Cinque milioni di persone in Italia non hanno un lavoro. E il problema è che oltre la metà ha rinunciato anche a cercarlo. Attraverso i dati che fotografano il mercato del lavoro nel 2011, l’Istat ha reso noto ieri che il nostro Paese è afflitto da un numero abnorme di cosiddetti inattivi. Quasi tre milioni di persone che, contrariamente ai disoccupati, non cercano lavoro ma sarebbero disponibili ad accettarne uno. In questo siamo anche, tristemente, campioni europei: un terzo degli inattivi della Ue a 27 vive in Italia.
Rapportati alle forze di lavoro, gli inattivi sono l’11,6 per cento, un dato più che triplo rispetto alla media europea di 3,6 per cento. E in crescita rispetto al 2010, quando erano l’11,1 per cento del totale. In tutto, sono 2,897 milioni, in crescita del 4,8 per cento (di 133 mila persone) rispetto al 2010. Si tratta anche del dato più alto dal 2004. E complessivamente abbiamo l’agghiacciante primato di ospitare circa un terzo di tutti gli inattivi d’Europa a 27: 2,897 milioni contro gli 8,566 milioni complessivi del Vecchio continente.
Oltretutto, è un fenomeno che colpisce più le donne degli uomini: 1,732 milioni di donne sono disponibili a lavorare ma non cercano attivamente, contro 1,165 milioni di uomini: rispettivamente il 16,8 per cento delle forze lavoro contro il 7,9 per cento. Alta anche la percentuale di giovani inattivi: è il 33,9 per cento degli under 24 e il 12,9 per cento di chi ha meno di 35 anni. A livello disaggregato, è nel Mezzogiorno che la quota di chi lavorerebbe ma non cerca più è due volte e mezzo quella nazionale: il 27,2 per cento.
Gli inattivi contengono una «sottocategoria» ancora più drammatica, quella degli scoraggiati, persone cioè che non cercano un lavoro perché sono convinte che non riusciranno a trovarlo. Nel nostro Paese sono ormai 1,2 milioni di persone, il 43 per cento degli inattivi. Una parte irrisoria di chi non ha un impiego, infine, è quella «non disponibile a lavorare» (che al momento delle indagini Istat non accetterebbe un lavoro perché impegnati per l’università o per altre incombenze contingenti). Nel 2011 erano 121 mila.
L’Istat fa sapere poi che nel 2011 la quota di disoccupati «classici» ha raggiunto quota 2,108 milioni di persone, l’8,4 per cento del totale.
Ma un altro dato che deve far riflettere è quello che denuncia la presenza in Italia di 452 sottoccupati part tnndcnime (+3,9 per cento ossia 17 mila persone in più rispetto all’anno precedente). Certo, nella Ue l’incidenza è molto più alta, il 3,6 per cento. Ma da noi colpisce che le donne siano quasi al doppio rispetto agli uomini (292 mila contro 160 mila). E si tratta, osserva l’istituto di via Balbo, «non di mancanza di lavoro ma di una situazione lavorativa subottimale o indesiderata». Tipicamente di chi ha ad esempio un lavoro part time indesiderato: cioè che vorrebbe lavorare a tempo pieno ma non ne ha l’opportunità.
Allarmati i sindacati che hanno reagito compatti chiedendo risposte immediate al Governo. La Cgil parla attraverso il segretario confederale, Fulvio Fammoni, di «un esercito di occupati che continua a crescere» e che ci rammenta che quella dei giovani è «un’emergenza nazionale». La numero uno del sindacato di Corso d’Italia, Susanna Camusso, ha indetto per il 10 maggio una mobilitazione nazionale sulla precarietà.
Giorgio Santini della Cisl è convinto che «è quanto mai necessario da una parte approvare rapidamente la riforma del lavoro» che «può contribuire a ridurre l’inattività oltre che la disoccupazione». L’Ugl commenta che «l’aumento sproporzionato degli scoraggiati è lo specchio di un Paese che sta rischiando seriamente di non avere più la forza, e la volontà, di superare la crisi».
“Aumentano quelli «senza speranza» Si tratta di circa 1,2 milioni di persone”
La Stampa 20.04.12