La sicurezza innanzitutto. E poi le regole da rispettare e gli ordini da seguire. Ma fin dove? Dove comincia e dove finisce la “normalità”? Imbavagliare con nastro da pacchi due cittadini tunisini che vengono rimpatriati non dovrebbe essere qualcosa di “normale”. Anche quando si ritiene “normale” metterli su un aereo per rispedirli nel loro paese. Perché, nonostante tutto, il viso di una persona ha sempre un valore simbolico. È attraverso il viso e la bocca che ognuno di noi esprime la propria soggettività. È attraverso il proprio sguardo che si entra in relazione con gli altri. E la soggettività di un essere umano, anche quando si è commesso un crimine o un delitto, non dovrebbe mai essere negata o cancellata come accade quando, per applicare le procedure ed evitare di creare scompiglio e confusione, si cede alla tentazione di far tacere a tutti i costi, anche con del nastro adesivo. Per garantire il buon funzionamento della società, ciascuno di noi è chiamato a fare il proprio dovere e ad assumersi le responsabilità che gli competono. Non si tratta qui di negare l´importanza delle regole che, da sempre, rendono possibile il “vivere insieme”. Dovere e responsabilità, però, non dovrebbero implicare né un´assenza di compassione, né l´indifferenza. Perché gli esseri umani non sono dei semplici automi, delle macchine che si limitano ad eseguire i programmi con cui sono state concepite. La compassione nei confronti di un´altra persona, però, è possibile solo quando si è capaci di immedesimarsi nell´altro. E, quindi, quando si riconosce l´altro come un essere umano simile a noi. Altrimenti si scivola, anche senza rendersene conto, in una forma di barbarie.
Come ci insegna Hannah Arendt nel 1963, il problema del rapporto tra “dovere” e “umanità” è molto complesso. Perché talvolta accade che, proprio nel nome del dovere, ci si dimentica che chi ci sta accanto è anche lui una persona. È allora che si commette il “male”. Paradossalmente nel nome del “bene”. Anche banalmente. Non perché il male, in sé, sia banale. Ma perché può accadere a chiunque di “smettere di pensare” quando si tratta di applicare una regola, e di non sapere più fare la differenza tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Umiliare una persona non dovrebbe mai essere giusto, anche in nome della sicurezza e della giustizia. Eppure è proprio di umiliazione che si tratta quando si parla di nastro da pacchi sulla bocca. Questi due tunisini li si doveva, certo, rimpatriare. Si doveva probabilmente immobilizzarli. Ma c´era veramente bisogno di farli tacere imbavagliandoli? Non è solo una questione di “eccessi” o di “misura”. È una questione simbolica. Gli esseri umani sono caratterizzati dal linguaggio e dalla parola, come spiega bene Lacan. Perché privarli allora di ciò che li rende umani?
La Repubblica 19.04.12
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“La polizia: «La maschera tutela i passeggeri». Ma è polemica. Manganelli: ora una relazione”, di Ma. Ge.
Una foto shock, che apre uno squarcio su come vengono effettuati i rimpatri degli immigrati irregolari espulsi. «Guardate cosa è accaduto oggi sul volo Roma-Tunisi delle 9,20 Alitalia», scrive postandola su Facebook, l’autore, Francesco Sperandeo, aiuto-regista di fiction, che si trovava su quell’aereo martedì scorso insieme ai «due cittadini tunisini (è la sua supposizione ndr) respinti dall’Italia e trattati in modo disumano» ritratti nella foto: «Nastro marrone da pacchi attorno al viso per tappare la bocca ai due e fascette in plastica per bloccare i polsi». Con il telefonino, in realtà, il passeggero-reporter è riuscito a fotografarne solo uno. Una foto «rubata» che fa il giro della rete, insieme alla sua denuncia: «Questa è la civiltà e la democrazia europea?», si domanda l’autore, protestando perché alla richiesta di trattare in modo umano i due passeggeri «mi è stato intimato in modo arrogante di tornare al mio posto perché si trattava di una normale operazione di polizia…». «Normale?», replica il regista a mezzo Facebook. «Fate girare e denunciate!».
E se gli altri passeggeri come racconta lo stesso Sperandeo non si sono indignati, la Rete ha fatto il suo dovere. E nel giro di poche ore al coro delle proteste raccolte sul social network, si sono aggiunti uno a uno politici, deputati, senatori. «Come è possibile che in uno Stato di diritto come l’Italia possa accadere una cosa del genere?», si domanda Andrea Sarubbi, annunciando una interrogazione al ministro dell’Interno. «Anche se i rimpatri sono necessari, devono essere effettuati nel rispetto dei diritti umani e non di certo violando la dignità degli immigrati che vengono espulsi dal nostro Paese», attacca Livia Turco, da ex ministro e da responsabile del Forum Immigrazione del Pd, che parla di fatto «inaudito». «Vorremmo che il ministro dell’Interno ci facesse sapere se effettivamente tale prassi sia di routine, come sembrerebbero aver asserito gli stessi agenti di polizia», scandisce il responsabile Sicurezza del Pd Emanuele Fiano: «La nostra opinione è che quanto denunciato sia inammissibile per un Paese civile». È lo stesso presidente della Camera Fini, di lì a poco, a incalzare il governo affinché riferisca in aula «con la massima urgenza».
LA RICOSTRUZIONE DEL VIMINALE
All’ufficio di Polizia di Frontiera, responsabile di quella «normale operazione di polizia» che normale non sembra affatto, il capo del Dipartimento di Pubblica Sicurezza Antonio Manganelli ha chiesto una relazione dettagliata. Una prima ricostruzione, intanto, spiega che i due immigrati, che potrebbero essere algerini, provenivano da Tunisi ed erano diretti in Turchia, con scalo tecnico a Fiumicino: una volta giunti a Roma, però, la mattina del 15 aprile, si sono rifiutati di proseguire il viaggio. «Come accade in questi casi, è scattata la procedura di respingimento che prevede il ritorno alla località di partenza, indipendentemente dalla nazionalità», spiegano dal Viminale. Il giorno dopo quando è stato individuato il primo volo utile per Tunisi, i due avrebbero di nuovo rifiutato l’imbarco, «opponendosi in tutti i modi, mordendosi l’interno della bocca e sputando sangue».
È allora che sarebbe stata loro applicata quella che viene definita «una mascherina sanitaria», successivamente «fissata con lo scotch» perché «i due continuavano a tentare di sfilarsela facendo dei movimenti con la bocca». La misura spiegano dal Viminale -, sarebbe stata presa «per garantire la sicurezza degli altri passeggeri». Una volta effettuato il decollo, «ristabilita la calma», il nastro come ha confermato lo stesso Sperandeo è stato tolto.
L’Unità 19.04.12