attualità, lavoro, memoria

"Il suo obiettivo era favorire buona flessibilità", di Tiziano Treu

A dieci anni dall’uccisione di Marco Biagi il suo ricordo è sempre vivo, specie per chi, come me, gli è stato vicino nel lavoro e negli ideali. In questi anni non tutti i ricordi hanno reso giustizia alla sua opera e alle sue intenzioni. Non gli ha reso
giustizia chi ha usato il nome di Marco per avvalorare le proprie idee; ma neppure chi al contrario ha attribuito alle proposte di Biagi i mali della precarietà del lavoro. In realtà il progetto di Marco si ispirava all’idea della cosiddetta «flexicurity» e al metodo della partecipazione, che sono entrambi centrali nel modello sociale europeo. La partecipazione, se bene intesa, è essenziale per la coesione sociale e anche per la qualità del lavoro. La «flexicurity» migliora il mercato del lavoro se la
flessibilità è regolata, oggi si direbbe se è buona, e se è bilanciata da una rete di ammortizzatori attivi, capaci di dare sicurezza ai lavoratori.
Marco Biagi voleva questo. Il suo disegno era equilibrato; ma è stato attuato in modo parziale, perché la flessibilità non è stata
ben regolata e non si sono previsti né ammortizzatori sociali estesi a tutti i lavoratori né servizi all’impiego e formativi
necessari a sostenere gli stessi lavoratori nei difficili mercati dei lavori attuali. La legislazione successiva ha accentuato gli
squilibri indotti da un’economia turbolenta, invece di correggerli
e ha quindi aggravato i rischi di precarietà.
Anche l’apprendistato era nei progetti di Biagi come risulta dalla legislazione dell’epoca e doveva servire (per questo oggi è ancora all‘ordine del giorno) ad arricchire le competenze professionali dei giovani nella transizione dalla scuola al lavoro. Il confronto in atto fra governo e parti sociali è chiamato a intervenire sulle criticità del nostro mercato del lavoro: a sostenere l’entrata dei giovani al lavoro, ora così drammaticamente esclusi, a contrastare le forme di precarietà e i veri e propri abusi contrattuali, a estendere le tutele per i lavoratori colpiti dalla crisi e dalla
disoccupazione. Sono questi i capitoli essenziali di una vera riforma, ben più che l’articolo18. Secondo Biagi l’articolo 18 richiedeva di essere modificato; ma doveva farsi sempre in chiave europea, in particolare secondo il modello tedesco. Inoltre la questione non andava enfatizzata ed ideologizzata come si sta facendo; nel suo libro bianco Marco vi dedica poche righe.
Il nostro mercato del lavoro è già abbastanza flessibile nel suo
complesso; siamo in media europea come riconosce anche l’Ocse; mentre invece siamo in grave ritardo nelle politiche di sostegno all’occupazione, nell’efficacia e nell’equità delle tutele e dei servizi. Il sistema degli ammortizzatori è in ritardo di 15 anni sull’Europa. Questo costituisce il più grave dualismo del nostro mercato del lavoro ed è un fattore di crescente disagio sociale.
Correggere questo ritardo richiede risorse, anzitutto delle parti e poi pubbliche; ma il recupero del ritardo può essere graduale purché si indichi chiaramente il punto d’arrivo, come in tutte le vere riforme. È giusto che una parte delle risorse risparmiate dai padri con la riforma delle pensioni siano messe a disposizione dei figli. Un accordo unitario fra le forze sociali su questi temi è
indispensabile non solo per migliorare le condizioni del lavoro, anzitutto dei giovani, ma anche per dare un sostegno sociale oltre che politico, a un governo che non è solo tecnico. Arrivare a questo accordo sarebbe un motivo ulteriore per riconoscere l’attualità delle idee di Biagi e per ricordarlo.

L’Unità 19.03.12