cui spesso non c’è consapevolezza dei rischi, non si usano le mascherine e i guanti per difendersi dagli antiparassitari, con conseguenze gravi sulla fecondità, sull’aumento degli aborti spontanei, sulle malformazioni dei bambini che, spesso, sono sottopeso alla nascita. Un quadroalla “Novecento” di Bernardo Bertolucci che contrasta con le potenzialità che il settore dovrebbe avere. «Sappiamo da numerosi studi – dice Stefania Crogi segretario della Flai – che se cresce l’occupazione femminile cresce il Pil, ma perché questo avvenga bisogna creare condizioni di pari opportunità e anche puntare sulla sicurezza, mentre manca persino la conoscenza statistica degli effetti del lavoro nei campi o nell’industria per le donne, poiché le ricerche sono tarate sul lavoro maschile e non sulla differenza di genere». Invece, per restare agli antiparassitari, è provato, dice la ricerca Metes, che vi sono sostanze anticrittogamiche che aggrediscono le donne (per la maggiore quantità di tessuto adiposo) più degli uomini e che, spiega Stefania Crogi, «hanno effetto anche sulla condizione psicofisica, sono causa di depressione ». L’agricoltura è potenzialmente un mondo in crescita, per l’appeal del made in Italy alimentare, per lo sviluppo della ricerca nei prodotti biologici, per il diffondersi di una cultura e attenzione che guarda alla qualità ambientale, a quella della vita e alla qualità dei cibi. La realtà è drammaticamente opposta, l’agricoltura italiana – dice la ricerca della Fondazione Metes – «si è senilizzata, la quota delle donne con meno di 35 anni è inferiore a quella delle ultra sessantacinquenni ». Spiega Stefania Crogi: «Non c’è attenzione alle conseguenze sull’apparato muscolo-scheletrico per l’eccessivo carico dei pesi»,comeavviene nell’industria della macellazione. Oppure, continua il segretario generale Flai, «agli effetti dell’umidità sulle mani, in un lavoro tipicamente femminile come quello della messa a dimora delle piantine nelle aziende florovivaistiche, sistemate dalle mani più piccole e più precise delle donne, che in poco tempo si rovinano per l’artrite». Nell’industria, dove le donne sono il 40 % (nei campi non raggiungono il 30), la situazione nonè migliore: la ricerca ha studiato le condizioni di lavoro in due macelli dove i rischi per la salute (il lavoro manuale è ancora prevalente) causati dalla movimentazione di carichi pesanti e dall’uso di utensili taglienti. Un altro dato: la Calabria è la regione più agricola e con un numero elevato di donne impegnate nel settore, eppure è anche quella in cui si denunciano meno infortuni sul lavoro. L’obiettivo della Assemblea è, spiega Stefania Crogi, di puntare «su prevenzione e formazione, oltre che sui diritti e sulla difesa dell’articolo 18. Qui la precarietà è altisima e le donne guadagnano meno degli uomini, anche se naturalmente ciò non è scritto sui contratti».
L’Unità 21.04.12