Liste civiche di sole donne alle prossime elezioni, signore sindaco e signore assessore (non più sempre soltanto «alla cultura» o «al tempo libero») che si moltiplicano a nord come a sud in tutto il Paese, in grandi come in piccoli centri: non è solo cronaca, forse è un segnale. E pazienza se la cosa appare ancora un po’ bizzarra, molto più bizzarra, in verità, di quanto non appaiano le innumerevoli giunte formate esclusivamente da uomini.
Poi c’è la dichiarazione del presidente Giorgio Napolitano che auspica una donna come suo successore al Quirinale. Potrebbe essere stata espressione della sua galanteria, una bella frase ad effetto buttata lì secondo l’uso dei politici, ma a molti è sembrato qualcosa di più e di più serio. Che stia davvero iniziando a cambiare la cultura, la mentalità?
Non è che per le donne sia cambiato poi tanto nel nostro Paese: l’avvilente catalogo, con i suoi assurdi capitoli, è noto. Si comincia con l’evidenza che, a pari qualifica professionale, una donna in Italia (ma, in verità, non soltanto in Italia) guadagna tra il venti e il trenta per cento in meno di un uomo. Poi il livello di occupazione femminile da noi è tra i più bassi d’Europa: e dipende anche dal fatto che all’arrivo del primo figlio e, a maggiore ragione, del secondo, molte donne lasciano il lavoro (succede perfino nell’avanzata Lombardia, tra le regioni, in teoria, con più servizi per la famiglia) perché non riescono a conciliare la cura dei bambini con la professione; per non parlare delle tante che in età fertile fanno fatica a trovare chi le assuma. Colpisce a questo proposito una ricerca riguardante la provincia di Trento, notoriamente tra le più prospere d’Italia, dove la categoria più a rischio povertà sono le donne nella «pericolosa» fascia d’età tra i 20 e i 35 anni, quando il mercato del lavoro sembra particolarmente difficile per loro. E quelle che un’occupazione ce l’hanno e vorrebbero tenersela — ma questo riguarda tutto il Paese — all’annuncio di una gravidanza capita, purtroppo, che lo perdano grazie a vari iniqui sistemi che il governo tenterà di combattere con la nuova riforma del lavoro.
E il part time che sembrava poter diventare una buona soluzione per permettere alle donne di conciliare gli impegni fuori e dentro casa? Non ha avuto grande successo, si può dire, perché, se per un verso viene concesso con il contagocce, per l’altro non è amato né è richiesto nella misura prevista in quanto rappresenta per lo più la direttissima per il binario morto professionale. A ciò si aggiunge la questione apparentemente molto secondaria ma che probabilmente sta all’origine di gran parte delle difficoltà con le quali debbono misurarsi le donne, e cioè la tuttora abbastanza modesta collaborazione familiare e casalinga degli uomini.
Malgrado tutto ciò, vediamo, però, nel frattempo due donne, Camusso e Fornero, in due ruoli — capo della Cgil e ministro del Lavoro — che più tradizionalmente maschili non si può, entrambi di grandissima responsabilità, e né l’una né l’altra danno l’idea di essere in qualche modo inadeguate alla loro funzione. E pazienza se, quando una di loro si è permessa di scoppiare in pianto in un momento di stress, sia stata trattata (anche da parte femminile) con il disprezzo destinato ai millantatori.
E abbiamo visto fino a pochi giorni fa una donna — Marcegaglia — in un ruolo altrettanto maschile, quello di presidente dell’associazione degli industriali, la maggior parte dei quali non sembra essersi sentita mal rappresentata sotto la sua guida. E pazienza se un leader sindacale si è divertito a definirla più adatta a prendere il tè con le signore che a discutere delle grandi questioni di lavoro, rinnovando così l’antico adagio — «Vai a fare la calza» — coniato per le donne giudicate fastidiosamente intraprendenti.
Soltanto una ventina di anni fa quel che è dato di vedere oggi sarebbe sembrato fantascienza.
Il Corriere della Sera 28.03.12