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«Monti sia coerente. O tratta con tutti o con nessuno», intervista a Chiara Saraceno di Massimo Franchi

«Mi ha colpito molto un’espressione usata da Monti, ovvero che il governo non vuole la concertazione, come se la concertazione fosse un inciucio. L’inciucio il governo e il Parlamento lo hanno fatto sulle liberalizzazioni con i tassisti, i farmacisti, le varie lobby. Quando si dice, poi, che i sindacati non devono avere potere di veto è giusto, ma poi non si dovrebbe permettere che lo abbia Mediaset sulle frequenze o la Chiesa Cattolica su molte altre questioni».
Professoressa Saraceno, il governo dei tecnici manda in pensione solo la concertazione. Dicono sia un elemento di modernità… «Pensare che i sindacati vanno solo consultati e poi si decide da soli, rischia di mutare radicalmente i rapporti di potere tra soggetti sociali producendo forti squilibri. Si può sostenere che sono poco rappresentativi, ma allora i tavoli vanno allargati ad altri soggetti, non chiusi. Concertare significa tentare di raggiungere un accordo, è fondamentale in una democrazia. Non si può parlare di modello tedesco e poi di inciucio: in Germania la concertazione e la cogestione sono regole, modelli».

La modifica dell’articolo 18 è il simbolo di questo nuovo modo di trattare. Ma il governo sostiene che sia solo una parte della riforma e nemmeno la più importante. È d’accordo? «È una parte, ma condiziona tutto il resto. L’articolo 18 è una questione simbolica soprattutto per il governo, che ha voluto portarla a casa ad ogni costo. A rischio di fare un pasticcio, di tirarsi la zappa sui piedi, il governo ha voluto modificare a tutti i costi i rapporti di forza tra i singoli lavoratori e datori di lavoro, indebolendo ulteriormente i primi, togliendo il potere deterrente che ha quella norma. Questo non credo che produrrà ondate di licenziamenti, ma di sicuro creerà un contenzioso giudiziario fortissimo. In questo è stato il governo a dimostrarsi ideologico».

Elsa Fornero ha sempre parlato di giovani. La riforma li tutela realmente di più? «Solo parzialmente. C’è qualche tutela in più, come l’attenzione agli abusi su co.co.pro e partite Iva. Ma la gran parte delle nuove norme non riguarda i trentenni, la categoria cioè più in difficoltà oggi. Il contratto di apprendistato potrà favorire i giovani sotto i trentenni che entreranno nel mondo del lavoro, ma non chi ha 30 anni e più. Per quanto riguarda gli ammortizzatori si parlava di universalità,ma c’è solo un piccolo allargamento perché si lascia come requisito le 52 settimane di lavoro nel biennio e i 2 anni di anzianità di contribuzione. Per loro ci sarebbe il mini Aspi, ma è la solita mania italiana di prevedere tanti istituti ad hoc,come la disoccupazione a requisiti ridotti in agricoltura o nell’edilizia. Sarebbe stato meglio prevedere una sola misura, modulata secondo l’anzianità contributiva, come negli altri Paesi. In ogni caso continuano ad essere esclusi i co.co. pro. Va poi sottolineato che tutte queste modifiche non produrranno un solo posto di lavoro».

L’altro cavallo di battaglia di Fornero è il lavoro femminile. Qua la riforma produce più risultati? «Ancora meno. La norma sulle dimissioni in bianco è importante, ma èun atto dovuto, di reintrodurre quei controlli che erano stati cancellati sciaguratamente dal governo Berlusconi. Sul resto non vedo risultati. I problemi dell’occupazione femminile sono la scarsa domanda di lavoro e la conciliazione con la vita familiare. E non sono stati affrontati».

E i congedi di paternità? Quelli sono positivi, no? «Una cosa carina, niente più. Se si vuole che i padri condividano la cura dei figli, tre giorni non bastano. Io avrei chiesto di pagare di più i congedi, quella sarebbe stata una svolta. Oggi in Italia i genitori hanno 10 mesi di congedo dopo la maternità. I primi sei mesi sono pagati al 30%, gli altri quattro non lo sono affatto. E non mi si venga a dire che è un passo avanti verso la parità. Lo sarebbe solo se oltre alla quota riservata (10 mesi divisibili fra i due genitori) che abbiamo in Italia, si alzasse il livello di copertura dello stipendio almeno al 50%, come chiede l’Unicef».

C’è poi il voucher per il baby-sitting… «La norma non è chiara,ma comunque, incoraggiando il ritorno al lavoro della donna al più presto, va in direzione opposta rispetto, ancora una volta, alla Germania, l’ultimo Paese avanzato ad adottare una normativa che invece consente ai genitori a stare, eventualmente alternandosi, con il figlio per tutto il primo anno di vita. In più l’idea del baby sitting va contro il principio che i servizi per l’infanzia devono essere strumenti educativi. In Italia sono troppo pochi,ma hanno una grande tradizione di eccellenza».

Bisogna però riconoscere che tutta questa riforma è fatta senza risorse. Dove si potevano trovare? «A parte i giusti e autorevoli pareri sul rischio che continuando a tagliare non si potrà crescere, io avrei utilizzato le poche risorse disponibili per creare unpo’ di lavoro per giovani e donne, producendo coesione sociale. E il modo migliore era investire sulla riqualificazione ambientale ed urbana e sui servizi alla persona. E non lo si è fatto per niente».

L’Unità 25.03.12