“L´ira di Bersani: imporremo modifiche. Filo-premier soddisfatti, il Pd si spacca. “Se il governo accetta veti sulla Rai, ne dovrà accettare anche su questa materia”. L´insofferenza del segretario verso i dirigenti che tifano per lo strappo con la Cgil. Furibondo e deluso. «Il governo ha condotto male il confronto. E non capisco tutta questa fretta. Per un viaggio in Cina?». Chiuso nella sua stanza a Largo del Nazareno, Pier Luigi Bersani segue in tv la conferenza stampa di Mario Monti e Elsa Fornero. Sembra quasi parlare direttamente con il premier e il ministro del Lavoro. «Rompendo il tavolo, il presidente del Consiglio si è mosso non calcolando le conseguenze per il Paese, non per il sindacato, non per la Cgil». Aleggia l´accusa di di «irresponsabilità del premier» nella sede del Pd. In cima ai pensieri del segretario c´è una riforma non condivisa, l´intervento pesante sull´articolo 18. Ma anche gli effetti devastanti che avrà il nuovo mercato del lavoro sul Partito democratico. Il Pd rischia di spaccarsi? «Certo», è la risposta secca del vicesegretario Enrico Letta.
A questo punto, decreto o legge delega, cambia davvero poco per i democratici. La resa dei conti comincia subito. Bersani punta sulle modifiche in Parlamento. Con una certa irritazione si lascia sfuggire che «se il governo accetta veti sulla Rai e modifica le liberalizzazioni alle Camere, accetterà anche interventi su un provvedimento molto più serio, molto più delicato». Ma nel suo partito i filo-Monti hanno già indossato l´elmetto. «Il provvedimento del governo sarà comunque blindato», dice Paolo Gentiloni senza nascondere la sua soddisfazione. Per molti versi sugli ammortizzatori e sulla flessibilità in uscita Fornero è andata oltre Pietro Ichino, il vate della componente “riformista” del Pd: Apsi ridotta a un anno e modello tedesco, sui licenziamenti economici, che va a farsi benedire. «Ma noi non abbiamo alternative. Proveremo a cambiare, faremo le nostre proposte. Ma la strada è questa e il Pd non può tirarsi indietro». Oggi no, ma domani sì. Con una lunga agonia di partecipazioni a cortei a titolo individuale, di interviste, di minacce e di scissioni sempre annunciate. Un quadro drammatico per il segretario che dovrà cercare di tenere tutto insieme quello che insieme non è. «Circoscrivere le differenze per provare a colmarle. È la frase che ho sentito dire a Bersani – ricorda Gentiloni -. Io credo che possa farcela».
La mossa del verbale era apparsa a molti, andreottianamente, una sottile via d´uscita offerta a Monti per il sindacato e soprattutto per il partiti. Il Pd, in particolare, che si trova a dover combattere sul territorio la partita delle amministrative con due oppositori di Palazzo Chigi, Vendola e Di Pietro. Le parole di Monti in conferenza stampa hanno invece sancito, di fatto, la firma di un «accordo separato», non diverso da quelli sempre inseguiti da Berlusconi e Sacconi per piantare la loro bandierina anti-Cgil. Così il premier ha messo ancora più in difficoltà Bersani. Che adesso rischia l´isolamento nella maggioranza con Pdl e Udc, la spaccatura nel partito e sa bene di non poter contare sull´appoggio di Giorgio Napolitano. Anzi. Il presidente della Repubblica terrà fede al patto istituzionale stretto con Monti. Non offrirà sponde. Tanto più che la riforma del mercato del lavoro è materia principe del programma di emergenza.
Bersani è dunque davanti alla partita della vita. Lo è anche il Partito democratico, che si gioca la sopravvivenza. L´appuntamento è il voto in aula. Letta aiuterà il segretario a mediare. Ma cresce l´insofferenza per gli atteggiamenti di Fassina, per la scelta che secondo Francesco Boccia il partito è chiamato a compiere una volta per tutte: «Spezzare il cordone ombelicale con la Cgil, regolare i conti con il sindacato». E con i suoi voti per andare in mare aperto, alla ricerca di nuovi consensi, di altre identità. Il Parlamento è sovrano, dice Bersani. Ma nelle sue poche righe di dichiarazione ufficiale, segno di un brutto momento, non c´è quella frase magica pronunciata sulla Rai: «Non farà cadere il governo per questo». Cesare Damiano, ex sindacalista, oggi deputato democratico, non crede nemmeno un po´ che la Cgil torni indietro. O che lo faccia il governo: «È dura. Cominceranno veti incrociati e nessuno riuscirà a trovare il bandolo». E allora come voterà il Pd in Parlamento? Prima della battaglia, dei vertici, delle trattative politiche, oggi esistono due Pd. Che non si nascondono, che non fanno finta di andare d´accordo. Che sono consapevoli di un passaggio vitale. E che solo Bersani può rimettere insieme. Senza pensare alle foto di Vasto, alla grande coalizione, al dopo Monti. Ma solo a se stessi, al futuro dei democratici.
La Repubblica 21.03.12