Stiamo diventando il paese europeo più virtuoso per le pensioni. Per la prima volta la Commissione di Bruxelles non ha più raccomandazioni destinate all´Italia. Di più: il nostro modello sta diventando un esempio per il vecchio continente. Nel 2020 gli italiani, uomini e donne, andranno in pensione con almeno 66 anni e undici mesi. Meglio della Germania di Angela Merkel (65 anni e nove mesi) che sta dettando le rigidissime regole per l´equilibrio dei conti pubblici per fronteggiare la crisi dei debiti sovrani; meglio della piccola Danimarca (66 anni), dove è nata quella flexsecurity che anche noi vorremmo adottare. Nel 2060, legando l´età per la pensione alle speranze di vita, raggiungeremo per entrambi i sessi addirittura i 70 anni e tre mesi. Un record. Tutti gli altri paesi si fermeranno prima. Sta scritto nel Libro Bianco della Commissione europea (“Un´agenda dedicata a pensioni adeguate, sicure e sostenibili”) appena pubblicato.
L´EFFETTO “RIFORMA FORNERO”
Le nostre performance sono dovute all´ultima riforma pensionistica, firmata dal ministro del Lavoro, Elsa Fornero, che ha deciso di accelerare senza più tentennamenti nel passaggio al metodo contributivo per il calcolo della pensione e di innalzare progressivamente l´età pensionabile, superando di fatto i prepensionamenti. La riforma italiana sembra, almeno per tre quarti, quasi un´applicazione in laboratorio di tutti i suggerimenti che Bruxelles ha per i sistemi pensionistici continentali: allungamento dell´età in rapporto alla speranza di vita (nel 2050 gli europei over 65 saranno la metà della popolazione); ridurre il ricorso ai prepensionamenti; estendere la formazione a tutto il ciclo della vita lavorativa e non solo alla fase iniziale (qui l´Italia è molto deficitaria); equiparare l´età di donne e uomini; incrementare i fondi pensionistici integrativi.
IL MERCATO DEL LAVORO
VA CAMBIATO
L´altro lato della medaglia, però, raffigura il lavoro. E qui arrivano anche le note dolenti per il nostro paese. Siamo in fondo alla classifica dell´Unione europea relativa al tasso di occupazione dei lavoratori anziani, cioè quelli compresi tra 55 e 64 anni. Appena il 36,6 per cento contro il 57,1 per cento della Gran Bretagna o il 57,7 per cento della Germania, fino al 70,5 per cento della Svezia. A colmare questo nostro divario dovrebbe servire proprio la riforma del mercato del lavoro in discussione tra il governo e le parti sociali: meno lavoro precario, più formazione per poter passare da un lavoro ad un altro, ma soprattutto da una mansione ad un´altra anche nella stessa azienda. Proprio il modello (la flessibilità interna) su cui ha investito la Germania con le riforme contenute nel “pacchetto Hartz” varato all´inizio di questo secolo. E non è un caso che il ministro Fornero guardi al caso tedesco come a un esempio da seguire: «Gli interventi hanno consentito alla Germania – ha scritto ieri il ministro sulla Stampa – di cogliere più rapidamente ed efficacemente che in precedenza l´onda positiva della congiuntura avviatasi nella seconda metà dello scorso decennio».
Il passaggio dal retributivo al contributivo avrà effetti non secondari sul tasso di sostituzione (rapporto tra la pensione e l´ultima retribuzione) delle future pensioni: la Commissione stima, per gli italiani, un calo del 15 per cento tra il 2008 e il 2048 che sarà compensato però dall´allungamento del periodo di lavoro e dall´eventuale adesione ai fondi complementari.
La Repubblica 05.03.02
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