Nella “proposta” di revisione costituzionale che ha visto, per ora, concordare i maggiori partiti, le cose giuste sono forse più di quelle sbagliate. Eppure questa rilevanza positiva non basta a farne un buon progetto. Perché? Per due ragioni.
La prima è che ogni innovazione positiva contenuta nella bozza, ha come un freno dentro che le impedisce di completarsi. Certo, si capisce che nell´attuale situazione di assideramento parlamentare, certe cose non si possono neppure tentare. Ma la proiezione nel futuro, l´indicazione di una linea evolutiva non potrebbero essere rifiutate neppure dal più conservatore dei deputati o senatori.
Nel concreto: va bene la riduzione del numero totale dei membri delle Camere. Ma siamo sicuri che abbia una sua logica un taglio così semplicemente lineare? O questo non sarebbe più comprensibile, se legato ad un´idea di equilibrio istituzionale: già, fin d´ora, connesso ad un progetto di Camera territoriale, eletta con una cifra magari minore (come in Germania e perfino in Usa) ma con un riferimento significativo a forme di rappresentanza politica locale?
E ancora su questo punto. Benissimo che finalmente (dopo 11 anni) si sia riconosciuta la necessità di attuare l´inserimento in Parlamento di una rappresentanza delle autonomie territoriali, attraverso una Commissione mista con i Senatori. Ma, anche qui: perché non ribadire, sia pure in disposizione transitoria, che questa inserzione è solo un prologo valevole “sino alla revisione delle norme” sul Parlamento (come è scritto nella legge costituzionale che nel 2011 delineò quella Commissione)?
E leggendo oltre: possibile che per la futura configurazione delle Camere, nessuno se la sia sentita di confessare che la cosiddetta “circoscrizione Estero” si è rivelata un clamoroso abbaglio giuridico, fonte di imbrogli e divisioni a danno dei nostri concittadini che vivono fuori dai confini nazionali? E che il loro sacrosanto diritto a partecipare alle elezioni dovrebbe invece essere garantito nei modi più ragionevoli ed efficaci in uso presso molti altri Paesi (la Spagna, con la sua cittadinanza sparsa largamente in America Latina, è il primo degli esempi che vengono in mente)?
Così proseguendo: è senz´altro da approvare la “sfiducia costruttiva”. Chi fa cadere un governo ha il dovere di indicare la persona che possa concretamente ricostruirlo. Ed è logico anche che questo tipo di sfiducia – che è nello stesso tempo “fiducia ad un altro” – sia approvata con una maggioranza assoluta, non casuale quindi. Ma perché non prevedere che questo effetto fiduciario possa propagarsi anche all´altra Camera, evitando pericolose ripetizioni? Sarebbe una maniera per intaccare, in un sensibilissimo punto, il tabù di un bicameralismo che, nella “proposta”, rimane invece (quasi) perfetto. D´altra parte, un effetto sostanzialmente simile vi è previsto quando sia invece il governo a prendere l´iniziativa della resa dei conti con le Camere e a porre la questione di fiducia. Una conseguenza coerente con una investitura parlamentare che non va più al governo nel suo complesso ma alla “persona politica” del Presidente del Consiglio (che ha esplicito potere di revoca dei ministri).
Questa dunque la ragione per cui, con tanti interrogativi aperti, sono attenuate le note positive della “proposta”. Ma vi è una seconda ragione per cui il progetto risulta sostanzialmente stonato.
Esso è infatti singolarmente estraneo alla storia politica e istituzionale degli ultimi anni. Certo, siamo in periodo di tregua da conservare: senza cercare abiure né rivincite, ma solo guardando al futuro. Tuttavia non si possono neppure dimenticare le tensioni alle quali sono stati oggettivamente sottoposti appena ieri quasi tutti gli ordinari meccanismi di sicurezza democratica. Solo difese eccezionali hanno contenuto, con il sostegno della pubblica opinione, attacchi ugualmente eccezionali. Con le deformazioni che un po´ tutti lamentano.
Non si può far finta che non sia successo nulla. Il passato prossimo, con i suoi eccessi di potere personale, ha avuto almeno il merito di fare chiarezza sulla debolezza di difese che siano basate soltanto sulla opposizione politico-parlamentare e non rinforzate da meccanismi istituzionali.
Nella “proposta” questo riequilibrio non è neppure accennato. Anzi: si intacca quello che è stato il principale antemurale contro le esondazioni del potere di governo: cioè l´istituto della Presidenza della Repubblica. E lo si vulnera proprio nel suo potere più delicato: quello di scioglimento (o di non-scioglimento) delle Camere nelle crisi politiche.
Si prevede infatti che questa “facoltà” costituzionale possa essere, anche, sollecitata-condizionata dalla proposta del premier (a meno che questi non sia stoppato dalle Camere stesse: con una mozione di autosalvataggio che chiami un altro al posto suo). Naturalmente, non è questa costruzione così complicata che preoccupa. Essa si può sempre semplificare. Quel che stupisce è che di tutta l´affannosa storia degli ultimi anni, la conclusione che se ne trae è che l´unica cosa davvero mancata alla nostra Costituzione, per un magnifico andamento delle cose, sarebbe stata la possibilità per il premier di intromettersi nel potere di scioglimento del Capo dello Stato, intorbitandone la visione super partes.
Una conclusione un po´ paradossale. Anche perché nel testo proposto, non vi è traccia di possibile compensazione con alcune delle più comuni garanzie conosciute dagli ordinamenti statuali dell´Unione europea. Come quella – tanto per restare sulla Presidenza della Repubblica – della necessità di una speciale maggioranza parlamentare per la riapprovazione delle leggi “rinviate” dal Capo dello Stato per difetto di legittimità costituzionale. Né quella della possibilità, altrove indiscussa, per le minoranze parlamentari di ricorrere al tribunale costituzionale prima dell´entrata in vigore di una legge (specie ora che la bozza dà al governo il potere di imporre per i “suoi” testi una data fissa per la decisione parlamentare). E neppure si parla di una maggiore protezione dei regolamenti parlamentari contro colpi di maggioranza (sia pure assoluta). E si potrebbe continuare nella lista dei rimedi possibili per i rischi “emersi” per la Costituzione e per la democrazia. Un lavoro di bilanciamento che potrebbe essere consentito anche nelle attuali condizioni, di tempo e di clima.
Nella “proposta”, invece, silenzio. Come se dopo la Repubblica “dei partiti”, non ci fosse stata una Repubblica “populista” (non ancora estinta): che potrebbe tornare a rifiorire, velenosa, magari sotto altro segno. Possibilità che dovrebbe preoccupare quindi tutti, senza esclusione di parte.
Insomma, vanno benissimo e sono giustificati – non solo in questo momento – i compromessi costituzionali. Né vinti né vincitori. Ma la bilancia finale deve essere in parità oggettiva, nell´interesse generale. A più potere di governo, devono corrispondere più garanzie. Se no, non vale. Ecco perché quella bozza di “proposta” solleva per ora più dubbi che consensi.
La Repubblica 13.03.12