Negli ultimi giorni Marchionne si è riposizionato al centro del dibattito politico ed economico. Ha appoggiato Bombassei come prossimo presidente di Confindustria, anche se la Fiat è fuori dall`associazione. Ha concesso una lunga intervista al Corriere della Sera dove cambia la strategia del Lingotto e ipotizza la chiusura di altre due fabbriche italiane. In più la Fiat ha deciso di lasciare a casa i tre operai reintegrati dal giudice a Melfi, un fatto davvero grave e arrogante, e alla Magneti Marelli è partito l`ordine di smantellare le bacheche che espongono l`Unità (purtroppo non è un gesto di stupidità di un direttore di stabilimento perché poco prima dei casi di Bologna e Crevalcore, c`è stato quello pugliese).
L`intervista al Corriere della Sera, firmata da Massimo Mucchetti, rappresenta per le argomentazioni, per le novità di strategia e anche per le dimensioni del testo un vero programma di governo della Fiat nei prossimi anni. È un`intervista che suscita, almeno in noi, moltissime preoccupazioni e che conferma tutte le perplessità, i timori che abbiamo più volte denunciato sulle reali intenzioni della Fiat e sulla permanenza di una vera industria dell`auto nel nostro Paese.
La notizia più rilevante sta nelle ultime righe, quando il giornalista chiede a Marchionne quale sarà il futuro dei cinque stabilimenti italiani della Fiat? L`amministratore delegato pensa che tutti «possano cogliere l`occasione di lavorare in modo competitivo anche per gli Stati Uniti, ma se non accadesse dovremmo ritirarci da 2 dei 5 siti in attività». Marchionne non fa nomi, usa una metafora di un film sull`Olocausto per far immaginare il grave peso della sua scelta, ma le sue parole sono già abbastanza minacciose per allarmare fabbriche e lavoratori.
Dopo la fine di Termini Imerese, dopo Irisbus, toccherà a Mirafiori, rimasta senza nuovi modelli fino al 2014? Oppure Termoli o a chi altro? Molti temono brutte sorprese perché Marchionne aggiorna i piani finora diffusi, altera programmi e strategie annunciati nell`aprile 2010 al Lingotto quando partì il grande progetto, o forse soprattutto un`operazione mediatica, di «Fabbrica Italia». A lungo considerato un ambizioso piano industriale, che sfidava le lentezze, i ritardi anche culturali della politica e del sindacato, il progetto in realtà è servito con le minacce e il ricatto – «Fate come dico io o vado a produrre altrove» – a piegare i lavoratori di Pomigliano, di Mirafiori e di Grugliasco alle nuove condizioni in deroga a leggi e contratti, ma non a garantire gli obiettivi di sviluppo industriale e di occupazione.
Marchionne dice di non voler più parlare di «Fabbrica Italia» e possiamo capirlo perché sarebbe costretto ad ammettere che non sta filando come si immaginava. Il manager, che ha incassato finora 255 milioni di euro ma in passato «non c`era un mercato delle competenze manageriali come quello attuale», argomenta, non vuole precisare gli investimenti, si è anche arrabbiato con la Consob, non solo con la Cgil, che aveva chiesto chiarimenti.
La realtà è questa. «Fabbrica Italia» prevedeva 20 miliardi di euro di investimenti in Italia, il mantenimento dei siti produttivi ad esclusione di Termini Imerese, il raddoppio della produzione italiana di auto da 650mila auto del 2010 a 1,4 milioni nel 2014, cui andavano aggiunti 200mila veicoli industriali. In tutto 1,6 milioni di veicoli di cui il 65% destinato alle esportazioni.
A che punto siamo? Nel 2011 la produzione italiana è stata di circa 500mila unità, nel 2012, anno di recessione, la cifra non dovrebbe essere molto diversa. Per le fabbriche italiane gli obiettivi erano, sono?, questi: a Mirafiori una capacità produttiva di oltre 300mila auto l`anno con una saturazione degli impianti all`88%, a Cassino la produzione destinata a salire da 100mila a 400mila vetture, a Melfi altre 400mila auto, a Pomigliano almeno 250mila Panda l`anno. I conti, i fatti non tornano. I numeri oggi devono essere rivisti, almeno leggendo le parole di Marchionne perché le condizioni del mercato italiano e di quello europeo, dove c`è un eccesso di capacità produttiva, erano e rimangono drammatiche e lo sbocco futuro delle produzioni nazionali potrebbe essere l`America, se i costi saranno competitivi. Altrimenti, la Fiat chiuderà due impianti. La prospettiva, purtroppo, è che l`Italia diventi una presenza marginale nell`industria dell`auto mondiale. Ce lo possiamo permettere? Il governo non può chiamare Marchionne e chiedergli se si può fare qualche cosa per assicurare sviluppo e lavoro in Italia?
L’Unità 25.02.12