Insieme a Roma per presentare il libro di Federico Rampini, Bersani e Vendola sembrano ormai d’accordo nell’archiviare la «foto di Vasto» e nell’immaginare il centrosinistra del dopo Monti senza chiusure ai moderati. E se fossero Pier Luigi Bersani e Nichi Vendola ad archiviare la foto di Vasto? La notizia non è tanto nell’arrivo di una nuova istantanea limitata al leader del Pd e a quello di Sel, che ieri hanno presentato insieme a Roma il libro di Federico Rampini “Alla mia sinistra”.
Il fatto è che i due si stanno vedendo riservatamente con una frequenza che non ha precedenti. Argomento degli incontri, compreso quello della scorsa settimana, non tanto le amministrative di maggio ma le prossime politiche e la necessità di lavorare con un’altra intensità alla definizione di un’alleanza di centrosinistra in grado poi di aprire a forze moderate e di centro. Insomma, la famosa coalizione di progressisti e moderati a cui punta Bersani, il quale da Vendola avrebbe ricevuto la disponibilità a stringere i tempi sul confronto programmatico e l’impegno a non porre veti nei confronti di Pier Ferdinando Casini.
ALFANO IRRESPONSABILE
L’accelerazione non risponde tanto alle ultime mosse del Pdl e al rischio che si vada alle urne in tempi ravvicinati. Bersani ha sì visto che «Alfano solleva molti temi polemici come se fossimo in campagna elettorale».
Ma sebbene denunci che «è da irresponsabili accendere dei fuochi in un momento in cui bisogna comunque mandare avanti il governo», non reputa possibile che qualcuno si assuma la responsabilità di far cadere Monti. Che il presidente del Consiglio abbia convocato per giovedì a Palazzo Chigi i leader di Pd, Pdl e Udc, per un incontro in cui si dovrebbe discutere anche di giustizia e Rai, è per Bersani un buon segnale. Ma ce ne sono altri di segno opposto. Come il fatto che il Pdl, nel momento in cui si è aperta la discussione su una nuova legge elettorale, ha rilanciato con le riforme istituzionali, mettendo tanto materiale davanti alla riforma del Porcellum: «Se dovesse restare questa legge io non accetterò di nominare i parlamentari e il Pd farà primarie di collegio», assicura Bersani. Un’idea che piace anche al leader di Sel.
L’incontro pubblico di ieri al Tempio di Adriano si spiega meglio, alla luce degli ultimi incontri tra Bersani e Vendola. La presentazione del libro di Rampini che parte dall’illusione del liberismo progressista in voga nel decennio scorso e termina sulla necessità di recuperare gli ideali tradizionali della sinistra è l’occasione per mostrare una sintonia tra il leader del Pd e quello di Sel, che può reggere anche di fronte al diverso atteggiamento che i due partiti hanno nei confronti del governo. Sull’articolo 18 concordano che è possibile solo una “manutenzione” riguardante i tempi delle cause processuali, sull’Europa sono entrambi critici col trattato riguardante la disciplina di bilancio (il cosiddetto Fiscal compact) e sottolineano invece la necessità di investimenti e politiche per la crescita, sulla crisi italiana concordano che il pericolo viene non tanto dai dati della finanza (lo spread) quanto da quelli dell’economia, a cominciare dalla perdita di diversi punti percentuali nella produzione industriale. Vendola promette che nei prossimi mesi «non farà sconti» a Monti, ma assicura anche che questo non determinerà «un elemento di crisi nei rapporti col Pd, che ha fatto una scelta dettata dalla generosità». Dice il leader di Sel: «Noi siamo divisi in questa stagione ma speriamo che la stagione sia breve». Perché poi si concretizzerà la foto di Vasto? No: «Quella non può essere la foto dell’alternativa. Era solo la foto dell’incontro tra tre leader di partito che sono peraltro tutti maschi. E non c’è alternativa se non mettiamo in discussione il maschilismo».
L’AGENDA
Bersani e Vendola concordano anche sul fatto che si debba iniziare a lavorare con un ritmo più accelerato alla definizione di un’agenda del centrosinistra. Il primo parla della necessità di una «scossa civica», di una «politica economica di crescita sostenibile», di un’azione di «redistribuzione».
Il leader del Pd chiede però anche patti chiari ai futuri alleati: «Se diciamo centrosinistra di governo, dobbiamo fare un patto esigibile che comprenda il programma, ma anche dei vincoli reciproci di governabilità, di stabilità del sostegno parlamentare. Se abbiamo un dissenso su un punto, si vota in assemblea congiunta dei gruppi e quel che viene deciso si fa». Vendola è d’accordo, ed esplicita anche che da lui non verrà nessun veto nei confronti di Casini: «Discutiamo nel merito dell’agenda, non dividiamoci prima sulle biografie».
l’Unità 13.03.12
******
«Alleanza larga e patti chiari per tutti. Di Pietro si decida», di Maria Zegarelli
«Il nostro programma non potrà non partire dalla crisi economica e sociale. Impensabile allearsi e poi fare un referendum su ogni scelta». Sarebbe un errore imperdonabile per il Partito democratico chiudersi in un recinto troppo stretto», dice Andrea Orlando, responsabile Forum Giustizia, mentre lascia Napoli (in qualità di commissario Pd è stato ascoltato dalla procura come persona informata sui fatti dai magistrati che indagano sulle primarie) per raggiungere Ventimiglia.
