«Il testo può essere migliorato in Parlamento». Dopo una lunga giornata di incontri e colloqui Mario Monti lancia il segnale che il Pd attendeva. La riforma del lavoro non può essere considerata blindata. Le Camere potranno intervenire senza però snaturarla. Una linea che in serata il premier comunica direttamente a Pierluigi Bersani in una lunga telefonata.
Un chiarimento che si basa però su un presupposto che il premier considera preliminare: gli impegni sono sempre stati rispettati, mai è stata violata la parola data. Una risposta alle dichiarazioni fatte mercoledì sera proprio dal leader Pd durante la trasmissione “Porta a Porta”.
Non ci saranno quindi pacchetti preconfezionati. Di certo nessun decreto. Lo strumento prescelto è quello della legge delega. E dopo la schiarita intervenuta nelle ultime ore, il Consiglio dei ministri di stamattina proverà ad approvare il disegno di legge con la formula “salve intese”. Un modo per rassicurare i democratici, prendere ancora una settimana per limare il testo e nello stesso tempo permettere al presidente del Consiglio di partire per il suo viaggio in Cina con la riforma già approvata.
Una soluzione che il Professore ha condiviso con il Presidente della Repubblica. Napolitano ha ricevuto al Quirinale la delegazione di governo formata dal premier, dal ministro del Lavoro e da Federico Toniato. Dopo le tensioni con il Partito democratico e la spaccatura della Cgil, i riflettori del Colle si sono concentrati proprio sulle conseguenze politiche potenzialmente provocate dalla riforma Fornero. Sui rischi determinati da quelle che Napolitano ha definito in passato le “opposte simbologie”.
Lo scontro, cioè, tra chi ha trasformato la difesa e la modifica dell´articolo 18 in una sorta di totem.
Preoccupazioni già espresse dal Capo dello Stato nei giorni scorsi con un richiamo alla necessità di intesa rivolto a tutti gli interlocutori e non solo alle organizzazioni sindacali. Non è stato un caso allora che da ieri la “moral suasion” del Capo dello Stato si sia fatta sentire con Palazzo Chigi e con le forze politiche. Contatti che hanno permesso a Napolitano di chiudere la giornata con un senso di maggiore serenità e con la certezza che il provvedimento conterrà anche alcune delle chiarificazioni richieste. Il Capo dello Stato ha visto Monti e ha sentito Bersani, ha parlato con Casini e ha trasmesso i suoi messaggi ai vertici del Pdl.
L´idea del decreto non gli è stata prospettata da Monti ma su ricorso eccessivo alla decretazione di urgenza ha sempre espresso i suoi dubbi in tutti i suoi anni di mandato: lo ha fatto con Prodi e con Berlusconi. La sua posizione non è cambiata con Monti. Anche perché i decreti spesso a suo giudizio provocano ingorghi, fatica e sofferenza. Ma questa volta con il premier non c´è stato nemmeno bisogno di spiegare la sua eventuale opposizione.
Del resto il Presidente della Repubblica è convinto che la soluzione progettata da Palazzo Chigi possa essere quella giusta. A condizione che non si porti in Parlamento un pacchetto preconfezionato e si consenta un esame da parte delle Camere approfondito seppure in tempi ragionevolmente rapidi. Lo strappo della Cgil, infatti, impone ancor di più di calibrare i passi. Il Professore e gli uomini del Quirinale hanno in questi giorni più volte evidenziato che l´adesione della Camusso al modello tedesco non era mai stato esplicitato. Tutto si è sempre limitato alla definizione vaga di “manutenzione” dell´articolo 18.
Eppure, nello stesso tempo, sul Colle è stata sottolineata la bocciatura da parte della stessa confederazione dell´ipotesi di tornare alla difesa sic et sempliciter della norma sui licenziamenti. Una proposta avanzata ai vertici Cgil dal capo della Fiom Landini. Il voto contrario è stato giudicato il segno che anche a corso d´Italia è ormai maturata la consapevolezza che non tutto può più rimanere come prima. Il sistema tedesco, poi, non è comunque facilmente applicabile in Italia. Napolitano si è fatto mandare tutto il materiale disponibile per capire i meccanismi di quel modello: capendo quanto sia complicato quel sistema e soprattutto verificando che i reintegri in Germania sono rari. E che quasi tutti i casi più spinosi vengono risolti dai consigli di fabbrica. La vera questione, sottolineata di recente dal Quirinale, riguarda l´enfatizzazione eccessiva data proprio dalla Cgil al tema dei licenziamenti. Una linea che ha offerto la possibilità agli avversari di trasformare quel nodo in un banco di prova. Napolitano in questi giorni ha ricordato le battaglie storiche del sindacato ma non ha nemmeno dimenticato le sconfitte come quella sulla scala mobile.
Nell´incontro ristretto che si è svolto ieri al Quirinale, si è poi fatto notare che per il governo la riforma del lavoro è la logica conseguenza degli interventi fatti negli ultimi mesi su pensioni e liberalizzazioni.
Anche per questo il Colle non condivide chi contesta la rigidità manifestata in alcune occasioni da parte del Professore. La questione sociale è un valore da difendere – lo ha ripetuto in questi giorni il Presidente della Repubblica – ma non a costo dell´immobilismo. Nello stesso tempo al Quirinale nessuno nasconde i pericoli di una tensione sociale crescente. Timori manifestati anche con il presidente del Consiglio. Tensioni che Palazzo Chigi non vuole avallare e proprio per questo ha apprezzato la presa di distanza della Cgil dall´episodio che ha coinvolto l´altro ieri il segretario del Pdci Diliberto con una militante che indossava una maglietta inneggiante alla morte del ministro Fornero.
Anche per questo da ieri Monti ha fatto di tutto per tendere la mano verso il Pd. «Voglio unire e non dividere», spiega in queste ore. Sa che il malessere dei democratici non può essere sottovalutato. E´ addolorato per il no della Camusso ma non intende nemmeno fare dietrofront sull´intera riforma.
A Bersani – ma anche a Fini e a Schifani – ha spiegato che proprio in Parlamento possono intervenire delle modifiche in grado di evitare spaccature «nella maggioranza e dentro i partiti della coalizione che sostiene il governo». Soprattutto il premier vuole impedire che il Pdl possa mettere in atto una strategia capace di allontanare il Pd dal governo.
Sospetti questi che anche il segretario democratico ha iniziato a coltivare. Non solo. Bersani ha voluto ieri in primo luogo far notare a Monti che le conseguenze di una riforma non condivisa «non possono essere sottovalutate». E i primi segni di queste conseguenze sono già emersi con le dichiarazioni pubbliche della Cei e della Cisl che ha corretto in corsa la sua impostazione.
Un primo chiarimento, quindi, tra Palazzo Chigi e il Pd è intervenuto.
Non solo con Bersani. Monti ieri alla Camera ha voluto parlare anche con due esponenti di due correnti diverse all´interno dei democratici: con D´Alema e con Fioroni. E sul banco della trattativa da ieri il Professore ha messo anche un altro intervento: una nuova iniziativa in materia sociale. Un´ultima offerta per persuadere definitivamente il Pd.
La Repubblica 23.03.12