attualità, economia, lavoro, partito democratico

"Il piano Pd per uscire dalla crisi: produttività e innovazione" di Laura Matteucci

Si parte da un’analisi critica delle difficoltà dell’eurozona, che vengono rilette in una chiave differente rispetto a quella corrente. Questo per evitare risposte sbagliate, o comunque inadeguate. Poi si arriva all’Italia e alla annosa debolezza della sua crescita. Con alcune proposte e, anche in questo caso, contrastando l’interpretazione della produttività come fosse una questione delegata al lavoratore e al costo del lavoro, tra deflazioni salariali e ulteriori flessibilità. Il punto, invece, sono gli investimenti e le condizioni di contesto che possono permettere alle aziende di crescere.
Con alcuni obiettivi prioritari: l’innalzamento del tasso di occupazione femminile, fino a raggiungere nel 2020 il 60% (3 milioni di donne occupate in più rispetto ad oggi, obiettivo correlato all’aumento di occupazione nel Mezzogiorno), e l’innalzamento della specializzazione produttiva. Il Pd l’ha presentato ieri alle altre forze di maggioranza: un insieme di proposte di politica economica, per l’Europa e per l’Italia, l’impianto della strategia di sviluppo messa a punto dal dipartimento Economia e lavoro. Da leggersi a complemento delle proposte per la riforma fiscale e delle politiche sociali.
È il contributo al Programma di stabilità e al Programma nazionale di riforma (sostanzialmente la ex Finanziaria) che il governo presenterà a giorni, in uno dei prossimi Consigli dei ministri, per poi avviare la discussione in Parlamento e portare il documento definitivo a Bruxelles entro fine aprile. Gli obiettivi dichiarati dovrebbero guidare interventi e riforme (il completamento delle liberalizzazioni, la riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni, la riqualificazione della spesa pubblica e la regolazione della democrazia nei luoghi di lavoro).
La crisi dell’area euro: le cause non vanno ricercate tanto negli squilibri di finanza pubblica, quanto nelle asimmetrie crescenti nei diversi Paesi dall’introduzione della moneta unica, che un’insufficiente politica comunitarianon è riuscita a risolvere.
Lettura differente dei motivi alla radice della crisi significa anche diverse possibili misure per uscirne. L’asse portante per il Pd, comunque, dev’essere una maggiore attenzione alla crescita, affrancandosi da eccessivi vincoli di austerità legati agli obiettivi di bilancio. Ovvero dalla linea attuale, le cui prospettive sono piuttosto scoraggianti: crescita nulla, ulteriore contrazione economica, aumento della disoccupazione, irrangiungibilità degli obiettivi di finanza pubblica, come spiega il responsabile Economia delPd Stefano Fassina. Le linee proposte per cambiare rotta sono quelle già presentate nella dichiarazione di Parigi, e vanno dall’emissione di obbligazioni europee garantite da tutti i Paesi alla trasformazione in Stability bond della parte corrispondente all’incremento del debito, dall’introduzione di uno standard retributivo europeo per promuovere un tasso di crescita delle retribuzioni reali (l’obiettivo è il riequilibrio tra Paesi in surplus e in deficit con l’estero) alla definizione di un Piano di sviluppo centrato su investimenti pubblici e produzione di beni comuni. Altro punto, promuovere una più equilibrata distribuzione del reddito, sia sul mercato del lavoro, sia attraverso interventi fiscali e di welfare.
Il focus sull’Italia che non cresce più parte da un’analisi delle diseguaglianze aumentate (di reddito e sociali) e della (non) redistribuzione del reddito, da ridurre attraverso un combinato disposto di investimenti nella scuola e nell’università, di riforme fiscali che spostino il peso dal lavoro alla ricchezza e alla rendita, di riduzione della precarietà sul lavoro. Poi, «bisogna tornare a parlare di politica industriale », dice Massimo D’Antoni, coordinatore del gruppo di economisti che ha lavorato al documento: «La priorità dev’essere data alla crescita della produttività rispetto a quello della liberalizzazione del mercato del lavoro».
Primo passo: avere chiara la vocazione industriale del Paese, definire i settori sui quali concentrare il sostegno, incentivare lo sviluppo di una rete di collaborazione tra imprese di piccole dimensioni. Si deve puntare sull’integrazione tra filiere manifatturiere e settori dei servizi, sulla politica industriale ecologica e sulla strategia delle reti. Individuate una serie di misure per far fronte al problema del credito e delle risorse da reperire (resta fondamentaleun riorientamento della spesa pubblica), tra cui la definizione di un quadro di incentivazione fiscale e finanziaria che favorisca la trasformazione del credito in capitale di rischio, con un potenziamento del Fondo centrale di garanzia. Il Pd propone anche un sistema di tassazione societaria che favorisca il rafforzamento patrimoniale e l’investimento. E, per quanto riguarda le crisi industriali, parla tra l’altro di riformare gli strumenti per la partecipazione dei lavoratori in forma associata, mutualistica e cooperativa, nel sostegno alla capitalizzazione e nella convenienza fiscale. Il ruolo della domanda pubblica, cui spetta il compito di definire gli standard qualitativi e prestazionali per i settori produttivi: soprattutto su sanità, infrastrutture e costruzioni.

L’Unità 12.04.12

1 Commento

I commenti sono chiusi.