Quali sono le scuole migliori in Italia dal punto di vista di chi vuole proseguire gli studi? La Fondazione Agnelli è arrivata al terzo anno della sua indagine per il Piemonte, al secondo anno per l’Emilia Romagna ma per la prima volta allarga l’analisi anche alle scuole lombarde e calabresi su richiesta dell’Ufficio scolastico della Lombardia e della Regione Calabria. Il risultato è una fotografia piuttosto nitida. Le migliori sono in provincia. Sono istituti pubblici, possono essere licei dove è più probabile che si creino effetti positivi per le capacità individuali, ma anche tecnici, sfatando la pessima fama di questi istituti secondari. Nessun particolare blasone, sono scuole frequentate in genere da persone non particolarmente benestanti o legate alla cultura. Da questo tipo di scuole che potrebbero trovarsi ovunque in Italia arrivano i ragazzi che hanno ottenuto i migliori risultati durante il primo anno di università.
E quindi la Fondazione le ha scovate e messe in classifica per dare alle famiglie un’informazione in più al momento della difficile scelta delle superiori e alle scuole per poter capire qualcosa di più sul loro lavoro ma anche ai responsabili della politica scolastica, che in questa fascia di istituti non hanno alcuna rilevazione Invalsi a guidarli in eventuali valutazioni. In totale, la ricerca valuta i risultati di oltre 145 mila studenti (64.944 in Lombardia, 29.116 in Emilia Romagna, 23.497 in Calabria, 28.458 in Piemonte), tutti provenienti da scuole secondarie superiori (esclusi gli istituti professionali e gli indirizzi professionali negli istituti superiori). Non è possibile avere dati aggiornati all’ultimo anno scolastico «a causa del lento aggiornamento» dell’Anagrafe nazionale degli studenti universitari, come spiega la Fondazione nello studio. I dati sono quindi relativi agli anni 2007/2008 e 2008/2009. Il risultato finale sono due classifiche. La prima fotografa soltanto l’effetto scuola, la seconda invece tiene conto anche di altri elementi che possono avere conseguenze sul risultato finale, dal territorio al talento degli studenti al tipo di scuola. In Lombardia fra i primi 10 istituti, otto sono tecnici industriali e istituti superiori della provincia. Al quinto posto c’è uno scientifico, il Volta di Milano, e al sesto posto il liceo Linguistico Civico, sempre di Milano. Risultato identico in Piemonte: otto istituti tecnici e superiori della provincia su dieci in classifica.
Al sesto posto il liceo classico Cavour di Torino e al nono il liceo classico e scientifico Valsalice, sempre di Torino. Dati simili in Emilia Romagna dove solo due licei entrano in classifica: il classico Muratori di Modena al terzo posto e il classico Galvani di Bologna al quarto. Scomparsi i licei dalle posizioni alte della classifica in Calabria, l’unico entrato è il San Nilo di Rossano, arrivato al quarto posto ma ora trasformato in istituto superiore. Un’eccellenza scomparsa anche in Lombardia, dove il primo in classifica è l’istituto tecnico commerciale Di Rosa di Desio. Il migliore in Lombardia: peccato che l’indirizzo tecnico commerciale ora non esistapiù: gli iscritti erano pochi e si è preferito chiuderlo.
La Stampa 01.04.12
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“La scuola migliore? Quella in provincia”, di Mariolina Iossa
Chi prepara meglio all’università: la sorpresa degli Istituti tecnici
Come formano agli studi universitari le scuole superiori italiane? Quali sono, una ad una, e in che posizione si trovano in una classifica di qualità, quelle dalle quali provengono i migliori studenti universitari? Cercando di rispondere a queste domande la Fondazione Giovanni Agnelli ha condotto uno studio su quattro regioni italiane, Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna e Calabria. E ha ottenuto una graduatoria di 453 scuole lombarde, 213 piemontesi, 179 emiliane e romagnole e 166 calabresi, per un totale di 145 mila studenti. Gli istituti professionali sono stati esclusi perché la loro missione formativa è fortemente centrata sull’ingresso diretto nel mondo del lavoro.
I risultati? Tre gli esiti più significativi. Primo: gli istituti tecnici hanno fatto un ottimo lavoro, non solo come preparazione da sfruttare subito sul mercato ma anche per l’ingresso in facoltà. In sostanza non è vero che arrivano all’università quasi esclusivamente gli studenti dei licei. Secondo: esiste un «effetto provincia», per il quale gli studenti dei piccoli centri hanno in media risultati universitari migliori rispetto a quelli delle grandi città. Questo probabilmente perché l’investimento in istruzione universitaria è più gravoso per le famiglie dei fuori sede e quindi gli studenti sono più motivati. Terzo: la maggior parte delle scuole non statali confermano performance più deludenti rispetto a quelle statali. Quindi il lavoro svolto dalla scuola «pubblica» resta di qualità superiore.
Elementi confermati dalle classifiche. In Lombardia la scuola migliore è l’istituto tecnico commerciale Di Rosa, di Desio, seguita dal tecnico industriale Magistri Cumacini di Como. In questo caso la scuola di Como è in pratica al primo posto perché il Di Rosa da alcuni anni ha chiuso l’indirizzo tecnico. In Piemonte la migliore è l’istituto superiore Carlo Denina di Saluzzo (Cuneo). Un altro superiore, il Polo di Cutro (provincia di Crotone) è al primo posto in Calabria. In Emilia Romagna, invece, il ranking è aperto dal tecnico-industriale Enrico Fermi di Modena.
