Il governo ha deciso: Arcus deve chiudere. Dai fondi per la sorella di Ghedini allo scambio di favori tra Lunardi e Propaganda fide. Secondo Passera la società ha perso credibilità con una serie di operazioni poco chiare. Il governo ha deciso: Arcus spa va chiuso. Il ministro Corrado Passera è pronto a portare la questione al prossimo Consiglio dei ministri. L´esperienza di una società per azioni in seno ai Beni culturali finanziata dal ministero delle Infrastrutture è da considerare conclusa.
I motivi sono tre. Per ragioni di risparmio e razionalizzazione, gli uffici di Passera hanno stilato un elenco di società pubbliche o a controllo pubblico da cancellare: hanno mostrato problemi strutturali di bilancio oppure hanno esaurito la loro missione. Arcus rientra in questa seconda casella. Il problema è che la società per lo sviluppo dell´arte, la cultura e lo spettacolo, che pure ha recentemente sostenuto campagne culturali altrimenti dimenticate (il restauro della Galleria sabauda di Torino, per esempio, la riapertura al pubblico della Galleria nazionale di arte moderna di Roma e il completamento del museo Maxxi, sempre a Roma), negli anni dei governi Berlusconi ha prodotto una serie di finanziamenti “marchetta” che ne ha compromesso la credibilità. Strettamente controllata da Gianni Letta, Arcus ha portato soldi alle cyber-opere, lirica e videogame, di Maurizio Squillante figlio del giudice Renato e ancora alla ricerca archeologica della sorella dell´avvocato Ghedini, lei insediata all´università di Padova, ateneo a sua volta al centro della generosità di Arcus. In questa necessità di compiacere i ministri controllanti – dal 2004 al 2012 la società ha sposato oltre 500 progetti culturali per una spesa di 600 milioni – i dirigenti di Arcus hanno compiuto l´errore di finanziare in due tranche da cinque milioni totali la ristrutturazione del palazzo borrominiano di Propaganda Fide, in piazza di Spagna, a Roma. Per quella vicenda, e dopo un´intervista di Repubblica con l´ex ministro delle Infrastrutture Pietro Lunardi, si comprese che la spa pubblica era stata usata come luogo di scambio tra il cardinale Crescenzio Sepe e l´ex ministro, che, elargiti i 5 milioni, avrebbe poi ottenuto da Propaganda Fide un palazzo a tre piani nel centro di Roma. A prezzo scontato. Entrambi, monsignor Sepe e l´ex ministro Lunardi, sono a processo a Perugia mentre Arcus per quel finanziamento è in attesa del giudizio della Corte dei Conti (che ha mostrato forti perplessità sugli interi otto anni di attività della struttura).
Il ministro dei Beni culturali, Lorenzo Ornaghi, ha provato a difendere la spa. In Parlamento ha recentemente parlato di realtà da modificare, ma lo scorso venti febbraio ha ricevuto in ufficio la visita del collega Passera che, ancor prima di sedersi, gli ha detto: «Lorenzo, devo comunicarti due cose, sulle quali ti prego di non fare resistenza». Una delle due era la fine della società della cultura. Soltanto ieri, incalzato alla presentazione delle giornate del Fai, Ornaghi ha dovuto ammettere: «Il governo ha avviato una riflessione su Arcus, partita dal ministero delle Infrastrutture, e non esclude un eventuale intervento. Valuteremo se la società è ancora funzionale».
Il terzo e ultimo motivo che giustifica la chiusura di una realtà comunque in attivo è il rancore maturato dal suo fondatore, Mario Ciaccia. L´attuale viceministro di Passera è stato il primo presidente, per volontà di Giuliano Urbani, di Arcus spa, ne ha pensato lo statuto e stilato le finalità e mai ha accettato la defenestrazione voluta da Rocco Buttiglione. È stato Ciaccia, oggi, a spingere per la chiusura. Ora è importante capire quale sarà il destino dei quindici dipendenti e soprattutto che farà il ministero delle Infrastrutture dei 200 milioni che ogni anno girava ad Arcus. Il governo assicura che non saranno distolti dal campo culturale, solo meglio gestiti e utilizzati su poche e importanti opere. Di quei 200 milioni, però, solo trenta erano cash, il resto erano autorizzazioni ad accendere mutui. Cosa possibile per una struttura privata come Arcus spa e impossibile, per legge, per il ministero dei Beni culturali.
La Repubblica 14.03.12
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“NON SONO D’ACCORDO SULLA MORTE DI ARCUS” di Vittorio Emiliani
Pare che l’ultima «scoperta» del ministro per i Beni culturali, Lorenzo Ornaghi, sia che le Soprintendenze riescono a spendere poco e che ci sono consistenti giacenze. Scoperta dell’acqua calda. Invece che dare più poteri ai Soprintendenti, il duo Berlusconi-Bondi pensò di risolvere il problema con tanti commissari svincolati dal rispetto di norme e procedure: i risultati sono noti, a cominciare da Pompei dove il commissario
ha speso velocemente, ma in cose futili o sbagliate. Cosa vorrà fare Ornaghi assistito dal sottosegretario Cecchi (che partecipò
ai fasti commissariali)? Egli tace: sulla degradazione continua di Roma, sulla morte degli archivi e del paesaggio, su tutto. Se pensa, smaltendo i residui passivi, di ridurre il flusso dei fondi ordinari verso i settori strategici, prepara al suo Ministero il funerale. A cui concorrerà la cancellazione di Arcus Spa voluta
dal ministro delle Infrastrutture Corrado Passera e dal suo vice Mario Ciaccia presidente non memorabile di Arcus stessa. Spariscono, è vero, i suoi impieghi clientelari, cioè perversi, dei milioni arrivati da una percentuale sugli appalti delle grandi opere, ma pure i suoi impieghi virtuosi in restauri, archivi, biblioteche, musei. Per intanto, col decreto legge n. 98/2011, il ministro Passera (silente il collega Ornaghi) ha tranciato di netto i fondi previsti dalla legge istitutiva: l’art. 32 assegna
ad Arcus fino al 3 % del solo Fondo per le infrastrutture ferroviarie e stradali, e poiché questo consta, al massimo, di 1 miliardo l’anno, Arcus potrà ricevere, al più, 30 milioni, contro gli 80, 100 e anche più di prima. A fine 2009 «risultavano già
deliberati, contrattualizzati e monitorati complessivamente 370 progetti per un valore di 260 milioni» (fra buoni e cattivi, s’intende).
Taglio colossale, dunque, e morte per asfissia di Arcus. A danno dei derelitti Beni culturali e paesaggistici. «Arcus? Se funziona, si tiene, se non funziona, si sopprime», ha detto in sostanza ieri Ornaghi al Fai riecheggiando il miglior Lapalisse.
Un anno fa il Consiglio Superiore dei Beni culturali aveva chiesto, con mozione, che i programmi annuali di Arcus, mai controllati da nessuno, passassero al suo vaglio e che, per parecchi anni, molti di quei fondi andassero alla ricostruzione (presso che ferma) dei centri storici aquilani. Fra l’altro c’è un «pregresso» Arcus sui 200 milioni. Ora però la ghigliottina delle Infrastrutture cala su quei denari preziosi e Ornaghi, invece di tenersi stretti i pochi baiocchi, canta le lodi dell’apertura ai privati: a questi finirà la «polpa» dei beni culturali redditizi, allo Stato e ai Comuni l’“osso” di quelli non redditizi, coi pochi spiccioli residui. Ma non era la proposta, esplicita almeno, di Giuliano Urbani una decina di anni fa?
L’Unità 14.03.12