Tra nuove emergenze e complessità più elevate. Le disposizione della L. 111 del luglio scorso, che generalizza il modello degli istituti comprensivi, fissa, com’è noto, nuovi parametri per il dimensionamento degli stessi, portando lo standard a 1000 allievi. D’altra parte, le esperienze delle reggenze degli ultimi anni (che hanno interessato gran parte delle nostre scuole, con aggregazioni di istituti diversi e per un numero complessivo di studenti parecchio superiore ai 500-900 previsti dalle disposizioni per l’autonomia), prefigurano situazioni generalizzate di un modello scolastico con numeri molto oltre la soglia massima indicata.
Queste sono, al riguardo, le disposizioni e le linee di tendenza con le quali dobbiamo fare i conti.
Tra l’altro, gli interrogativi, come si sa, non riguardano tanto il numero degli allievi, quanto il livello di complessità collegato, nella scuola di base, alle verticalizzazioni e al numero dei plessi coinvolti, e, negli istituti del secondo ciclo, alla presenza di indirizzi afferenti a settori diversi e al numero di scuole aggregate.
In ogni caso, i problemi si moltiplicheranno e richiederanno di fare i conti con un modello organizzativo che non può essere più uguale a quello di adesso, anche perché nuove emergenze e nuove questioni sono all’ordine del giorno. E che si aggiungono alle difficoltà organizzative e didattiche derivanti da problemi che ci trasciniamo da qualche decennio (tra tutte, il fatto di una scuola diventata di massa che funziona ancora con un modello per molti versi gentiliano.
Il quadro si fa ancora più complesso ove si considerino le nuove consapevolezze, urgenze e attese maturate in questi anni.
Mi riferisco all’affermazione, sempre più evidente dei principi di trasparenza, responsabilità, rendicontazione e controllo e della necessità di una nuova idea di governance interna; ma anche all’esigenza, di una offerta formativa territoriale coordinata, integrata e partecipata.
Ma preoccupa anche – e forse soprattutto – il fatto che la scuola è sempre meno fattore di uguaglianza, di emancipazione e di mobilità sociale, anche a motivo di una formazione degli studenti sempre più povera e inadeguata.
È da questo insieme di trasformazioni, problemi, aspettative che nasce il bisogno e la necessità di ripensare l’identikit del dirigente scolastico (ds) come figura chiave e soggetto motore delle necessarie innovazioni.
Nessuno può ovviamente illudersi che questo ripensamento del profilo possa nascere da impeto missionario o disponibilità soggettiva e buona volontà.
Ciò premesso, si tratta di capire qual è la parte che il mondo della scuola può giocare su quest’insieme di questioni e, per quanto riguarda la funzione dirigente in questa fase, quali sono le linee di riflessione per un aggiornamento del profilo ds.
Dirigente di una istituzione della Repubblica
A quest’ultimo proposito, penso che, mai come in questo momento, l’offuscarsi delle ragioni sociali della scuola facciano emergere un primo tratto volto a caratterizzare il lavoro e l’impegno del ds: quello cioè di dirigente di una istituzione della Repubblica, che assuma a riferimento un’idea di scuola come strumento e presidio di uguaglianza delle opportunità e di equità sui temi dell’istruzione e della formazione.
E quindi figura di snodo tra le esigenze e i bisogni del territorio, che egli condivide e rappresenta, e il disegno di una scuola e di una società coerenti con la “visione” della nostra Costituzione.
In quest’ottica dovrebbe essere riletto l’autonomo compito della “gestione unitaria” dell’Istituto (D.Lvo 165, art. 25) che il ds è tenuto ad assicurare.
Per evidenziare come, attraverso di esso, si debba tendere sia a contrastare, a tutti i livelli – ma non in modo isolato – la mala scuola che si alimenta di disfunzioni e di prestazioni professionali insoddisfacenti; sia a valorizzare / promuovere, contestualmente, professionalità competenti e motivate.
Quello che qui, della funzione ds, si vuole riportare in primo piano è il suo intreccio con la ragione sociale del fare scuola e quindi la specifica attenzione, che ne dovrebbe derivare, a ridare centralità alla scuola come luogo di apprendimenti e relazioni sensate.