Lo scopo di questa indagine, spiega il direttore della Fondazione Andrea Gavosto, è naturalmente «valutare le scuole in funzione della preparazione all’università. È chiaro che nessun sistema di valutazione è perfetto e che anche altri parametri sono importanti per giudicare una scuola, per esempio il benessere degli studenti, il livello culturale, la capacità di educazione e di inclusione. Ma manca in Italia un riscontro di questo tipo, così come manca una vera e propria cultura della valutazione e del rendere conto alla collettività come invece è giusto che sia».
Il punteggio ottenuto è costruito a partire dal contributo specifico della singola scuola al successo universitario dei propri diplomati, mettendo quindi volutamente «da parte» il contesto socio-culturale, quello territoriale e le caratteristiche individuali degli studenti. Sulla base di dati del 2007-2008 messi a disposizione dal ministero e dagli atenei, la Fondazione ha esaminato i libretti universitari di 145 mila ragazzi che si sono iscritti all’università entro due anni dal diploma. Ha guardato voti e crediti, ha considerato cioè al 50 per cento il profitto elevato e la velocità nel sostenere gli esami.
«Siamo l’unica regione del Sud ad essere presente nella ricerca e questa è la sfida che abbiamo voluto raccogliere», ha detto l’assessore regionale alla Cultura della Calabria Mario Caligiuri.
«Questi tipi di ricerca sono il segnale di un grande interesse per la valutazione delle scuole — ha commentato invece il direttore generale dell’Ufficio scolastico della Lombardia Giuseppe Colosio —. Mi lascia però perplesso che si voglia dedurre la qualità di una scuola dal risultato di uno studente alla fine del primo anno di università. La scuola conta nel percorso universitario ma vi concorrono anche molti altri fattori. Dunque le ultime in classifica non si deprimano e le prime non si esaltino troppo».
Il Corriere della Sera 01.04.12
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“La pari dignità dei licei e degli istituti”, di GIUSEPPE BERTAGNA
P rima del fascismo, l’istruzione tecnica e, a maggior ragione, quella professionale erano molto collegate alle imprese, alle parti sociali, alle camere di commercio. Avevano insegnanti reclutati dagli istituti scolastici e, soprattutto, provenienti dal mondo del lavoro. Avevano programmi mobili, molta autonomia e anche prestigiose prosecuzioni post-secondarie, parallele all’università. Gli Istituti superiori di agraria, veterinaria, scienze economiche e commerciali ne erano la prova.
Giovanni Gentile aveva poca stima di questo tipo di istruzione. La riteneva inferiore. Della stessa opinione quasi tutto il mainstream del tempo. Compreso il «comunista» Antonio Gramsci. Solo il liceo classico era la scuola della classe dirigente. Non a caso gentiliani di destra e gentiliani di sinistra, da allora, sono sempre stati uniti nell’improntare l’istruzione davvero formativa al modello classico.
Nel 1923, Gentile accolse nella sua riforma, sotto le ali dello Stato, soltanto due istituti tecnici: ragioneria e geometri. Il grosso dell’istruzione tecnica e tutta l’istruzione professionale rimanevano alle dipendenze del ministero dell’Economia nazionale. Per nobilitare i due istituti tecnici ammessi alla sua riforma, Gentile introdusse, negli allora quattro anni del loro corso inferiore, l’insegnamento del latino.
Nel 1927, il ministro dell’Economia nazionale, Belluzzo, andò dal capo del governo ad esprimere il profondo disagio del mondo imprenditoriale nei confronti dei diplomati dei due istituti tecnici gentiliani. Le imprese diffidavano della loro reale preparazione. La soluzione di Mussolini fu di statalizzare tutta l’istruzione tecnica e di trasformare tutta l’istruzione tecnico-professionale superiore in facoltà universitarie.
Da allora una silenziosa, ma non per questo meno costante linea di tendenza: «licealizzare» l’istruzione tecnica e professionale, al posto di innalzarla, con le sue specificità, alla qualità liceale; «universitarizzare» l’istruzione tecnico-professionale superiore al posto di aumentarne il prestigio per renderla concorrenziale con l’università.
Queste tendenze sono continuate, grosso modo, fino alla fine del secolo scorso, quando appare una benvenuta riscoperta, contrastata, ma progressiva e continua: la dignità formativa dell’istruzione tecnica e professionale si accresce non diluendone le specificità, ma semmai rendendole più aperte e colte.
Siamo giunti così ai nostri tempi che, per la prima volta dopo decenni di segno contrario, vedono due inversioni di linea. La prima è la diminuzione degli iscritti ai licei e l’aumento degli iscritti all’istruzione tecnica e professionale. In Europa, i licei non vanno oltre il 25-30%. Da noi erano arrivati due anni fa quasi al 50%. La seconda è la riscoperta dell’importanza dell’istruzione tecnico-professionale superiore (con gli Its e Ifts).
A queste due dinamiche, l’indagine della Fondazione Agnelli porta ulteriori valori aggiunti. Dimostra, infatti, da un lato che gli universitari provenienti dagli istituti tecnici si collocano nella parte alta della graduatoria, perfino meglio di chi proviene dai licei; dall’altro lato, che gli istituti tecnici di provincia sono molto affidabili in termini formativi; infine, che gli studenti frequentanti università non sotto casa, quali sono in genere quelli che provengono dagli istituti tecnici di provincia, riescono meglio di chi si diploma in città. E pensare che l’indagine ha escluso programmaticamente gli studenti che provengono dagli istituti professionali. Forse anche lì avremmo sorprese. Almeno speriamo. Il futuro, infatti, è quello della pari dignità dei percorsi formativi, non la storica gerarchizzazione tra licei, istituti tecnici e professionali.
Docente di Pedagogia Università di Bergamo
Il Corriere della Sera 01.04.12
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