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"TV e giustizia i tabù di Berlusconi", di Pietro Spataro

Come era prevedibile Berlusconi ha rotto l’incantesimo della presunta neutralità del governo dei tecnici e lo ha fatto sui due argomenti che gli stanno personalmente a cuore: le tv e la giustizia. In questo modo, il fantasma del conflitto di interessi continua a volteggiare sulla politica e guida ancora un Pdl solo nominalmente in mano ad Alfano ma di fatto proprietà privata del Cavaliere. C’è poco da fare, quando si tratta di discutere di temi che riguardano tutti ma che toccano rendite e privilegi di uno solo il centrodestra si trasforma in un inaccessibile castello dei ricatti incrociati. E se questo mette in forse persino la sopravvivenza del governo poco importa: che vada all’aria l’Italia pur di difendere l’«impero». Tv e giustizia sono i tabù del centrodestra. Non interessa se nell’agenda del vertice con Monti, fatto saltare da Alfano, ci fossero non solo ma anche quei due temi. Il Pdl non vuole assolutamente ridiscutere le leggi ad personam: né la Gasparri, né i vari lodi salva Berlusconi. E quindi, figurarsi la legge anticorruzione su cui sta lavorando il ministro Severino, con cui si interviene sull’allungamento dei termini della prescrizione di fronte all’emergenza delle nuove tangentopoli. Al contrario si difende la «strategia della vendetta» contro i giudici che ha avuto il suo apice con l’introduzione della norma sulla responsabilità civile. Sulle tv
l’assalto ha un doppio fronte: impedire alla Rai di liberarsi dal dominio della maggioranza Pdl-Lega e consentirle, con una nuova governance, di affrontare la competizione ad armi pari; contrastare l’asta sulle frequenze digitali al posto dello scandaloso beauty contest voluto da Berlusconi. Confalonieri l’ha detto nella forma più ruvida possibile: basta demagogia, o ci date le frequenze gratis oppure saremo costretti a licenziare.
Si tratta di inaccettabili ricatti che mettono un’ipoteca sull’esecutivo e che chiamano direttamente la responsabilità di Monti. Il quale questa volta non può cavarsela dicendo che questi problemi riguardano i rapporti tra i partiti. Si tratta invece, come è evidente, di questioni che toccano la capacità di governo del premier che anche su Rai, asta tv e anticorruzione si era assunto, personalmente e in modo pubblico, impegni concreti. Ora dovrà trovare il modo di risolvere il caso evitando accuratamente di sottostare a un diktat che snaturerebbe il profilo del governo provocando imprevedibili squilibri politici. Perché non si può dare l’impressione che quando si tratta di pensionati e lavoratori si procede con piglio qualche volta troppo deciso e quando in gioco sono gli interessi del più potente imprenditore italiano si usa il passo felpato. Non esistono, per qualsiasi governo, argomenti tabù: soprattutto se riguardano due capitoli decisivi della costituency di un Paese, quali sono la giustizia e l’informazione
È difficile prevedere quale effetto finale avrà la tempesta di ieri. Sicuramente si è aperto un vulnus che non lascia presagire molto di buono. Questa scossa suggerisce però qualche utile riflessione anche per il dopo Monti, un tema che ha riscaldato
il dibattito, pure dentro il Pd, nelle ultime settimane. Come si vede sul campo, destra e sinistra esistono non come luoghi geografici ma come intenzioni politiche e progetti di governo alternativi. La superiore neutralità della tecnica è una favola: la politica è fatta di scelte di campo, di distribuzione di pesi,
di visioni della società, di rapporti sociali. Per questo l’ipotesi di una «grande coalizione» dopo il voto del 2013 appare, ancor di più oggi, come un puro esercizio che non sembra avere alcun rapporto con la realtà del Paese. Tra un anno è doveroso che si torni alle normali regole del gioco: governa chi vince le elezioni. Il centrosinistra farebbe bene a impiegare il tempo che rimane non a rincorrere le nuvole di nuove improbabili soluzioni emergenziali, ma a discutere sul «che fare» per dare all’Italia, dopo il lavoro del governo Monti, una nuova occasione.

L’Unità 08.03.12