attualità, politica italiana

"Pulizia e giochi di potere" di Michele Brambilla

La giustizia sommaria ha questo di bello: che ti porta a parteggiare per il condannato. Ieri ad esempio ci ha costretti a simpatizzare per Rosi Mauro, alla quale avevamo chiesto, non più tardi di qualche giorno fa, di lasciare la vicepresidenza del Senato. Restiamo dell’idea che la signora avrebbe dovuto lasciarla, quella vicepresidenza: quanto era emerso dall’inchiesta sull’utilizzo dei rimborsi elettorali della Lega la metteva in grave imbarazzo, e chi è vicario della seconda carica dello Stato non può permettersi neanche un’ombra di sospetto. Ma il modo in cui la Lega, ieri, l’ha mandata sul rogo come una strega, ci costringe a solidarizzare con lei.

Espulsa dal partito in cui militava da una vita, partendo dai ruoli più umili (c’è chi sostiene che abbia cominciato facendo la portinaia della prima sede milanese, quella di via Arbe). Espulsa dal partito nel quale fino a poche settimane fa aveva un posto di primissimo piano. Cancellata. Indicata al pubblico disprezzo di quei militanti che la osannavano ogni volta che, dal palco di Pontida o da quello di Venezia, lei annunciava i successi del sindacato padano, i vantaggi degli «contratti territoriali»… La osannavano, quando gridava che il «governo centralista» (lo diceva anche quando al governo c’era pure la Lega) favoriva gli immigrati a scapito della «nostra gente». L’altra sera a Bergamo gli stessi militanti, aizzati dai nuovi dirigenti, le hanno dato della battona.

Perché in pochi giorni Rosi Mauro è passata dagli applausi all’espulsione? Il partito si è improvvisamente accorto della sua indegnità? Del suo presunto amante bodyguard? Dei suoi maneggi e intrallazzi con Belsito e con il cerchio magico? Si vuol far credere che, se ha sbagliato, lo ha fatto senza che nessun altro sapesse? Ma mi faccia il piacere, diceva Totò.

Da quando i giornalisti hanno cominciato a scrivere che attorno a un Bossi stanco e malato si era formato un «cerchio magico» che lo teneva in ostaggio, tutti – ripetiamo: tutti – i dirigenti della Lega urlavano, in pubblico, che si trattava di volgari menzogne dei soliti pennivendoli. Adesso tutti questi dirigenti parlano del «cerchio magico» come di una realtà acclarata da tempo, e fanno pulizia a colpi di scopa.

Ma è una pulizia suggerita dall’esigenza di nuovi equilibri di potere interni, non da un amor di trasparenza e onestà. Provate a guardare foto e filmati di Bossi degli ultimi otto anni: non c’è fotogramma in cui il vecchio capo non sia tenuto a braccetto da Rosi Mauro. È per questo che nella Lega tanti odiano questa donna. Nessuno poteva avvicinarsi a lui senza il consenso di lei. I giornalisti men che meno: Bossi non rilascia interviste vere da prima della malattia. Rosi «la badante», come la chiamavano i più gentili nella Lega (gli altri la chiamavano «mamma Ebe») era dunque riuscita nell’impresa di accudire Bossi per controllarlo, diventando insieme a pochi altri (il famoso cerchio magico) la vera segreteria politica della Lega.

Dicono i suoi nemici interni che questo ruolo lo abbia svolto con cinismo e senza pietà, facendo tabula rasa di oppositori e concorrenti. È probabile che sia vero. Ma si abbia il coraggio di dire che è per questo motivo che ora questa donna – neppure indagata, almeno per adesso – è stata espulsa. Si abbia il coraggio di dire che è una purga staliniana per giochi di potere interno, senza tirare in ballo l’uso del denaro del partito. Di verginelle, riguardo all’uso di quei soldi, ce ne sono poche.

Fa pena sentire, ora, che è stata espulsa perché ha disobbedito a Bossi, il quale le aveva chiesto di lasciare lo scranno al Senato: lo sanno anche i sassi che Bossi era stato costretto, dai nuovi vincitori interni, a chiederle quel passo indietro. La Lega è un partito lacerato da odi interni inimmaginabili, e le rese dei conti sono solo all’inizio.

Così spesso arrogante – con noi giornalisti e con tanti militanti -, Rosi Mauro non era simpatica. Adesso lo è un po’ di più, forte di quella compassione sempre generata da ogni capro espiatorio.

La Stampa 13.04.12

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“La successione condizionata dal Senatùr e dalle indagini” d MARCELLO SORGI
L’espulsione di Rosi L’ Mauro segna un altro passo avanti verso la presa del potere leghista di Maroni. L’ex ministro dell’Interno l’aveva platealmente annunciata dal palco della «notte delle scope» a Bergamo e l’ha ottenuta ieri mettendo sul tavolo, in caso contrario, le sue dimissioni dal vertice del Carroccio. La vicepresidente del Senato ha provato fino all’ultimo a difendersi, ma era chiaro che dopo le dimissioni di Bossi dalla segreteria, del Trota dal Consiglio regionale lombardo e dopo l’espulsione dell’ex tesoriere Belsito, la segretaria del famigerato Sindacato padano non aveva alcuna chance.

L’astensione di Bossi, che è uscito dalla stanza del consiglio federale in via Bellerio per non votare, non intacca il patto tra il fondatore, sempre più sommerso dalle rivelazioni delle inchieste sulla gestione familiare dei rimborsi elettorali, e il suo già delfino, e fino a ieri oppositore interno, se non proprio del Senatùr, del cosiddetto «cerchio magico» dei dirigenti più vicini, che lo avrebbero raggirato.

L’uomo che porterà la Lega al congresso di giugno è Maroni, che al momento resta anche il candidato più forte alla successione. Ma l’equilibrio interno del partito rimane precario e la presenza quotidiana di Bossi in via Bellerio sta a significare che il vecchio leader, malridotto com’è, non ha alcuna intenzione di lasciare il campo. Molto dipenderà dagli sviluppi giudiziari delle indagini ancora in corso e dall’esame della gran mole di carte sequestrate nella sede del partito, che continuano a produrre una quantità di dettagli perniciosi e ad intaccare la linea ufficiale di difesa, che tende ad accreditare Bossi come la principale vittima di un raggiro ai danni suoi e del partito, ad opera dei suoi familiari e famigli. In realtà, quel che va emergendo è che Bossi, pur stanco e malato, condivideva le decisioni più importanti sull’uso illecito dei fondi pubblici, e che fu fatto anche un tentativo, fallito, di coinvolgere Maroni prima che l’esplosione del caso degli investimenti in Tanzania lo mettesse sull’allarme, spingendolo a chiedere il chiarimento che proprio Rosi Mauro e il gruppo del «cerchio magico» gli volevano negare, e che a gennaio fu invece imposto a forza dalla mobilitazione di base dei militanti.

La sensazione insomma è che Bossi, malgrado le crescenti difficoltà della sua situazione personale, non intenda rinunciare in alcun modo ad avere un ruolo al congresso. In questo senso l’avanzata di Maroni verso la segreteria rimane legata alla sua capacità di mantenere il patto con il Senatùr, evitando gli schizzi di fango che provengono da casa sua.

La Stampa 13.04.12

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