È questo, penso, un secondo tratto da enfatizzare nella ricerca di un nuovo “corso” per la funzione ds.
Il problema qui è come fare, dal momento che le “distrazioni” e le emergenze sono diventate le costanti di questa professione.
Per una leadership inclusiva “centrata sull’apprendimento”
La soluzione del problema non penso comunque che vada ricercata in nuovi improbabili “poteri” per il DS.
C’è in primo luogo un sistema complessivo da resettare.
Ma una attenzione non occasionale o improvvisata alle tematiche organizzative – ancorate ad una idea di scuola più moderna e partecipata e a forme di governo interno e di responsabilità più precise e meglio distribuite – può forse aiutare a ridare senso e smalto ad una attività sempre più difficile e complicata.
Tra queste tematiche, la più interessante e promettente mi sembra quella di una leadership da ripensare in termini di più coerente funzionalità ai temi della complessità.
Stimolanti suggerimenti al riguardo vengono, come è noto, dalla ricerca internazionale.
Tra le elaborazioni più recenti, quella più degna di attenzione mi sembra la teoria della “Leadership (L.) centrata sull’apprendimento” che si caratterizza per alcuni aspetti in parte nuovi.
Il primo è che, rispetto alla teoria ora prevalente di” leadership” (detta, “trasformazionale”: ma io non ne ho colpa), che pone l’accento sulla costruzione della ‘visione’ e sulla capacità di favorire l’impegno delle persone), la “L. centrata sull’apprendimento” non ruota più sul leader carismatico.
In altri termini, la L. “non è concepita come un tratto della personalità di un individuo”[1] e poggia soprattutto sulla condivisione del governo interno all’organizzazione. Si tratta pertanto di una leadership distribuita, e quindi plurale e inclusiva, ‘centrata’ sulle questioni dell’apprendere per formarsi e “crescere”.
Secondo aspetto: la centratura sull’apprendimento, riguarda, allo stesso modo e contestualmente, gli alunni, gli adulti (ds, insegnanti) e la scuola tutta, vista come learning organizzation.
DS come promotore di leadership condivisa
Messa in questi termini, la L. non è questione o tema che interessa quindi esclusivamente la Dirigenza scolastica (e le associazioni o organizzazioni di riferimento). Essa riguarda – dovrebbe riguardare – anche il mondo dei docenti (e quindi le loro associazioni professionali e organizzazioni sindacali) e la scuola in generale.
E ciò anche a motivo delle possibili relazioni con la ricerca di nuove e più efficaci forme di governo interno (e quindi con la riforma degli OOCC).
In questa visione, è comunque proprio del capo di istituto sviluppare prioritariamente capacità di leadership, imparando – attraverso percorsi di decisioni meditate, azioni e riflessione –
· a distribuire o disseminare le responsabilità
· a rafforzare professionalmente gli altri, perché facciano del loro meglio
· a tenere l’apprendimento al centro di tutte le attività.
Potrebbe essere questo il terzo tratto di una Dirigenza Sscolastica impegnata a garantire una qualità organizzativa più coinvolgente ed efficace.
Molti a questo punto sono gli interrogativi che vengono fuori.
Consideriamo quelli di più evidente problematicità.
Quello più immediato riguarda la fattibilità di un’idea di questo tipo nella situazione data.
Un secondo, non meno impegnativo, riguarda il rapporto di questa forma di L., con gli autonomi poteri del ds, di cui all’art. 25 del D.Lvo 165, che corrono il rischio di essere messi in discussione.
Il DS tra leadership e compiti di direzione
Senza dubbio, su quest’ultimo interrogativo ci vorrebbero analisi e approfondimenti ad hoc e una cultura giuridica più attrezzata di quella di chi scrive, per capirne possibilità, rischi, eventuali vie d’uscita.
Comunque, quella di raccordi sensati tra – da una parte – compiti di direzione e responsabilità prefigurate nella normativa vigente e – dall’altra – forme di L. come quella prospettata, è una ipotesi di lavoro che, opportunamente circoscritta, potrebbe essere tentata sperimentalmente con buone probabilità di riuscita. Anche perché non partiamo da zero.