Orlando, per il Pd le “praterie” sono a sinistra, come ha detto Dario Franceschini all’Unità, o al centro?
«Il Pd deve guardare sia a sinistra sia al centro».
Detta così sembra facile, ma nel suo partito non tutti la pensano allo stesso modo.
«Io starei molto attento a delimitare confini troppo stretti. Noi dobbiamo dialogare con tutte le forze che hanno dichiarato di voler far parte del centrosinistra, ovviamente con paletti precisi, sulla base di un programma di governo che sia chiaro, percepibile. Non si può pensare di allearsi e poi andare al referendum ogni volta che si devono prendere decisioni. Il programma di governo non potrà non occuparsi dei temi che sta mettendo in primo piano questa crisi e che riguardano le fasce più deboli ed esposte della società, dalla questione economico-sociale a quella occupazionale. Si tratta di temi su cui dobbiamo confrontarci con le forze che stanno a sinistra e tutti insieme dobbiamo avere una capacità di critica sul modello di sviluppo che immaginiamo per il Paese. Ma devo aggiungere che alla nostra sinistra io vedo soltanto una forza, Sel».
L’Idv dove la colloca?
«Sicuramente non a sinistra, ho difficoltà a farlo. L’Idv ha caratteristiche parzialmente diverse. Non dico che dobbiamo chiudere al dialogo ma non posso nascondere le distanze che ci sono con una forza che prima vota la fiducia al governo Monti e poi si pone all’opposizione, sempre, e molto spesso sembra opporsi più al Pd che al governo. I prossimi mesi saranno cruciali per dimostrarsi come forze di governo. Ogni giorno in cui l’Idv privilegia l’idea di lucrare qualche voto, smarcandosi dal Pd e non assumendosi la responsabilità di prendere decisioni per il bene del Paese, rende difficile la costruzione di un’alleanza. Non si può pensare di attaccare il Pd e poi sedersi intorno ad un tavolo in vista delle elezioni».
Vendola ha detto che la foto di Vasto non può essere la foto dell’alternativa. Era la foto di tre leader.
«Quella foto è un nucleo di partenza, che resta. Tuttavia si deve lavorare per allargare la panoramica, aprendo alle forze della società e caratterizzarla come proposta di governo. Penso che sia interesse di tutti costruire un’alleanza tra progressisti e moderati rendendola credibile per guidare il prossimo governo».
Eppure c’è chi, anche nel suo partito, accarezza l’idea di un Monti Bis. «Uno dei leit motiv di questi ultimi tempi è che dopo Monti nulla sarà più come prima. È vero, non ci sarà più la contrapposizione tra berlusconismo e antiberlusconismo, in questo senso non sarà più come prima. Si tornerà a parlare dei problemi del Paese e non di una persona, ci si confronterà sul merito delle proposte rispetto alla crisi. Sono cambiate molte cose, si è tornati ad una sobrietà di cui non c’era più traccia, ma detto questo, pur augurando a Monti tutto il successo possibile, non si può pensare che dopo il governo dei tecnici si possa prescindere dal bipolarismo europeo. Le forze politiche dovranno pronunciarsi sul ruolo dell’Europa, sulle politiche economiche, sulla crescita, rimettendo in circolo una sana competizione, come accade nel resto d’Europa, tra forze conservatrici e forze progressiste. E oltre a questo discrimine ce ne sarà un altro in entrambi gli schieramenti: nel centro sinistra tra una proposta riformista e populismi regressivi. È bene per questo che ognuno dica da che parte sta».
In realtà già adesso i toni sono da campagna elettorale. Alfano cerca di distinguersi da Pd e Terzo Polo e punta i piedi su temi non da poco come per esempio la giustizia e l’informazione.
«Io non penso si tratti soltanto dell’inizio della campagna elettorale. Credo che ci sia anche il rapporto con il governo, per come questo esecutivo sta rimettendo al centro dell’azione politica il bene del Paese, pur non senza qualche contraddizione. Il Pdl è stato e resta un partito diviso tra l’aspirazione di essere un partito liberale di massa e contemporaneamente un partito a tutela degli interessi del suo fondatore e questo governo sta facendo esplodere questa contraddizione».
Orlando, forse neanche il Pd è riuscito a risolvere le proprie. Dopo due anni dalle primarie continuate a discutere della leadership alle prossime elezioni.
«Il Pd ha dimostrato sin dalla sua nascita una certa propensione a complicarsi la vita, ma credo che un leader legittimato da tre milioni di persone sia un punto di forza di partenza sia per noi sia per la coalizione».
L’Unità 13.03.12