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"L’amaro 8 Marzo delle madri licenziate", di Gian Antonio Stella

«Iddio c’ispira rimettere il nostro atroce duolo nelle fibbra più intima del di Lei Buon Cuore, che far potesse muovere a pietà i Padroni che mandassero un po’ di lavoro, ci accontentiamo almeno di quel poco che si aveva ultimamente, ma del tutto lasciarci prive… Con poco si può fare qualcosa, ma niente, proprio niente ci toglie la forza della vita, che non si farebbe caso se si fosse sole… Ma i figli, l’innocenti da sfamare… Questo è il guaio, questo è il tormento nostro!»
Sono passati 84 anni da quando quattromila «impiraresse» inoltrarono quella straziante supplica al podestà di Venezia. È cambiato tutto, da allora. E quel mestiere che per secoli aveva dato da vivere malamente (a fine Ottocento guadagnavano un quinto della paga di un operaio) a migliaia di nonne, di madri, di figlie che passavano le giornate a infilare perle di Murano nelle collanine vendute in giro per il pianeta non esiste più. La prima pagina de «La nuova Venezia» dell’altro giorno, però, sembrava uscita da quel mondo antico di violenza, arretratezza, sfruttamento. Denunciava infatti che nella sola provincia di Venezia e nel solo 2011, stando ai dati della Camera del Lavoro Metropolitano, sono stati registrati 469 licenziamenti o «autolicenziamenti» di donne incinte o diventate madri. Un dato in flessione rispetto al 2009 (quando furono 539) e al 2010 (488), secondo la segretaria della Camera, Teresa Dal Borgo, «non tanto perché ci siano meno casi, ma perché con la crisi che avanza, ci sono meno donne che lavorano».
Lisa, che lavorava in una vetreria muranese, ha raccontato: «Un mese dopo avere comunicato che aspettavo un bambino mi dissero che mi avrebbero licenziata subito ma che potevo continuare a lavorare in nero finché me la sentivo. E così ho fatto, perché avevo bisogno di soldi. Non dico quanto ho pianto e quanto ho sofferto per quelle parole». «Si discute di pari opportunità, ma la pari opportunità non esiste — si è sfogata sul quotidiano Francesca Zaccariotto, presidente della Provincia —. Ho in mente tante donne che mi dicono che cercano occupazione e gli viene detto che non possono essere assunte perché sono in età feconda». Oppure, più avanti, no «perché sono troppo vecchie».
Il tutto alla vigilia dell’8 Marzo, festa della donna. Suggello a una situazione incancrenita che vede l’Italia in coda a tutti i Paesi europei per tassi di occupazione rispetto alla popolazione di età compresa fra i 15 e i 64 anni. Per non dire del tasso di occupazione delle donne tra i 25 e i 54 anni che sono madri: siamo al 63,9%, davanti solo a Malta, e sotto di 12 punti rispetto alla media europea, di 15 alla Germania, di 18 alla Francia dove ad esempio, come i lettori del Corriere sanno, sono italiane, giovani e mamme alcune delle figure di spicco del Louvre, a partire da Claudia Ferrazzi, che fa l’administrateur général adjoint pur avendo due bambine, Diane di 3 anni e Daphné di uno. Davanti alle quali è spalancato un mondo ricco di speranze e, se vogliono, di soddisfazioni professionali altissime. Purché, si capisce, non vengano a cercar fortuna in questa nostra Italia rimasta ai tempi delle «impiraresse».

Il Corriere della Sera 07.03.12