Si dice che le recenti tensioni tra Pdl e governo siano semplicemente la prova che la campagna elettorale per le amministrative è cominciata. Ma a giudicare dall`agitazione che caratterizza partiti vecchi e nuovi, e attorno a loro movimenti, giornali, leadership già affermate o in formazione, non pare una campagna destinata a chiudersi tra pochi mesi. Tanta agitazione e tanto fervore di iniziative non si giustificano, evidentemente, con il rinnovo di qualche consiglio comunale, per quanto importante.
Da questo vortice di legittime aspirazioni politiche e non celate ambizioni personali è bene che la Fiom sia tenuta al riparo. Se la battaglia contro la discriminazione degli operai iscritti alla Fiom negli stabilimenti Fiat è oscurata anche solo per un istante dagli insulti al segretario del Pd pronunciati dal palco della manifestazione di ieri, o dai fischi alla stessa Cgil, o dalle piccole rivalità tra gli esponenti del centrosinistra presenti al corteo, non ne viene un grande aiuto alla battaglia del sindacato.
Battaglia che è già abbastanza difficile.
Di fronte a un attacco di inedita asprezza e radicalità come quello guidato da Sergio Marchionne negli ultimi due anni, è comprensibile che Maurizio Landini si sia preoccupato anzitutto di evitare l`isolamento della sua organizzazione, anche nel dibattito pubblico, che in Italia è quello che è.
Da tempo tira una gran brutta aria, nel nostro Paese, per operai e sindacati. E non sono stati in molti a contrastare per tempo l`offensiva di Marchionne, nemmeno a sinistra.
Un`offensiva cominciata a Pomigliano e culminata nell`uscita di Fiat da Confindustria, con l`esplicito tentativo di imporre la linea della rottura all`intera imprenditoria italiana.
Le note stonate della manifestazione di ieri, ovviamente, non tolgono nulla all`importanza di questa battaglia, in cui il sindacato non può essere lasciato solo, per nessuna ragione. Ma sono la spia di un contesto politico e sociale in fermento, in cui si mescolano istanze diverse e contraddittorie, in una generale ansia di rinnovamento che rischia di tradire molto presto le sue promesse, proprio come vent`anni fa.
Lo dimostra il ritorno in campo di un vecchissimo armamentario di slogan e parole d`ordine contro la politica e contro i partiti che ha avuto grande fortuna all`inizio degli anni Novanta, con la crisi della Prima Repubblica. E lo dimostra anche l`incontenibile attivismo di tanti amministratori locali, già stanchi di un lavoro spesso appena cominciato, ma faticoso e prezioso come quello del sindaco o del presidente di Regione, e impegnatissimi a costruirsi il trampolino verso un impegno nazionale da protagonisti.
Da questo magma indistinto emerge quindi sui mezzi di comunicazione un paradossale miscuglio di sindaci-sceriffi e no tav, decisionismo e assemblearismo, sostenitori del mercato come unico argine alla corruzione dello Stato e sostenitori dello Stato come unico argine alla corruzione del mercato.
Venti anni fa, il più rapido e il più abile a cavalcare una simile onda, con tutte le sue contraddizioni, fu proprio il Cavaliere. Sarebbe bene, pertanto, evitare di ripetere gli stessi errori di allora. Non perché Silvio Berlusconi, ormai, rappresenti ancora una minaccia reale. Ma perché i berlusconiani sono molto più numerosi di quel che possa apparire a prima vista, e non stanno solamente nel Pdl.
L’Unità 10.03.12