Condizione prima però è che direzione e gestione siano vissute dal DS con il giusto equilibro e la necessaria autorevolezza che da sempre poggiano – anche se non in toto – su preparazione e competenza.
E’ con riferimento a questa idea di L. che un quarto tratto di un più caratterizzato profilo ds potrebbe essere individuato in un ‘agire professionale volto a ricercare un equilibrio tra due dimensioni tra loro apparentemente divaricate’: direzione, attraverso poteri autonomi, e leadership distribuita, “centrata sull’apprendimento”.
Gli autonomi ed esclusivi compiti – rispetto all’adeguatezza del servizio, alle sue priorità (equità e livelli essenziali di prestazione e di comptetenze) e ai suoi risultati – vanno visti, in questa ottica, come l’altra faccia della L. di cui il ds è soggetto motore.
Anche sulle condizioni di fattibilità andrebbero condotti approfondimenti e prodotte sperimentazioni. Si tratta comunque di una sfida. Che può forse valere la pena di prendere in considerazione.
Se questa può essere l’ottica, allora la domanda diventa: come dare gambe a questa visione della L. , nonostante siano ancora aperte questioni cruciali, come la progressione di carriera dei docenti e un riconoscimento formale delle figure di funzionamento e di presidio.
Per una risposta positiva, i ragionamenti dovrebbero prendere in considerazione le esperienze più avanzate di utilizzo sia delle Funzioni Strumentali, viste come figure di presidio di aree strategiche degli istituti, che delle figure di coordinamento e di collaborazione gestionale (i due collaboratori, il DSGA).
E dovrebbero – i ragionamenti – considerare altresì le strategie del ds volte a socializzare e condividere una visione comune di L. e interrogarsi sulla consistenza quantitativa e qualitativa del team coinvolto.
Ritengo infatti che se la L. non ha la consistenza di una “massa critica” – capace cioè di incidere in modo efficace e duraturo – il senso dell’operazione approderebbe a poco e comunque produrrebbe cambiamenti apparenti.
Ma condizioni importanti per una utile sperimentazione al riguardo dovrebbero essere considerate anche, ovviamente,
– L’uso prioritario del fondo di istituto – e di altre eventuali risorse ad hoc – per riconoscere l’impegno e i risultati di quanti sono impegnati nella leadeship di istituto
– La rendicontazione su azioni e risultati della L..
L’”esserci” come presupposto
Il riferimento infine alle questioni del dimensionamento – e al suo elevamento – da cui siamo partiti, ci rende inoltre avverti del fatto che numeri troppo elevati e una complessità di difficile governo – per numero di plessi e pluralità di sedi – possono realisticamente essere di ostacolo ad una leadership efficace.
Se non altro perchè una leadership come quella prima configurata, per dare frutti, necessita di un dirigente ‘che ci sia’, e come presenza fisica e come ascolto attivo e intelligenza vigile: tratto questo, quello dell’”esserci”, preliminare, penso, di un profilo ds funzionale ad una scuola che punti sul miglioramento continuo.
Perciò i numeri contano. E se la soglia si sposta troppo in là (per esempio, oltre i 1200-1300 alunni e preveda più di 3 sedi lontane tra di loro), il rischio vero è che risulti alla fine molto difficile che i tratti richiamati come importanti in un nuovo profilo ds possano considerarsi credibili. A meno che non pensiano al ds come a un superman.
E forse qualche collega ci pensa e si sente. Ma non credo siano tanti[2].
[1] V. Peter Earley, “Lo sviluppo di leader con capacità di leadership in ambito educativo e centrati sull’apprendimento”, in Leadership educativa e autonomia scolastica (a cura di G. Domenici – G. Moretti)), Armando editore, 2011
[2] L’intervento è tratto dall’articolo: Il profilo del Dirigente Scolastico tra emergenze e nuove
complessità, in fase di pubblicazione in “Rivista dell’istruzione”, n. 2, marzo-aprile 2012,
Maggioli, Rimini (RN).,
da ScuolaOggi 14.03.12