«I cittadini Ue non vogliono condividere il rischio, nessun partito se la sente di sfidare questo sentimento. Così, addio euro». Dall’Europa continuano a giungere segnali inquietanti. L’ultimo allarme della Bce ha riguardato il lavoro. Quanto ai mercati, le tensioni restano alte. Cosa si è sbagliato? Ne parliamo con Lucrezia Reichlin, docente di economia alla London Business School.
L’Europa non esce dal tunnel della crisi. Quali errori sono stati fatti? «L’Europa ha difficoltà ad uscire dalla crisi per errori passati e recenti. Per il passato si è sottovalutato l’effetto sulla stabilità della zona euro della combinazione di tre fattori: integrazione finanziaria, un sistema bancario mal regolato e una mancanza di coordinamento tra le politiche macroeconomiche dei paesi dell’Unione. La crisi internazionale è arrivata dall’esterno ma ha reso palese la fragilità di un sistema in cui le banche del nord favorivano flussi di capitale verso il sud che andavano ad alimentare bolle speculative. La crisi ha inoltre dimostrato che le istituzioni europee non avevano gli strumenti per fronteggiare lo stress finanziario date le restrizioni sul mandato della Bce, la mancanza di strumenti di garanzia del debito al livello europeo e la decentralizzazione delle politiche di bilancio. Su questo si sono aggiunti gli errori nuovi e la lentezza in cui tutti, a parte la Bce, si sono mossi. In mancanza di altri strumenti non è rimasta che la via dell’aggiustamento rapido di bilancio che ha effetti prociclici e ci porta in un circolo vizioso di politiche restrittive, approfondimento della recessione e peggioramento della sostenibilita del debito».
Troppo rigorismo?
«Il rigore è necessario, ma se l’Europa avesse avuto istituzioni federali di garanzia del debito si sarebbe potuto rendere l’aggiustamento più graduale. Questo avrebbe permesso a Paesi come l’Italia che ha un problema di liquidità e non di solvibilità di spalmare l’aggiustamento su più anni».
Hollande promette che punterà sulla crescita, stessa cosa dice Monti. Eppure il Pil va sempre più indietro. Promesse impossibili?
«Io credo che ci debbano essere iniziative in questo senso anche a livello europeo e qualcosa si sta muovendo, ma forse è troppo tardi. Al fondo c’è un problema politico: i cittadini europei non hanno nessuna voglia di condividere il rischio e nessun partito se la sente di sfidare questo sentimento. Si sta vedendo un arretramento del progetto dell’euro invece che un suo approfondimento».
La Bce ha dato risorse alle banche, ma le imprese restano a secco. Non era prevedibile che gli istituti utilizzassero quelle risorse per operazioni di consolidamento dei propri bilanci?
«Le operazioni della Bce hanno salvato il sistema bancario dalla catastrofe e questo non si deve sottovalutare. La Bce si è sostituita al mercato e, divenendo intermediaria lei stessa, ha permesso alle banche di colmare un gap tra prestiti e depositi in una situazione in cui si chiede alle banche di migliorare la loro situazione patrimoniale. Non si può chiedere alle banche di rafforzare i loro bilanci e poi chiedergli di esporsi sul credito soprattutto in una situazione in cui, data la congiuntura, il rischio è molto alto».
Vuole dire che non si poteva fare altro per favorire il credito?
«La Bce ha l’obiettivo di aumentare la liquidità, non di risolvere i problemi di politica industriale. Se una banca centrale non interviene in questi casi si rischia la paralisi del sistema finanziario. Se poi le banche prestano o no denaro è una questione molto più complessa, che dipende da diversi fattori, ma certamente se devono raggiungere ratio patrimoniali più rigorose automaticamente si riducono gli impieghi. Questo sul lato dell’ offerta. Su quello della domanda bisogna considerare che c’è la recessione, e che non tutti ce la fanno a reggere. È vero che ci sono le piccole imprese “strozzate” dai debiti, ma non è detto che queste debbano sopravvivere a tutti i costi. Le banche hanno il compito di valutare la solidità della controparte, altrimenti si esporrebbero a rischi che avrebbero effetti nefasti sull’economia. Tenere in vita imprese in dissesto e l’errore che ha fatto il Giappone negli anni novanta e non ha certo dato buoni risultati. Consideriamo anche che nell’aggregato il risparmio delle imprese, a differenza di quello delle famiglie è aumentato. Questo ci fa capire che il problema non è l’offerta di credito ma la domanda. Certamente è un dato aggregato, e questo non esclude criticità sul credito per alcuni, ma non è sempre così». Il rischio Spagna è concreto? «Certo, ma è un problema di liquidità che dobbiamo evitare diventi un problema di solvibilità. Questo succederà se la risposta al livello europeo non sarà decisa. Il fondo salva-Stati è insufficiente. Speriamo nella Bce».
La Grecia è definitivamente fuori dal rischio default?
«No ed e questo che sta prezzando il mercato. La Grecia non è solvibile».
Che rapporto c’è tra liquidità e solvibilità?
«Si può essere solvibili, ma non liquidi, e in quel caso basta un prestito per superare il problema. Ma se i tassi sono molto elevati la illiquidità diventa facilmente insolvibilità. A tassi elevati e in una situazione di crescita negativa o modesta, il debito non è più sostenibile, cioè il rapporto debito-pil aumenta nel tempo. Per questo è decisivo che le autorità europee dicano chiaramente che sono pronte a intervenire finché i tassi non si abbassano. Questo avrebbe un effetto sulle aspettative e quindi sui tassi. Lo dovrebbe fare la Bce, che però non ha il mandato per farlo».
L’Unità 15.04.12