I tre motivi per cui il capo della Cgil ha raffreddato l’entusiasmo sull’accordo. Dopo l’accordo notturno di giovedì fra il premier Monti e i tre segretari della maggioranza che sostiene il governo (Alfano, Bersani e Casini), la riforma del mercato del lavoro sembrava ormai cosa fatta. Ma a gettare acqua fredda sui facili entusiasmi ci ha pensato il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso: «Se il governo ha fatto un accordo con i partiti la cosa ci lascia preoccupati. Le cose che abbiamo sentito finora non ci convincono».
I motivi della brusca frenata della Camusso sono sostanzialmente tre, ovviamente intrecciati fra loro. Prima di tutto, il leader di corso d’Italia non ci sta a vedere calata sulla sua testa un’intesa su cui sarà poi lei, assieme agli altri partecipanti al tavolo, a dover mettere firma e faccia. Lo ha detto chiaramente: «C’è un tavolo aperto con le parti sociali e quella è la sede opportuna per parlarne». Una posizione che rivendica un certo grado di autonomia dalla politica.
Il secondo motivo invece ha a che fare meno con la comunicazione e più con la trattativa in corso. Lo stop della Cgil è fondamentalmente tattico: siccome vuole portare a casa quanto più possibile nell’accordo finale, la Camusso ha deciso di calcare la mano su quanto la sua confederazione non può accettare (soprattutto il nuovo articolo 18 sul modello tedesco) rispetto alle cose che vanno bene. Del resto è la stessa tattica che stanno portando avanti le imprese. Ieri sera Abi, Alleanza delle cooperative, Ania, Confindustria, Rete imprese Italia hanno fatto sapere che nella bozza d’accordo finora sul tavolo ci sono diversi punti critici: la riduzione delle forme contrattuali, l’aumento dei costi per i contratti a tempo determinato, l’aggravio dei costi per le aziende derivante dal nuovo sistema di ammortizzatori sociali.
Guarda caso, proprio quelle cose che non dispiacciono alla Cgil e gli altri sindacati. In altri termini la trattativa è ancora in corso, e ogni parte spinge per incassare quanto più possibile. Il terzo motivo infine è tutto interno alla confederazione. Nella lunga riunione (otto ore) della segreteria allargata di giovedì, la Camusso ha ribadito ai suoi che firme separate o intese siglate solo in parte non ce ne saranno. O si firma tutti e tutto, oppure niente.
Del resto di fronte a un governo molto forte nei consensi, nonostante i provvedimenti impopolari presi finora, la Cgil non si può permettere il lusso di sfilarsi e diventare marginale – è il ragionamento fatto dal capo di corso d’Italia. Quindi si starà al tavolo fino alla fine, cercando di strappare il massimo. Una posizione che ovviamente ha mandato su tutte le furie il segretario della Fiom, Maurizio Landini, che durante la riunione si è scagliato contro, dicendo che non ha nessun mandato a negoziare sull’articolo 18.
Ma se l’opposizione dei metalmeccanici era da mettere in conto, la Camusso ha dovuto fare i conti anche con i rilievi “tecnici” di alcune aree della sua maggioranza. Ad esempio, in diversi hanno fatto notare i rischi di una modifica della norma sui licenziamenti: col modello tedesco ci sarebbe il rischio che l’imprenditore potrebbe far passare per economico un licenziamento per altri motivi o la possibilità che sia il lavoratore a dover provare la sua correttezza sul lavoro e non viceversa come avviene oggi.
Queste perplessità, secondo fonti sindacali, sarebbero state sollevate da Carla Cantone (capo dei pensionati), Mimmo Pantaleo (scuola) e Donata Canta (Cgil di Torino). Mentre Franco Martini della Filcams ha fatto presente i contraccolpi per le piccole imprese dei nuovi ammortizzatori. Insomma, la Camusso ha ancora da trattare al tavolo per poter firmare un documento presentabile ai suoi.
da Europa Quotidiano 17.03.12
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