Il ministro Ornaghi ha chiesto di correggere il decreto che assegnava al Comune maggiori competenze: «La tutela spetta allo Stato». Oggi la discussione in Parlamento. E’ ancora infuocato il percorso di conversione in legge del decreto su Roma Capitale: il Ministero dei Beni e delle attività culturali (Mibac) negli ultimi giorni ha deciso, finalmente e tardivamente, di prendere posizione contro gli evidenti profili incostituzionali riguardo il patrimonio capitolino. Questa settimana il provvedimento completerà il suo iter in commissione bicamerale per poi approdare in aula, ma l’esito non è affatto scontato.
Al centro dello scontro ci sono ora i beni culturali della Capitale: il decreto nella sua versione iniziale assegnava al Comune di Roma funzioni di tutela e valorizzazione, sottraendole al
Mibac. Nel primo caso il provvedimento era patentemente anticostituzionale, essendo la tutela assegnata allo Stato dall’articolo 117 della Carta, cosa ribadita nel Codice dei beni culturali del 2004. Per la valorizzazione invece la decisione è assai discutibile: le amministrazioni locali infatti
ben di rado hanno svolto appropriatamente questi compiti.
A conferma, basterà rammentare alcune luminose iniziative proprio del Comune di Roma: aprile 2009, proiezioni di immagini sulla parete del Foro Traiano per il Natale di Roma, con il filmato della dichiarazione d’entrata in guerra dell’Italia fascista a fianco di Hitler che Benito Mussolini fece il 10 giugno del 1940; dicembre 2010, l’Ara Pacis diventa un autosalone, con il sovrintendente comunale Broccoli che autorizza la presentazione di due city car; ottobre 2011, esibizione di carri armati e blindati al Circo Massimo. E dopo le adunate di forconi e tassisti al Circo Massimo del gennaio2012, è della settimana scorsa l’ultima proposta: dotare di un patentino comunale i centurioni che affollano i siti di interesse artistico chiedendo soldi ai turisti per farsi fotografare insieme a loro.
In una riunione congiunta con i rappresentanti della commissione bicamerale, il ministro Lorenzo Ornaghi e il sottosegretario Roberto Cecchi hanno chiesto di modificare il testo della legge, limitandone gli aspetti incostituzionali sulla tutela e ridimensionando le funzioni di valorizzazione. Un intervento atteso e dovuto, senz’altro positivo nei suoi esiti, anche se permane qualche incongruità. Viene istituita una Conferenza delle sovrintendenze, tra cui quella speciale del Comune di Roma che, si legge all’articolo 4, «può essere chiamata a pronunciarsi in merito al rilascio dei titoli autorizzatori», mentre all’articolo 7 si specifica che Roma Capitale concorre «alla definizione di indirizzi e criteri riguardanti le attività di tutela, pianificazione, recupero, riqualificazione e valorizzazione del paesaggio».
Malgrado la vaghezza degli enunciati, la tutela – e le autorizzazioni fanno parte della tutela – è di stretta competenza dello Stato. E questi cedimenti, che sembrano un contentino per l’amministrazione capitolina, comporteranno un appesantimento burocratico nella funzione di tutela. La Conferenza delle soprintendenze – in realtà una conferenza di servizi si riunisce da oltre vent’anni – nasce infatti con una forte vocazione a diventare un luogo di scambi opachi o una trincea dei veti incrociati, insomma un organismo barocco ma non funzionale.
Il testo così modificato oggi sarà nuovamente in discussione alla commissione bicamerale e, nonostante contenga in altre sue parti indubitabili vantaggi per la Capitale – come l’ingresso al Cipe –, dal Comune di Roma si potrebbero alzare le barricate proprio sulle modifiche in materia dei beni culturali. In questo caso i rappresentanti del Pd, tra cui Marco Causi, correlatore della conversione in legge, e di Api, Idv e forse Lega, potrebbero optare per un doppio testo da votare a maggioranza.
L’Unità 19.03.12